Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28902 del 08/11/2019

Cassazione civile sez. I, 08/11/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 08/11/2019), n.28902

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giusepp – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23851/2018 proposto da:

J.C., elettivamente domiciliato in Roma Via Otranto, 23

presso lo studio dell’avvocato Andrea Volpini che lo rappresenta e

difende in forza di procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione

Internazionale Milano, Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 489/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 29/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/06/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 J.C., cittadino nigeriano, ha impugnato dinanzi al Tribunale di Milano il provvedimento con cui la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente, cittadino nigeriano, proveniente da (OMISSIS), di etnia (OMISSIS) e religione (OMISSIS), aveva narrato di lavorare in una fabbrica di alluminio; che il padre aveva ereditato un terreno, conteso dai membri della comunità vicina, che pretendevano che appartenesse ai loro avi; che una sera alcuni uomini erano penetrati in casa alla ricerca del documento di proprietà; che il padre era stato poi trovato morto sul terreno conteso; che nello scontro successivo tra le due comunità era rimasto ucciso il capo spirituale dell’altra; che la polizia si era rifiutata di intervenire per risolvere la faida; che gli avversari avevano chiesto la sua testa per poter celebrare il funerale del loro capo spirituale; che quindi si era recato a Sapele in Delta State, ove però era stato inseguito e minacciato; che si era recato quindi a Benin City da uno zio, venendo tuttavia anche lì aggredito per strada da tre uomini; che quindi era scappato prima ad Abuja e poi in Libia e in Italia; che la famiglia si era trasferita in altro villaggio e suo fratello più piccolo era stato trovato morto.

Con ordinanza del 7/11/2016 il Tribunale di Milano ha rigettato il ricorso, negando la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di qualsiasi forma di protezione.

2. Avverso la predetta decisione ha proposto appello J.C., a cui ha resistito il Ministero dell’Interno.

Con sentenza del 29/1/2018 la Corte di appello di Milano ha rigettato l’appello a spese compensate.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione con atto notificato il 27/7/2018, con il supporto di tre motivi.

L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita in giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 8 e del D.Lgs. n. 25 del 2008 per mancanza o apparenza della motivazione.

1.1. Il ricorrente sostiene che la propria storia era particolareggiata e ricca di dettagli e che lui aveva cercato, sforzandosi, di fornire tutte le informazioni possibili; la vicenda inoltre era coerente con il quadro generale del Paese, caratterizzato da simili faide fra villaggi e dalla corruzione delle forze dell’ordine.

1.2. Il motivo è totalmente riversato nel merito e richiede a questa Corte un accertamento di fatto in contrasto con I valutazione espressa dai Giudici del merito.

Inoltre la censura non è pertinente rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata.

Secondo il ricorrente, la Commissione territoriale non aveva ritenuto la sua storia personale credibile per genericità e la Corte di appello aveva condiviso tale valutazione, senza indicare in base a quali fonti informative il racconto del richiedente asilo potesse ritenersi “inventato”.

1.3. Al contrario, la Corte milanese, dopo aver ricordato che il Tribunale aveva ritenuto non credibile il racconto del richiedente e in ogni caso inidoneo a dar titolo alla richiesta protezione, a pagina 3, negli ultimi due capoversi, ha fondato il rigetto del gravame anche sul fatto che le minacce erano state rivolte al richiedente da soggetti diversi da autorità statuali o organizzazioni che esercitano il controllo sul territorio e il richiedente non aveva dimostrato di non aver potuto ottenere tutela contro gli autori delle minacce dalle forze dell’ordine alle quali non aveva neppure dichiarato di essersi rivolto.

Trattasi di motivazione ulteriore rispetto a quella censurata con il mezzo proposto, pertanto fuori fuoco.

2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per non aver la Corte di appello accertato la situazione di rischio esistente nel Paese di origine che risultava dall’ultimo rapporto di Amnesty International del 2018.

Il motivo è infondato.

La Corte di appello si è basata per escludere il rischio di esposizione dei civili a violenza indifferenziata da conflitto armato interno D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), al rapporto di Amnesty International 2016 – 2017, ossia ad una qualificata e autorevole fonte informativa internazionale, mentre il ricorrente invoca un rapporto successivo (quello 2018), che neppure poteva essere disponibile all’epoca del giudizio di appello (ultima udienza: 20/11/2017) e non era quindi stato prodotto nel giudizio di merito e sottoposto al contraddittorio processuale.

3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione con riferimento al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 in ordine alla mancata concessione della protezione umanitaria.

3.1. Il ricorrente osserva che la Nigeria era un Paese ad altissimo tasso di violenza, con grave violazione dei diritti umani e vi era conflitto armato interno attualmente in corso; diversamente da quanto dedotto in sentenza il ricorrente era comparso all’udienza del 20/11/2017; il ricorrente aveva effettuato un percorso di inserimento legale e virtuoso.

3.2. La situazione generale della Nigeria viene argomentata dal ricorrente sulla base di un documento non prodotto nel giudizio di merito (ossia il rapporto Amnesty International 2018) e in contrasto con gli accertamenti esperiti dalla Corte.

Il percorso di inserimento legale e virtuoso è addotto con estrema genericità nel motivo a fronte delle specifiche considerazioni opposte dalla Corte circa l’inserimento lavorativo del ricorrente (mancanza di buste paga e difetto di aggiornamenti della situazione dopo il marzo del 2017).

Non viene prospettato alcuna particolare causa di vulnerabilità soggettiva.

3.3. La comparizione personale o meno del ricorrente all’udienza del 20/11/2017, in cui non era previsto alcun particolare incombente richiedente il suo intervento personale è del tutto ininfluente, nè la Corte, nel rimarcare la circostanza le ha attribuito una particolare valenza.

4. Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Nulla sulle spese in difetto di costituzione dell’Amministrazione.

Poichè risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere stata ammessa al Patrocinio a spese dello Stato non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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