Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28908 del 12/11/2018

Cassazione civile sez. II, 12/11/2018, (ud. 11/10/2018, dep. 12/11/2018), n.28908

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. CASADONTE Anna Maria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11649-2015 proposto da:

ACTIVE DI C.R., domiciliata in ROMA presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, e rappresentata e difesa

dall’avvocato GUIDO VICENTINI in virtù di procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, domiciliato ex lege in ROMA alla

via dei PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende ope legis;

– intimato –

avverso la sentenza n. 521/2014 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata

il 14/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/10/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie di parte ricorrente.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. In data 18 maggio 2017 C.R., quale titolare della ditta individuale A., ricorreva al Giudice di Pace di Bologna per ottenere l’annullamento – previa sospensiva dell’ordinanza di ingiunzione n. 01-04/07 del 19 aprile 2007 prot. 3568/12/CR del Direttore dell’ispettorato Territoriale Emilia-Romagna del Ministero delle Comunicazioni, deducendo la nullità del provvedimento impugnato per violazione del D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 6 e art. 21, comma 5 secondo l’interpretazione indicata dalla circolare del Ministero delle Comunicazioni 11 settembre 2001 n. PSG2258.

Il Ministero si costituiva all’udienza del 20 marzo 2008 contestando la fondatezza dell’opposizione, e nella stessa data il giudice ammetteva le prove testimoniali richieste dalla ricorrente.

Con sentenza n. 7174/2009 il Giudice di Pace di Bologna accoglieva il ricorso ritenendo che l’unico elemento addotto dall’Ispettorato era il dato fiscale, rappresentato dalla fatturazione indiretta, che pertanto finiva per creare una contraddizione con la tesi della stessa Amministrazione. Secondo il Giudice di Pace “la fatturazione diretta non implica che il servizio venga svolto direttamente, laddove è emerso dai contratti, viene svolto dalla società cui fa capo il franchising (MBE, Mail Boxes Etc.)”. A tali considerazioni aggiungeva altresì che l’atto era invalido attesa la carenza della contestazione dal punto di vista formale.

Affermava, infatti, il giudice di prime cure che “l’Ispettorato ha contestato la violazione del D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 21articolo che porta soltanto la sanzione e non la fattispecie violata”.

Il Ministero delle Comunicazioni, nel frattempo diventato Ministero dello Sviluppo Economico, proponeva appello avverso la predetta sentenza affermando che la ditta A. effettuerebbe un servizio di raccolta pacchi che, ai sensi del D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 1, comma 1, lett. a) rientrerebbe nell’ambito del servizio postale universale, in assenza della necessaria autorizzazione generale e/o licenza individuale.

Si costituiva l’appellata chiedendo, in via principale, di dichiarare la nullità dell’appello per violazione dell’art. 342 c.p.c., comma 1 e, in via subordinata, di dichiararlo infondato, con la conseguente conferma della sentenza appellata.

Secondo la C., l’atto di appello non conteneva alcun riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, nè allo svolgimento del giudizio di primo grado o alle risultanze istruttorie, nonchè alle argomentazioni difensive svolte dalla ditta in primo grado.

Con sentenza n. 521/2014 il Tribunale di Bologna, in composizione monocratica, perveniva alla totale riforma della sentenza di primo grado e dichiarava la legittimità dell’ordinanza di ingiunzione. Secondo il giudice d’appello l’esplicitazione dei vizi di violazione di legge e dell’errata applicazione del D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 6 e art. 21, comma 5 impedivano di considerare nullo l’appello per genericità dei motivi, mentre quanto al merito, risultava evidente che l’attività della appellata, consistente nel servizio di raccolta pacchi postali fino 30 Kg., servendosi per il trasporto di altro corriere, ma con fatturazione diretta al cliente, al quale viene offerto anche un servizio di domiciliazione di pacchi e corrispondenza, rientrava tra quelle soggette al preventivo rilascio di un’autorizzazione generale ai sensi del D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 1 essendo irrilevante la circostanza che l’opponente non curi anche direttamente la consegna dei pacchi.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione C.R. quale titolare della ditta individuale A., sulla base di un motivo.

Disposta la rinnovazione della notifica all’intimato Ministero, questi resisteva con controricorso, tempestivamente notificato nel rispetto del termine di cui all’art. 370 c.p.c.

2. Con un unico motivo di ricorso C.R. lamenta la violazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 342 c.p.c.).

Secondo l’odierna ricorrente, l’atto di appello del Ministero non individuava alcuna censura specifica avverso i due argomenti sui quali si basava la sentenza di primo grado, e cioè il regime fiscale dell’attività di recapito della corrispondenza non epistolare svolta per conto di un’altra impresa privata al di fuori del regime di esclusiva e la nullità sotto il profilo formale dell’atto di contestazione, quale atto di avvio del procedimento amministrativo, conclusosi con l’adozione dell’ordinanza di ingiunzione opposta. L’atto di appello, senza contestare gli argomenti posti a base della decisione del Giudice di Pace, riproponeva le difese svolte in primo grado.

Essendo stato proposto nel 2009 l’appello segue le regole del vecchio art. 342 c.p.c., in base al quale “l’appello si propone con citazione contenente l’esposizione sommaria dei fatti ed i motivi specifici dell’impugnazione nonchè le indicazioni prescritte nell’art. 163”.

Il motivo dev’essere accolto.

La Suprema Corte, nel corso degli anni, ha più volte ribadito che nei motivi specifici, di cui all’art. 342 c.p.c. (vecchio testo) si deve individuare la capacità dell’atto di appello di incrinare il fondamento logico giuridico delle argomentazioni della sentenza impugnata. In particolare si è affermato che affinchè un capo di sentenza possa ritenersi validamente impugnato non è sufficiente che nell’atto d’appello sia manifestata una volontà in tal senso, ma è necessario che sia contenuta una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri ad incrinarne il fondamento logico-giuridico (Cass, SS. UU. n. 23299/2011).

Ai fini della specificità dei motivi d’appello richiesta dall’art. 342 c.p.c., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, possono sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purchè ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice. (Sez. U, n. 28057/2008; successivamente Cass. nn. 25218/2011 e 25588/2010).

Tale lettura della norma è stata poi fatta propria da questa Corte, e senza una sostanziale soluzione di continuità, anche a seguito della riforma del 2012, consolidando il convincimento per cui i motivi rappresentano l’argomentazione della parte con cui è in grado di mettere in discussione il percorso logico giuridico che ha portato il giudice a pronunciare la sentenza appellata.

La giurisprudenza di legittimità, infatti, ha affermato che “l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. Sez. U, Sentenza n. 27199/2017)”.

In definitiva il requisito della specificità dei motivi dettato dall’art. 342 c.p.c., esige che, alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinarne il fondamento logico giuridico, ciò risolvendosi in una valutazione del fatto processuale che impone una verifica in concreto, ispirata ad un principio di simmetria e condotta alla luce del raffronto tra la motivazione del provvedimento appellato e la formulazione dell’atto di gravame, nel senso che quanto più approfondite e dettagliate risultino le argomentazioni del primo, tanto più puntuali devono profilarsi quelle utilizzate nel secondo per confutare l’impianto motivazionale del giudice di prime cure (Cass. n. 4695/2017; Cass. n. 18307/2015).

Nel caso di specie, non può ritenersi che l’appello formulato dall’Amministrazione soddisfi i requisiti di forma – sostanza come sopra delineati.

Manca un’adeguata e specifica contestazione in ordine agli argomenti che avevano indotto (cfr. le considerazioni in tema di modalità di fatturazione) il giudice di pace ad escludere la ricorrenza della fattispecie sanzionatoria invocata, ma deve altresì rilevarsi che il giudice di primo grado aveva accolto l’opposizione sulla base di due distinte rationes decidendi, e cioè evincendo la contraddittorietà della tesi del Ministero in relazione al dato fiscale, rappresentato dalla fatturazione indiretta, ed evidenziando altresì la carenza dell’atto di contestazione dal punto di vista formale.

La genericità del motivo di appello trova poi una conferma nelle stesse ammissioni compiute dall’Amministrazione, nella comparsa conclusionale, laddove dichiarava che “data l’inconsistenza degli argomenti utilizzati dal Giudice di primo grado non era il caso di occuparsene, ricordando l’effetto devolutivo dell’appello”.

Operando, dunque, in secondo grado una mera riproposizione degli elementi addotti in primo grado, l’Amministrazione ha altresì omesso di censurare una delle rationes poste a fondamento della decisione del Giudice di Pace, il che implica un’inammissibilità del gravame, per difetto di interesse.

Infatti, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, occorre ricordare che “ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile (da ultimo, Cass. n. 18641/2017; conf. Cass. n. 9752/2017; Cass. n. 15350/2017; Cass. n. 2108/2012; Cass. n. 22753/2011 e Cass. n. 3386/2011).

Il ricorso deve pertanto essere accolto e per l’effetto la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio ex art. 382 c.p.c., u.c., in quanto, attesa l’inammissibilità dell’appello, il relativo giudizio non poteva essere proseguito.

Le spese del giudizio di appello e di quelle di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, e per l’effetto cassa senza rinvio la sentenza impugnata, in quanto il giudizio di appello non poteva essere proseguito;

Condanna il Ministero al rimborso in favore del ricorrente delle spese del giudizio di appello e di quelle del presente giudizio che liquida per il primo in complessivi Euro 600,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, e per secondo in complessivi Euro 700,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2018

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