Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28906 del 08/11/2019

Cassazione civile sez. I, 08/11/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 08/11/2019), n.28906

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 22226/2018 R.G. proposto da:

A.U.I., rappresentato e difeso dall’avvocato

Santilli Stefania per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 126/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 15/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/06/2019 dal cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.Con sentenza n. 126/2018 depositata il 15-1-2018, la Corte d’appello di Milano ha respinto l’appello di A.I.U., cittadino della Nigeria, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano con la quale era stata rigettata la domanda avente ad oggetto, in via gradata, il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. La Corte territoriale ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente, il quale aveva riferito di professare la religione cattolica e di aver lasciato la Nigeria per il timore di essere ucciso da esponenti della comunità del suo villaggio, dopo essersi rifiutato di succedere al padre come capo sacerdote del culto locale del dio (OMISSIS). La Corte d’appello ha affermato di condividere il giudizio espresso dal Tribunale in ordine all’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) ha escluso la sussistenza di rischio di danno grave, in relazione alla vicenda personale narrata. Quanto alla richiesta di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) la Corte d’appello ha evidenziato che il richiedente proveniva da una zona della Nigeria nella quale non vi erano allarmanti situazioni di conflitto armato interno, violenza indiscriminata ed instabilità politica, in base alle fonti di conoscenza richiamate (UNHCR di ottobre 2016 e di settembre e ottobre 2017). I Giudici d’appello hanno ritenuto che neppure vi fossero i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non essendo allegati elementi di significativa fragilità o vulnerabilità soggettiva, anche considerando la reale situazione politico sociale dello Stato di provenienza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo il ricorrente denuncia “Violazione o falsa applicazione di legge, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14 al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, agli artt. 2 e 3 C.E.D.U., nonchè omesso esame di fatti decisivi e assenza di motivazione, nonchè violazione dei parametri normativi relativi agli atti di persecuzione subiti per motivi religiosi. Violazione dei parametri normativi di credibilità fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c) in violazione degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale. Omessa indicazione delle Coi. Violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 14 al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, agli artt. 2 e 3 C.E.D.U. Violazione dei parametri normativi per la definizione di un danno grave. Violazione di legge in riferimento agli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU, all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ed all’art. 46 della direttiva Europea n. 2013/32ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”. Deduce il ricorrente che le sue vicende personali costituiscono fattispecie potenziale di persecuzione, attuata in ambito religioso. Lamenta omessa valutazione da parte della Corte d’appello del fenomeno cultista nel contesto descritto, avendo il ricorrente, di religione (OMISSIS), narrato di essersi rifiutato subentrare al padre come capo sacerdote del culto locale del dio (OMISSIS). Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale ha così violato le indicazioni fornite dall’UNHCR, i parametri di valutazione della credibilità e l’obbligo di cooperazione istruttoria, non avendo esaminato le Coi, da cui risultava che in Nigeria esistono numerosi culti segreti. La credibilità del suo racconto non poteva essere esclusa in base a mere discordanze o contraddizioni su fatti secondari o isolati. Invece la valutazione di credibilità avrebbe dovuto effettuarsi mediante comparazione con quanto risulta dalle fonti di conoscenza che richiama in ricorso, nonchè mediante esercizio del potere-dovere istruttorio ufficioso, nella specie mancante.

2. Il primo motivo è infondato.

2.1.La Corte d’appello ha condiviso la valutazione del Tribunale sul mancato riconoscimento dello status di rifugiato, per la manifesta non verosimiglianza delle vicende narrate, spiegandone le ragioni ed evidenziando le molteplici incongruenze riscontrate nel racconto, comunque ravvisato generico e non circostanziato, anche con specifico riferimento alle modalità con cui operano i culti segreti. La Corte territoriale ha dunque effettuato, nel rispetto degli indici legali, un accertamento di merito che non è sindacabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo, non ricorrente nella specie, dell’anomalia motivazionale o dell’omessa valutazione di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. ord.. 3340/2019 e Cass. S.U. n. 8053/2014).

2.2.Sono infondate le doglianze concernenti la mancata attivazione dei poteri istruttori ufficiosi e la mancata acquisizione di informazioni eventualmente desumibili dalle COI sulle sette segrete, perchè il dovere di cooperazione istruttoria non sussiste se le allegazioni sono generiche e inattendibili (Cass. n. 27336/2018).

3. Con il secondo motivo denuncia “Violazione o falsa applicazione di legge, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14, al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, agli artt. 2 e 3 C.E.D.U.. Violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 15 p.3 lett. a) e 46 p.3 della direttiva 2013/32/UE, dell’art. 13, p. 3 lett. a) della direttiva 2005/85/UE e dell’art. 4, p.3 della direttiva 2004/83/UEex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni dei richiedenti fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 lett. c), non avendo compiuto alcun esame comparativo tra le informazioni provenienti dal richiedente stesso e la situazione del Paese di origine; Violazione dei parametri normativi di credibilità fissati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c) in violazione degli obblighi di cooperazione istruttoria incombenti sull’autorità giurisdizionale. Violazione dei parametri normativi per la definizione di un danno grave. Violazione di legge in riferimento agli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU, all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ed all’art. 46 della direttiva Europea n. 2013/32”. Quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, ad avviso del ricorrente la Corte d’appello ha omesso di valutare quanto risulta dalle fonti di conoscenza richiamate anche nel giudizio di appello, che attestano una condizione di violenza diffusa e non arginabile dalle autorità pubbliche, atteso che le azioni di B.H. costituiscono una seria minaccia per la stabilità interna di tutto il Paese. Lamenta il mancato esercizio dei poteri officiosi in relazione alle allegazioni fornite dal ricorrente sulla situazione di rischio.

4. Il secondo motivo è inammissibile.

4.1. Questa Corte ha chiarito che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del

provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (Cass. ord. n. 3340/2019). Inoltre, anche in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).

4.2. Il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, avuto riguardo alla situazione generale della Nigeria, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto alla sua credibilità e quanto all’insicurezza del Paese di origine ed alla compromissione di diritti fondamentali, difforme da quella accertata nei giudizi di merito. La Corte territoriale, oltre a ritenere non credibili le vicende personali narrate, per ciò che rileva ai fini delle ipotesi previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), richiamato quanto esposto nei paragrafi che precedono, ha esaminato, richiamando fonti di conoscenza (UNCHR settembre e ottobre 2017), la situazione generale della Nigeria ed in particolare dell’Imo State, zona di provenienza del ricorrente, dove è sempre vissuto. Ha quindi escluso l’esistenza di situazioni di violenza indiscriminata in conflitto armato nella suindicata zona, compiutamente esercitando il potere-dovere di cooperazione istruttoria.

Le suddette valutazioni costituiscono apprezzamenti di fatto rimessi al giudice del merito e sono sindacabili solo mediante il paradigma del vizio motivazionale di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, e dunque solo quale omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti oppure come anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante.

Per quanto si è detto la motivazione della sentenza impugnata è sorretta da un contenuto non inferiore al minimo costituzionale, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. n. 8053/2014 e tra le tante da ultimo Cass. n. 22598/2018), così da sottrarsi al sindacato di legittimità della stessa ed alla conseguente valutazione di “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante”.

5. Con il terzo motivo denuncia “Violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2, e artt. 10, comma 3 e art. 8 CEDU; motivazione apparente in relazione alla domanda di protezione umanitaria e alla valutazione di assenza di specifica vulnerabilità; omesso esame di fatti decisivi circa la sussistenza dei requisiti di quest’ultima. Violazione del dovere di collaborazione gravante sul giudice”. Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale, nel negare la protezione umanitaria, non ha considerato la condizione personale di vulnerabilità del ricorrente, derivante dallo stato di instabilità, insicurezza, violenza e povertà della Nigeria e dalla complessiva situazione di detto Stato, con riguardo alle considerevoli criticità che emergono dalle fonti di conoscenza citate nel ricorso.

6. Il terzo motivo è infondato.

6.1. In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, questa Corte ha precisato (Cass. ord. n. 16925/2018) che l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente, affermata dai giudici di merito, costituisce motivo sufficiente anche per negare la protezione di cui trattasi, che deve ovviamente poggiare su specifiche e plausibili ragioni di fatto (Cass. 27438/2016), legate alla situazione concreta e individuale del richiedente (Cass. 4455/2018, par. 7). Deve trattarsi di valutazione autonoma (Cass. n. 28990/2018), non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario che l’accertamento da svolgersi sia fondato su uno scrutinio avente ad oggetto l’esistenza delle condizioni di vulnerabilità che ne integrano i requisiti. Tuttavia, anche ai fini della protezione umanitaria, la domanda non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio o di utilizzare i poteri officiosi, se le allegazioni sulla condizione soggettiva di vulnerabilità non sono specifiche (Cass. n. 27336/2018).

6.2. Nel caso di specie il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione e facendo applicazione dei principi suesposti, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono, sia con riferimento alla vicenda personale del ricorrente, sia avuto riguardo alla situazione generale della zona dell'(OMISSIS), l’esistenza di una situazione di particolare vulnerabilità del ricorrente.

7. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.

8. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

9. Poichè il ricorrente è stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro2.100, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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