Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 289 del 09/01/2018

Cassazione civile, sez. VI, 09/01/2018, (ud. 12/07/2017, dep.09/01/2018),  n. 289

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Oggetto della controversia è l’esistenza del diritto reale di servitù o la sussistenza dei presupposti per la costituzione di una servitù coattiva su un piccolo slargo in cui si snoda la strada comunale in Loc. (OMISSIS), davanti al quale, da un lato, sono posizionati i garage delle abitazioni di D.G.P., D.G.V. e D.G.R., quali eredi di D.G.A. e D.G.N. e, dall’altro lato, il fabbricato di proprietà di F.G..

1.1) Il travagliato iter processuale ha avuto inizio con l’esperimento dell’azione di manutenzione da parte dei D.G. davanti al Pretore di Spoleto concluso con ordinanza del 10.8.1996, n. 380 di accoglimento delle richieste possessorie.

1.2) Instaurato il giudizio di “merito petitorio”, il Pretore, con sentenza n. 96/1999, rigettava tutte le domande dei D.G., relative, in via principale, all’accertamento del diritto di godere e servirsi della corte in questione o per presunzione di demanialità o in forza di assoggettamento ad uso pubblico da oltre un ventennio e, in via subordinata, alla costituzione della servitù coattiva a favore dei fondi di loro proprietà. Viceversa, il Pretore adito accoglieva la domanda riconvenzionale del F., negando ogni diritto di utilizzo dello spazio da parte degli attori.

1.3) A seguito dell’appello dei D.G., il Tribunale di Spoleto, con sentenza n. 79/2000, in riforma del provvedimento impugnato, dichiarava l’esistenza di una servitù di pubblico transito, permettendo il passaggio anche con mezzi meccanici sullo spiazzo.

1.4) Il F. spiegava ricorso per cassazione, a cui resistevano i D.G., proponendo, a loro volta, ricorso incidentale condizionato. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 10772/2003, accoglieva il ricorso principale; dichiarava inammissibile il ricorso incidentale; cassava la sentenza rinviando alla Corte d’Appello di Perugia.

La ratio decidendi si incentrava sul rilievo per il quale, ai fini di una servitù di pubblico transito, non è sufficiente la mera idoneità oggettiva del bene a soddisfare l’interesse pubblico all’esercizio della servitù, senza alcuna indagine sul concreto utilizzo da parte della collettività per il tempo necessario all’usucapione.

1.5) La Corte d’Appello di Perugia, con sentenza n. 269/2009, accoglieva la domanda degli attori di costituzione di una servitù coattiva di passaggio a servizio dei garage di loro proprietà e di pertinenza delle loro abitazioni, sullo spiazzo di proprietà del F., determinando l’indennità a lui spettante in Euro 5.000,00.

Ai fini della costituzione della servitù coattiva, la Corte territoriale applicava analogicamente l’art. 1051 c.c., comma 3, per l’ampliamento di servitù preesistente per il transito di veicoli anche a trazione meccanica. Ciò, sul presupposto che “i garage devono essere ritenuti come fondi assolutamente interciusi relativamente (alla) forma di passaggio” mediante autovettura, giacchè “è del tutto impossibile (e non semplicemente inadatto o insufficiente) l’accesso con autovetture dalla via pubblica ai garage degli attori (e viceversa) senza attraversare lo spiazzo del F. per cui è causa”.

2) Oggetto di ricorso per revocazione è, oggi, la sentenza n. 12961/2015, emessa il 14.5.2015 e depositata il 23.6.2015, della Seconda Sezione civile, con cui la Corte di Cassazione sul ricorso proposto dal F. contro la sentenza del 2009 ha accolto i primi tre motivi, ha ritenuto assorbito il quarto motivo e ha respinto il ricorso incidentale proposto dai D.G..

La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza, poichè ha considerato contraddittoria l’interpretazione della nozione di interclusione totale effettuata dalla Corte d’Appello di Perugia: il concetto di interclusione totale appare logicamente incompatibile con l’esistenza di un accesso alla via pubblica, “anche se tale comunicazione non sarebbe possibile a qualunque veicolo essendo inibita ai veicoli di più ampie dimensioni”. Ha considerato, pertanto, inapplicabile l’art. 1051 c.c..

L’intimato si è difeso con controricorso.

Il consigliere relatore ha avviato la trattazione con rito camerale, proponendo l’inammissibilità del ricorso.

2.1.) Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., in cui, oltre a ribadire gli argomenti svolti in sede di ricorso a sostegno della revocazione, chiede di rinviare a nuovo ruolo, in ragione del rinvio all’udienza del 14.9.2017 per la precisazione delle conclusioni del giudizio con RgN. 5622/2015 di riassunzione innanzi alla Corte d’Appello di Roma.

Sulla richiesta di rinvio va preliminarmente rilevato che l’esito del giudizio incardinato innanzi alla Corte d’Appello di Roma è irrilevante, attesa la non incidenza sulla questione sollevata con la revocazione.

3) L’errore di fatto che nel ricorso ex art. 391 bis c.p.c., viene attribuito alla sentenza è di aver travisato le affermazioni contenute nella sentenza della Corte d’Appello di Perugia circa l’interclusione del fondo.

Si tratterrebbe, secondo il ricorrente, di una “svista” apprezzabile come errore di fatto, poichè la Corte di Cassazione avrebbe fondato la sua decisione in forza di una supposta distinzione tra veicoli di grandi dimensioni e di piccole dimensioni.

In particolare, la Corte avrebbe desunto erroneamente dalla sentenza della Corte d’Appello di Perugia che lo slargo de qua “servirebbe soltanto per consentire ai veicoli di più grande dimensione di fare la “necessaria manovra” per l’accesso nei garage e per l’uscita dagli stessi”, con la conseguenza che, su tali basi, si è ritenuto erroneamente ossimorico il ragionamento della Corte d’Appello che ha dichiarato totalmente interclusi i fondi.

Tanto emergerebbe dal tenore letterale della medesima sentenza della Corte territoriale, laddove l’interclusione totale è ragguagliata “a misura” sulla forma di passaggio tramite autovettura, senza distinzioni di sorta sulla grandezza dei veicoli.

4) Parte resistente controdeduce che il riferimento ai veicoli di più grandi dimensioni vada inteso come un mero rafforzativo al principio di diritto espresso e che non si ravvisa alcun errore percettivo in cui sarebbe incorsa la Corte di Cassazione, la quale, piuttosto, appuntava la decisione sul carattere assoluto e totale dell’interclusione.

5) Il ricorso per revocazione va dichiarato inammissibile.

5.1) In primo luogo, occorre evidenziare che il principio di diritto affermato nella sentenza impugnata non poggia – se non ai fini espositivi – sulla distinzione tra veicoli a seconda della grandezza, ma si incentra sul concetto giuridico di fondo totalmente intercluso, inidoneo, secondo l’interpretazione della Corte, a qualificare un fondo dotato di un accesso alla via pubblica; seppure consti che tale accesso non consenta ai veicoli dei ricorrenti di fare manovra.

L’interclusione assoluta del fondo, in altri termini, è apparsa contraddittoria con la presenza stessa di un accesso sulla via pubblica.

Tale collegamento, che costituisce in negativo dato qualificante del concetto giuridico di cui all’art. 1051 c.c. – “il proprietario che non ha uscita sulla via pubblica” -, è stato considerato, in seno alla sentenza, come elemento tale da escludere una situazione di interclusione totale ed assoluta, non essendo il caso di specie sussumibile nel perimetro concettuale di interclusione totale.

Ne deriva che alla Sezione Seconda civile della Corte di Cassazione, alla luce dell’interpretazione del concetto di interclusione ex art. 1051 c.c., desumibile dalla sentenza, è apparso in contrasto con il principio di matrice logica di non contraddizione affermare, come si legge nella sentenza della Corte d’Appello, l’esistenza di una situazione di “interclusione assoluta dei garage degli attori, sia pure relativamente al passaggio a mezzo autovetture”.

L’errore denunciato, pertanto, costituisce, in ipotesi, un error in iudicando, di puro diritto, ricadendo, in definitiva, sul concetto di interclusione non denunciabile come errore revocatorio ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4.

5.2) In secondo luogo, la distinzione sulla grandezza dei veicoli censurata dal ricorrente non è affatto avulsa dagli atti di causa.

Essa prendeva le mosse proprio dalla sentenza emessa dalla Corte territoriale, la quale nel fornire un’interpretazione estensiva del concetto di interclusione, riteneva che “se l’accesso alla via pubblica mediante questa forma di passaggio è impossibile o inadatto o insufficiente si dovrà parlare di fondo intercluso, assolutamente o relativamente secondo i casi, rispetto a tale forma di passaggio anche se l’accesso alla pubblica via consente altre forme di passaggio (ad es. pedonale)”.

Le dimensioni dei veicoli si legano, nel ragionamento seguito in sentenza, alla forma di passaggio. Emerge, infatti, dal passo di sentenza della Corte d’Appello di Perugia ora riportato che, mentre risulta impedito il passaggio da parte delle autovetture, altre forme di accesso (necessariamente estrinsecate in manovre con veicoli più piccoli delle autovetture) o passaggio pedonale risultano invece possibili.

Ed è su questo punto che si incentra il nucleo fondante la decisione della Corte d’appello di Perugia nella ricostruzione del concetto di interclusione ai sensi dell’art. 1051 c.c..

Per queste ragioni, le dimensioni dei veicoli, in uno con la loro dimensione funzionale rappresentata dalla forma di passaggio, vengono prese in considerazione dalla Corte di Cassazione, la quale nega validità alla tesi secondo cui il concetto di interclusione totale vada ragguagliato alla forma di passaggio e, dunque, alle grandezze dei veicoli.

Piuttosto il concetto di interclusione totale andava ricostruito con riferimento al collegamento esistente tra il fondo e la pubblica via, a prescindere dalle forme di passaggio e dalla dimensione dei veicoli. Eventuali esigenze abitative connesse ai valori della persona rilevano semmai nel bilanciamento di interessi che filtra nell’apprezzamento dei bisogni del fondo ai sensi dell’interpretazione evolutiva dell’art. 1052 c.c. (Cass. n. 14103/2012).

Ne deriva che, nella specie, non si ravvisa alcun errore percettivo che avrebbe dovuto portare necessariamente a soluzione diversa, sicchè la revocazione risulta palesemente inammissibile.

Segue la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza delle condizioni per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla refusione ai resistenti delle spese di lite liquidate in Euro 4.500 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Dà atto della sussistenza delle condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per il versamento di ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta – 2 Civile, il 12 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2018

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