Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28891 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/12/2020, (ud. 12/11/2020, dep. 17/12/2020), n.28891

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34446-2018 proposto da:

(OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante

pro tempore, D.M.A., elettivamente domiciliate

in ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo studio dell’avvocato CARLO

COLAPINTO, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FILIPPO COLAPINTO;

– ricorrenti –

CURATELA DEL FALLIMENTO (OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del

Curatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato PASQUALINO CATENA;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

PROCURA DELLA REPUBBLICA C/O il TRIBUNALE DI BARI, PROCURA GENERALE

C/O la CORTE D’APPELLO DI BARI;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1793/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 22/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO

TERRUSI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Co.bi.ca. s.r.l. in liquidazione ricorre per cassazione, con un solo mezzo, contro la sentenza della corte d’appello di Bari che ne ha respinto il reclamo avverso la dichiarazione di fallimento;

deve premettersi che il fallimento era stato dichiarato contestualmente all’inammissibilità di una proposta di concordato preventivo in continuità indiretta, con cessione a terzi dell’affitto dell’azienda da liquidare in momento successivo;

in questa situazione il tribunale, con valutazione confermata in sede di reclamo, aveva ritenuto insufficiente l’attestazione del professionista in ordine all’idoneità dell’affittuaria Mageste s.r.l. a far fronte agli impregni presi e alle concrete possibilità di mantenere l’azienda in esercizio;

la ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 186-bis e 182-quinquies L. Fall., nonchè degli artt. 161,162 e 163 L. Fall., censurando la sentenza della corte territoriale per aver “operato un illegittimo controllo sulla fattibilità economica della proposta concordataria”, e per avere quindi esorbitato dal limite del giudizio di fattibilità giuridica; la curatela fallimentare resiste con controricorso e propone un motivo di ricorso incidentale in ordine alla spese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

I. – per quanto argomentata sotto un unico motivo, la tesi della ricorrente principale si concretizza in due censure;

la prima è rappresentata dall’eccepita esorbitanza dai confini di sindacato giurisdizionale quanto alla valutazione relativa alla capacità dell’affittuaria di continuare proficuamente l’attività d’impresa: da questo punto di vista la ricorrente assume che la capacità dell’affittuaria era invece emersa inequivocabilmente dall’autorizzazione regionale concernente il trasferimento e l’autorizzazione a proseguire la coltivazione e il recupero ambientale di una cava di calcare per inerti; soggiunge che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte d’appello, il professionista attestatore aveva analizzato e valutato tutte le poste dell’attivo, in linea con le risultanze a cui erano pervenuti i competenti uffici regionali; essa conclude ribadendo che Mageste s.r.l. era certamente in grado di adempiere le obbligazioni contrattuali assunte verso l’affittante, anche considerando le nuove prospettive di lavoro in rapporto alla già avvenuta implementazione degli impianti di frantumazione e agli investimenti messi in atto;

II. – la seconda argomentazione attiene invece alla valutazione di non perfetta attendibilità delle stime operate sul valore delle aree destinate a cava, che la corte d’appello avrebbe reso non avvedendosi che nelle note integrative del perito stimatore era stato evidenziato un semplice errore di calcolo, tale da ridurre il valore residuo della cava dopo quattro anni di sfruttamento; donde la formula matematica impiegata, inizialmente usata per attualizzare il valore della cava nell’ipotesi di sfruttamento della stessa per undici anni, era stata rimodulata per una capacità di sfruttamento inferiore (sette anni), dopo la scadenza del contratto di affitto, secondo la proposta concordataria;

III. – in relazione alla prima censura, il ricorso è in parte inammissibile e in parte manifestamente infondato; è inammissibile poichè si dilunga prevalentemente in assunti di merito, contrapposti a quelli ritenuti dal giudice a quo e certamente non compatibili coi noti limiti del giudizio di legittimità;

è comunque manifestamente infondato perchè questa Corte, all’esito di un percorso pluriennale che non è il caso di ripercorrere nelle sue varie tappe, si è assestata sul principio secondo cui “in tema di concordato preventivo, il tribunale è tenuto ad una verifica diretta del presupposto di fattibilità del piano per poter ammettere il debitore alla relativa procedura, nel senso che, mentre il controllo di fattibilità giuridica non incontra particolari limiti, quello concernente la fattibilità economica, intesa come realizzabilità di esso nei fatti, può essere svolto nei limiti della verifica della sussistenza, o meno, di una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi (con ciò ponendosi il giudice nella prospettiva funzionale, propria della causa concreta)”;

tali principi – è stato precisato – “vengono maggiormente in rilievo nell’ipotesi di concordato con continuità aziendale ex art. 186-bis L. Fall., laddove la rigorosa verifica della fattibilità “in concreto” presuppone un’analisi inscindibile dei presupposti giuridici ed economici, dovendo il piano con continuità essere idoneo a dimostrare la sostenibilità finanziaria della continuità stessa, in un contesto in cui il “favor” per la prosecuzione dell’attività imprenditoriale è accompagnato da una serie di cautele inerenti il piano e l’attestazione, tese ad evitare il rischio di un aggravamento del dissesto ai danni dei creditori, al cui miglior soddisfacimento la continuazione dell’attività non può che essere funzionale” (per tutte Cass. n. 9061-17, conf. Cass. n. 23311-18);

proprio in questa logica il giudice ha il compito “di controllare la corretta predisposizione dell’attestazione del professionista, in termini di completezza dei dati e di comprensibilità dei criteri di giudizio, rientrando tale attività nella verifica della regolarità della procedura, indispensabile a garantire la corretta formazione del consenso dei creditori” (Cass. n. 5825-18);

IV. – l’impugnata sentenza si pone in linea con tali principi, visto che la ratio decidendi è stata incentrata sulla non corretta predisposizione dell’attestazione sotto i profili di completezza e affidabilità del giudizio espresso circa la capacità patrimoniale dell’affittuaria, e circa le garanzie da questa offerte in ordine alla possibilità concreta di mantenere l’azienda in esercizio;

d’altronde la sentenza ha aggiunto che il tribunale aveva altresì invitato la proponente a integrare l’attestazione, senza che a tale invito fosse seguita una concreta analisi di capacità dell’affittuaria di mantenere il valore dell’impresa;

l’errore di diritto denunziato pertanto non sussiste;

come questa Corte ha sottolineato con la sentenza n. 27865 del 2019 (che ha deciso all’esito della revocazione della citata sentenza n. 23311 del 2018, viziata da errore di fatto), la previsione dell’art. 186-bis, u.c., L. Fall. attribuisce al tribunale il potere di revocare l’ammissione al concordato con continuità aziendale qualora l’esercizio dell’attività di impresa risulti manifestamente dannoso per i creditori; e ciò vuol dire che rientra nei poteri-doveri del giudice del merito, anche al momento del giudizio di ammissibilità, verificare che quanto attestato sia poi coerente con l’obiettivo del risanamento dell’impresa come indicato nella proposta e nel piano, e che non sia tale da erodere le prospettive di soddisfazione dei creditori; ove un sindacato del genere sia svolto, quale che ne sia infine l’esito, non si è mai dinanzi a un caso di esorbitanza dai confini della valutazione di convenienza economica, ma si è proprio all’interno della valutazione riservata al giudice del merito;

V. – l’esito della prima censura giustifica di per sè il rigetto del ricorso, per il consolidarsi della ratio decisionale afferente;

ciò rende inammissibile la seconda censura per difetto di interesse: seconda censura che, peraltro, sarebbe da dichiarare inammissibile in sè, poichè riflettente una critica di merito oltre tutto formulata in termini non autosufficienti;

VI. – il ricorso incidentale è inammissibile;

la curatela invero denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 94 c.p.c. nella parte in cui l’impugnata sentenza ha respinto la domanda di condanna dell’amministratore alla rifusione delle spese processuali;

sennonchè la corte d’appello ha reso la decisione su un presupposto diverso, e cioè per il difetto di interesse del curatore alla pronuncia, avendo egli già titolo per l’acquisizione e la conseguente liquidazione di tutti i beni della parte reclamante;

in questa sede si assume che la statuizione sarebbe erronea poichè la condanna era stata chiesta nei confronti del legale rappresentante in proprio (si dice perchè, incautamente e colposamente, questi aveva proposto il reclamo);

è però decisivo constatare che ciò non risulta dall’impugnata sentenza, la quale attesta che il reclamo era stato proposto in nome della società fallita; non quindi dall’amministratore in proprio, quale soggetto in tal senso parimenti interessato secondo il disposto dell’art. 18 L. Fall. (v. Cass. n. 7190-19);

pertanto, a prescindere dalla motivazione della corte territoriale, mai si sarebbe potuta pretendere la condanna in proprio del soggetto agente quale organo sociale;

l’esito dei ricorsi comporta la compensazione delle spese processuali.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile l’incidentale; compensa le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo a ciascun ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

 

 

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