Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28895 del 08/11/2019

Cassazione civile sez. I, 08/11/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 08/11/2019), n.28895

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24140/2018 proposto da:

E.P., elettivamente domiciliato in Roma, presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso, per

procura in calce al ricorso, dall’avv. Maria Monica Bassan che

chiede di ricevere le comunicazioni relative al processo alla p.e.c.

maria.bassan.ordineavvocatipadova.it e al fax n. 049/8646524;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– resistente –

e contro

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA presso la Corte di Cassazione,

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI VERONA – Sezione Padova;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1350/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 22/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/05/2019 dal Consigliere Dott. Paola GHINOY

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Venezia confermava l’ordinanza del Tribunale che aveva rigettato la domanda proposta da E.P., proveniente dalla Nigeria, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale.

2. La Corte riferiva che il richiedente aveva raccontato di essere fuggito dalla Nigeria per sottrarsi alle minacce e intimidazioni che gli affiliati ad una setta “(OMISSIS)”, dedita ad azioni criminose praticando uccisioni e rapimenti, alla quale aveva aderito dal novembre 2007 e dalla quale intendeva uscire.

3. Argomentava che il richiedente aveva inizialmente individuato i motivi dell’allontanamento nella situazione di povertà in Nigeria e nella necessità di trovare lavoro altrove, sicchè appariva condivisibile la valutazione del primo giudice in ordine alla non credibilità del racconto elaborato successivamente. Apparivano inoltre vaghi e indeterminati i motivi di adesione alla setta, dedita ad azioni di violenza sulle persone mentre il richiedente si professava contrario alla violenza, come pure quelli dell’allontanamento dalla stessa solo dopo cinque anni. La violenza risultava inoltre denunciabile alle autorità del paese.

4. Escludeva per tale motivo la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). In relazione alla lett. c) riteneva non ravvisabile una situazione di conflitto armato costituente minaccia per l’individuo, posto che le informazioni attinte dall’UNHCR dell’ottobre 2013 e nel rapporto sulla Nigeria del 2014 non consentono di affermare che la zona a sud della Nigeria (Benin City, Edo State) dalla quale proviene il richiedente sia interessata da fenomeni di violenza diffusa integrante i profili di un conflitto armato, non essendo sufficiente il richiamo fatto dal richiedente alla possibilità di attacchi terroristici del gruppo armato di (OMISSIS).

5. Neppure ravvisava i presupposti per la protezione umanitaria, mancando qualsiasi elemento anche a livello di allegazione idoneo ad individuare una situazione di vulnerabilità.

6. Per la cassazione della sentenza E.P. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi; Il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Come primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. n, 251 del 2007, art. 3, comma 3, art. 14, lett. b) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, per mancato riconoscimento della protezione sussidiaria in ragione della non creduta veridicità della versione del richiedente.

8. Come secondo motivo il richiedente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e art. 5, per la mancanza di una corretta valutazione della situazione del paese di origine del richiedente ai fini del riconoscimento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria. Lamenta la mancata o superficiale valutazione della degenerazione della situazione esistente in Nigeria, quale riferita anche dall’UNHCR 2013, e dal sito viaggiare sicuri che, facendo riferimento al report di Amnesty International del 2015/2016, ritengono attuale la minaccia terroristica dei (OMISSIS). Richiama le fonti internazionali più aggiornate (Rapporto EASO 2017 sulla Nigeria) in base alle quali la situazione nel Paese desterebbe gravi preoccupazione sotto il profilo dell’ordine pubblico, anche per il banditismo e la lotta di gruppi armati contro le compagnie petrolifere, e la denuncia pubblicata il 21.3.2018 che riferisce i dati di Amnesty International in ordine al disastro ambientale che si sta consumando nel delta del Niger.

9. Con riguardo al primo motivo, occorre ribadire che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018). Il ricorso al Tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore. I fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono dunque necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale. In difetto di allegazioni circa la sussistenza di ragioni tali da comportare – alla stregua della normativa sulla protezione internazionale – per il richiedente un pericolo di un grave pregiudizio alla persona, in caso di rientro in Patria, la vicenda narrata deve considerarsi di natura strettamente privata, come tale al di fuori dai presupposti per l’applicazione, sia dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), (cfr. Cass. 15/02/2018, n. 3758).

10. Nel caso, la Corte territoriale ha ritenuto non credibile il racconto con riferimento alla stessa adesione alla setta “(OMISSIS)”, costituente il presupposto per la richiesta applicazione del principio di non-refoulement, sulla base di una valutazione coerente con gli oneri motivazionali e con i parametri legali di giudizio (D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 2519, ex art. 3, comma 5). Le circostanze fattuali tali da determinare il pericolo di coinvolgimento in atti di persecuzione nel paese di origine avrebbe dunque dovuto essere dedotto in giudizio dall’attuale ricorrente, che però non vi ha adeguatamente provveduto, come risulta dallo stesso ricorso per cassazione, in cui si allega, al più, la compatibilità del racconto con tale situazione e il potere e la violenza delle confraternite religiose in Nigeria. Nè il fatto che il richiedente abbia descritto il rito d’iniziazione cui sarebbe stato sottoposto contraddice la valutazione della Corte di merito di genericità del racconto, trattandosi di dato facilmente conoscibile.

11. In relazione al secondo motivo, la Corte di merito ha escluso la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), all’esito di un’ articolata valutazione desunta da siti internazionali accreditati. Il pericolo di atti terroristici da parte dei (OMISSIS) e l’insicurezza determinata dal bunkeraggio petrolifero valorizzati nel ricorso non contrastano tali valutazioni, essendo stati valutati dal giudice di merito che li ha ritenuti non tali, anche per la diversa collocazione territoriale rispetto alla zona di provenienza del richiedente, da integrare una situazione di violenza generalizzata.

12. Il motivo si sostanzia in una censura di merito all’accertamento

di fatto compiuto dalla Corte d’appello ed in tal senso risulta inammissibile, considerato che il vizio di motivazione rappresentato (travisamento di fatti decisivi) non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

13. In relazione al secondo motivo, che attiene alla protezione umanitaria di cui del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (nel testo operante ratione temporis) la valutazione della Corte di merito va confermata, avendo questa Corte chiarito (v. Cass. 23/02/2018, n. 4455 e successive conformi) che non può essere riconosciuto il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass. 28/06/2018, n. 17072).

14. Segue coerente il rigetto del ricorso.

15. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in assenza di attività difensiva degli intimati.

16. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo

di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, non risultando il richiedente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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