Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2890 del 05/02/2021

Cassazione civile sez. I, 05/02/2021, (ud. 18/11/2020, dep. 05/02/2021), n.2890

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MELONI Marina – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14278/2019 proposto da:

A.H., elettivamente domiciliato presso l’indirizzo Pec di posta

elettronica r.benini.pec.giffrè.it, dell’avv. R. Benini, che lo

rappresenta e difende per procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– resistente –

avverso la sentenza n. 2419/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 06/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/11/2020 dal cons. SOLAINI LUCA.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

La Corte d’appello di Ancona ha respinto il gravame proposto da A.H. cittadino del Ghana, avverso l’ordinanza del Tribunale di Ancona che, confermando il provvedimento della competente Commissione territoriale, aveva negato al richiedente il riconoscimento della protezione internazionale anche nella forma della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

Il ricorrente ha riferito che in Ghana lavorava con il fratello presso la medesima azienda come apprendista meccanico. Poichè gli affari andavano male, il fratello e il datore di lavoro avevano consultato un mago il quale aveva affermato che, per favorire gli affari, era necessario un sacrificio umano all’interno dell’azienda. Il ricorrente, spaventato, si era licenziato ed aveva appreso, dopo 10 giorni, della morte del fratello. Sospettando del datore di lavoro, il ricorrente si era recato con lo zio presso il datore di lavoro che lo aveva minacciato di morte e, quindi, aveva deciso di lasciare il paese.

A sostegno della propria decisione di rigetto, la Corte distrettuale ha ritenuto il richiedente non credibile trattandosi di una vicenda generica ed inverosimile anche perchè non vi era nessuna prova che la morte del fratello fosse imputabile al datore di lavoro, nè il ricorrente si era rivolto alle autorità per garantirsi dalle minacce di morte.

La Corte distrettuale non ha riconosciuto nè lo status di rifugiato nè la protezione sussidiaria, di cui alle ipotesi delle lettere a) e b), mentre, in riferimento alla situazione politica generale del Ghana, la Corte d’appello, sulla base delle fonti d’informazione, non ha rilevato una situazione di violenza indiscriminata dovuta a un conflitto armato, nella zona di provenienza del ricorrente. Inoltre, la Corte d’appello non ha ravvisato la sussistenza dei “seri motivi” per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Contro la sentenza della medesima Corte d’Appello il ricorrente propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese scritte.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

Il ricorrente censura la decisione della Corte d’appello: (1) sotto un primo profilo, per omessa valutazione di un fatto storico decisivo, risultante dagli atti di causa, ex art. 360 c.p.c., n. 5, consistente nella denuncia sporta presso la polizia del Ghana contro il datore di lavoro che sarebbe responsabile della morte del fratello; (2) sotto un secondo profilo, per omessa valutazione di altro fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa, ex art. 360 c.p.c., n. 5, consistente nel rischio che il ricorrente sia sottoposto a torture o trattamenti inumani in caso di rimpatrio in Ghana; (3) sotto un terzo profilo, per omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consistente nel percorso di integrazione sociale e lavorativo in Italia meritevole di positivo riconoscimento; (4) sotto un quarto profilo, per violazione dell’art. 116 c.p.c., in combinato disposto con il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per omesso rispetto dei parametri legali relativi alla valutazione di credibilità del richiedente, (5) sotto un quinto profilo, per violazione dell’art. 116 c.p.c., in combinato disposto con l’art. 3, comma 5 e con il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per errata valutazione delle risultanze istruttorie e per l’errato accertamento sulla situazione politica del Ghana.

Il primo motivo è inammissibile in quanto il dedotto fatto omesso consisterebbe in un documento (la denuncia sporta alla polizia da parte del richiedente contro l’ex datore di lavoro asseritamente responsabile della morte del fratello) che non è mai stato prodotto davanti alla Corte d’appello, essendo il ricorrente pervenuto nel suo possesso, solo nel dicembre 2018 (v. p. 4 del ricorso), quindi, dopo la pubblicazione della sentenza di secondo grado.

Il secondo motivo è infondato; infatti, non si riscontra nessun omesso esame, in quanto la Corte distrettuale ha valutato la possibile ricorrenza dei rituali magici nel paese di provenienza del ricorrente, ma ha escluso, in primo luogo che il ricorrente fosse credibile ed in secondo luogo, che la vicenda narrata possa rientrare nel perimetro della protezione richiesta.

Il terzo motivo, premesso che il D.L. n. 130 del 2020, art. 15, comma 1 (disposizioni transitoria sulla nuova versione della protezione umanitaria) non si applica al giudizio di cassazione, è infondato, in quanto il percorso d’integrazione lavorativa (il contratto di lavoro sarebbe stato sottoscritto successivamente alla presentazione dell’appello e prodotto – a quanto è dato capire, v. p. 5 del ricorso per la prima volta in questa sede) e sociale, non è sufficiente a giustificare di per sè, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

L’avvenuta integrazione dello straniero in Italia può essere valorizzata non come fattore esclusivo bensì come presupposto della protezione umanitaria e come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale (Cass. n. 4455 del 2018), che, tuttavia, nel caso di specie è stata esclusa, alla luce della disciplina antecedente al D.L. 4 ottobre 2018, n. 13, convertito nella L. 1 dicembre 2018, n. 132, non applicabile alla fattispecie non avendo tale normativa efficacia retroattiva secondo l’orientamento recentemente espresso da questa Corte (Cass. 19/2/2019, n. 4890).

Il quarto motivo è inammissibile, in quanto la Corte d’appello ha rispettato i criteri sulla valutazione della genuinità soggettiva delle dichiarazioni del richiedente, avendo dato atto non solo delle dichiarazioni stesse ma anche delle condizioni personali del richiedente, ritenendo tuttavia, in base ad una valutazione discrezionale (ma non arbitraria) congruamente motivata e quindi non censurabile in questa sede che il richiedente non fosse credibile.

A tal riguardo occorre osservare che il legislatore ha ritenuto di affidare la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non alla mera opinione del giudice ma ha previsto una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui al D.Lgs. cit., art. 5, comma 3, lett. c)), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età.

Alla luce di quanto sopra appare evidente che il dovere del giudice di considerare veritiero il racconto del ricorrente anche se non suffragato da prove richiede pur sempre che le dichiarazioni rese dal richiedente asilo siano ” considerate coerenti e plausibili” (art. 3, comma 5, lett. C) e che il racconto del richiedente sia in generale “attendibile” (art. 3, comma 5, lett. E). La difficoltà di provare adeguatamente i fatti accaduti prevista espressamente dal legislatore nel citato art. 3, comma 5 non impone certo al giudice di ritenere attendibile un racconto che, secondo una prudente e ragionevole valutazione, sia incredibile e fantasioso anche perchè i criteri legali di valutazione della credibilità di cui all’art. 5, comma 3, sono categorie ampie ed aperte che lasciano ampio margine di valutazione al giudice chiamato ad esaminare il caso concreto secondo i criteri generali, basti pensare ai concetti di coerenza, plausibilità (lett. c) e attendibilità (lett. e) che richiedono senz’altro un’attività valutativa discrezionale.

Il quinto motivo è inammissibile, perchè solleva censure di merito, sull’apprezzamento del materiale istruttorio da parte del giudice d’appello, non consentito nel presente giudizio di legittimità (cfr. Cass. n. 11892/16) e sull’accertamento di fatto condotto dal medesimo giudice territoriale sulla base delle fonti consultate in merito alla situazione politica generale del Ghana.

La mancata costituzione dell’amministrazione statale esonera il collegio dal provvedere sulle spese.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2021

 

 

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