Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28907 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/12/2020, (ud. 17/11/2020, dep. 17/12/2020), n.28907

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18090 – 2019 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, V. LE DELLE MILIZIE 38,

presso lo studio dell’avvocato STEFANIA PARAVANI, rappresentato e

difeso dall’avvocato VALENTINA NANULA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATRA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 164/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 29/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Brescia, con sentenza n. 164/2019, depositata il 29/01/2019, ha respinto la richiesta di S.A., cittadino del Senegal, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria o umanitaria. In particolare, la Corte d’appello, premesso che il Tribunale aveva ritenuto il racconto del richiedente (essere fuggito dal Paese d’origine, per sfuggire ai maltrattamenti di una zia, cui era stato affidato, in quanto orfano di madre e figlio di padre ignoto) non integrante i presupposti per il riconoscimento protezione sussidiaria, non provenendo la persecuzione riferita da Autorità statuale, ha rilevato che l’unico motivo di appello ineriva alla mancata considerazione delle circostanze allegate in relazione al Paese di transito, la Libia, in cui il richiedente aveva vissuto per circa un anno, prima di partire per l’Italia, affermando che, nello specifico, non rilevava la situazione della Libia, trattandosi di un Paese dove il migrante non potrebbe eventualmente essere rimpatriato; con riguardo poi al Paese d’origine ed alia protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), il Senegal, anche alla luce degli accreditati Report consultati (Ecoi del 2017), non era interessato da violenza indiscriminata; neppure ricorrevano i presupposti per la protezione umanitaria, in difetto di situazioni di personale vulnerabilità non essendo più in atto l’asma bronchiale di cui era stato affetto e trattandosi di soggetto giovane nel pieno della maturità psico – fisica.

Avverso la suddetta pronuncia, S.A. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che si costituisce al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione).

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380 – bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, non avendo la Corte di merito assolto all’onere di cooperazione istruttoria previsto nella materia, avendo proceduto ad un esame sommario e superficiale; con il secondo motivo, si lamenta poi, ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 TUI, comma 6, in relazione al mancato riconoscimento del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, malgrado il serio percorso di integrazione avviato in Italia.

2. La prima censura è, inammissibile, esaurendosi nella prospettazione di censure di merito avverso le puntuali motivazioni, esposte nel provvedimento impugnato.

Deve osservarsi che la Corte di merito ha specificato le ragioni – anche sulla base di dati tratti dalle indicate fonti di informazione – per le quali non ritiene sussistenti in Senegal le condizioni estreme previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

In relazione alla mancata attivazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria, la Corte d’appello ha valutato anche il contesto attuale del paese d’origine, il Senegal.

Vero che nella materia in oggetto il giudice abbia il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534); ma la Corte distrettuale ha attivato il potere di indagine nel senso indicato.

Vengono qui richiamati i principi di diritto sul tema già espressi da questa Corte (Cass. 27593/2018; Cass. 27503/2018; Cass.29358/2018; Cass. 17069/2018; Cass. 29358/20183).

Nella illustrazione del motivo si sostiene che la Corte distrettuale ha errato nell’escludere il diritto alla protezione internazionale, non valorizzando le prove documentali dedotte in giudizio, in particolare i report tratti da Amnesty International e dal sito ECOI.net..

La doglianza è inammissibile perchè censura la valutazione delle prove contro il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito. Quanto, invece, alla situazione nel Paese di transito (la Libia), questa Corte (Cass. 31676/2018) ha chiarito che “nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine, o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (Dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese”. Il motivo risulta, sul punto, del tutto generico, non avendo il ricorrente dedotto alcunchè quanto alla specifica lesione della sfera dei propri diritti personalissimì, limitandosi ad un riferimento generico alla situazione in Libia, paese di transito, ed ad un richiamo, altrettanto laconico, al rischio di subire nuove violenze.

3. In relazione poi al diniego di protezione umanitaria, oggetto del secondo motivo, deve rilevarsi che la Corte di merito ha ritenuto che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino, un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali. La pronuncia risulta del tutto conforme ai principi di diritto espressi da questa Corte, atteso che quanto al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia, esso può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa.

Ora, il ricorrente non ha dedotto alcunchè quanto alla specifica lesione della sfera dei propri diritti personalissimi, limitandosi ad un riferimento generico alla situazione di instabilità e violazione dei diritti umani del Senegal ed ad un richiamo, altrettanto laconico, al rischio di subire nuove violenze. Il tema della generale violazione dei diritti umani nel Paese di provenienza costituisce senz’altro un necessario elemento da prendere in esame nella definizione della posizione del richiedente: tale elemento, tuttavia, deve necessariamente correlarsi alia vicenda personale dell’istante, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 2007, art. 5, comma 6, che nel predisporre uno strumento duttile quale il permesso umanitario, demanda al giudice la verifica della sussistenza dei “seri motivi” attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso, quali, ad esempio, le ragioni che indussero lo straniero ad abbandonare il proprio Paese e le circostanze di vita che, anche in ragione della sua storia personale, egli si troverebbe a dover affrontare nel medesimo Paese, con onere in capo al medesimo quantomeno di allegare i suddetti fattori di vulnerabilità (cfr, Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

Inoltre, l’accertata – da parte del giudice di merito – situazione sostanzialmente stabile, dal punto di vista della violenza e degli scontri armati, nella regione di provenienza dell’istante, e che ha indotto la Corte di merito a denegare la protezione sussidiaria, non impedirebbe di certo al medesimo, stante la sua giovane età e le sue buone condizioni di salute, il reinserimento sociale e lavorativo nel suo Paese.

Giova aggiungere che le Sezioni Unite di questa Corte, nella recente sentenza n. 29460/2019, hanno ribadito, in motivazione, l’orientamento di questo giudice di legittimità in ordine al “rilievo centrale alla vantazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese è la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se ii rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale”, rilevando che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072)”, in quanto, così facendo, “si prenderebbe altrimenti in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea ai riconoscimento della protezione umanitaria “.

4. Per tutto quanto sopra esposto, Va dichiarato inammissibile il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

PQM

La corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

 

 

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