Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28891 del 08/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 08/11/2019, (ud. 04/06/2019, dep. 08/11/2019), n.28891

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10950-2018 proposto da:

RISCOSSIONE SICILIA SPA, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PASUBIO 11, presso lo studio

dell’avvocato BECCHETTI SIMONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

MAIORANA ANTONIO;

– ricorrente –

contro

D.C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GIUSEPPE GIOACCHINO BELLI 122, presso lo studio dell’avvocato

SINESIO GIUSEPPE ANTONIO, rappresentato e difeso dall’avvocato

CAPONNETTO VINCENZO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 748/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 05/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ESPOSITO

LUCIA.

Fatto

RILEVATO

che la Corte d’appello di Palermo confermava la sentenza con cui il giudice di primo grado aveva accolto per intervenuta prescrizione quinquennale l’opposizione proposta nei confronti di Riscossione Sicilia S.p.a. da D.C.G. avverso intimazioni di pagamento relative a crediti previdenziali;

i giudici del merito ritenevano che, ancorchè le cartelle esattoriali sottese alle intimazioni di pagamento fossero divenute definitive per mancata opposizione, ciò non determinasse la trasformazione del termine breve in termine ordinario e che difettasse la prova di intimazioni notificate medio tempore;

che avverso la sentenza propone ricorso per cassazione Riscossione Sicilia S.p.a. sulla base di tre motivi;

che resiste l’intimato con controricorso;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

Con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2946 e 2953 c.c. nonchè del D.Lgs. n. 46 del 1999 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, osservando che quando la cartella di pagamento non viene impugnata nel termine previsto dalla legge, con l’effetto della irretrattabilità del credito, si costituisce una nuova obbligazione a carico del contribuente cui non può che applicarsi il termine di prescrizione ordinario;

con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 416 e 421 c.p.c. e del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 26 e 50, nonchè del D.Lgs. n. 261 del 1999 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, oltre a omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, osservando che erroneamente la Corte territoriale aveva disatteso il motivo di appello diretto a riconoscere efficacia interruttiva alle intimazioni di pagamento notificate in data 29/2/2008 a mani del contribuente, sul rilievo che la relativa documentazione fosse stata tardivamente prodotta, piuttosto che esercitare i poteri istruttori officiosi, in ragione della indispensabilità dei documenti ai fini della decisione, e, inoltre, aveva erroneamente affermato che detta documentazione non recava alcuna certezza della inerenza ad un atto idoneo ad esplicare efficacia interruttiva;

con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 97 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dolendosi della condanna al rimborso delle spese in favore della parte vittoriosa;

la prima censura è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., poichè sui punti contestati la Corte territoriale ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte di legittimità e l’esame dei motivi non offre elementi nuovi rispetto all’elaborazione giurisprudenziale consolidata (ex plurimìs Cass. n. 26013 del 29/12/2015, Cass. n. 10327 del 26/04/2017);

soccorre, infatti, il principio di diritto enunciato da questa Corte a Sezioni Unite (Sez. U. n. 23397 del 17/11/2016), secondo il quale: “La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’I. gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L. n. 122 del 2010)”;

in linea con il richiamato principio, con riferimento al preteso effetto novativo derivante dalla formazione del ruolo, questa Corte è intervenuta affermando che “In tema di riscossione di crediti previdenziali, il subentro dell’Agenzia delle Entrate quale nuovo concessionario non determina il mutamento della natura del credito, che resta assoggettato per legge ad una disciplina specifica anche quanto al regime prescrizionale, caratterizzato dal principio di ordine pubblico dell’irrinunciabilità della prescrizione; pertanto, in assenza di un titolo giudiziale definitivo che accerti con valore di giudicato l’esistenza del credito, continua a trovare applicazione, anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, la speciale disciplina della prescrizione prevista dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, invece che la regola generale sussidiaria di cui all’art. 2946 c.c. (Cass. n. 31352 del 04/12/2018), e ciò in conformità alla natura di atto interno all’amministrazione attribuita al ruolo (Cass. n. 14301 del 19/06/2009)”;

allo stesso modo non assume rilievo il richiamo al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, comma 6, che prevede un termine di prescrizione strettamente inerente al procedimento amministrativo per il rimborso delle quote inesigibili, che in alcun modo può interferire con lo specifico termine di prescrizione previsto dalla legge per azionare il credito nei confronti del debitore (Sez. U. n. 23397 del 17/11/2016, Cass. n. 31352 del 04/12/2018);

quanto al secondo motivo, riguardo alla prima ratio decidendi oggetto d’impugnazione, e a sostegno della fondatezza di quest’ultima, va evidenziata la natura di eccezione in senso lato del rilievo dell’interruzione della prescrizione (Cass. n. 14755 del 07/06/2018), avuto riguardo anche al disposto di Cass. Sez. U. n. 10790 del 04/05/2017, secondo cui “Nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, quella di per sè idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado”;

tuttavia, la censura è inammissibile quanto alla seconda ratio decidendi, perchè la Corte d’appello giudica la documentazione come inidonea a dimostrare l’inerenza ad un atto interruttivo mediante giudizio in fatto, in quanto tale insindacabile in questa sede, e l’inammissibilità del motivo di ricorso attinente ad una delle rationes poste a fondamento della decisione rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra (si veda Cass. n. 15399 del 13/06/2018: Il giudice di merito che, dopo avere aderito ad una prima “ratio decidendi”, esamini ed accolga anche una seconda “ratio”, al fine di sostenere la propria decisione, non si spoglia della “potestas iudicandì”, atteso che l’art. 276 c.p.c., distingue le questioni pregiudiziali di rito dal merito, ma non stabilisce, all’interno di quest’ultimo, un preciso ordine di esame delle questioni; in tale ipotesi, pertanto, la sentenza risulta sorretta da due diverse “rationes decidendi”, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, sicchè l’inammissibilità del motivo di ricorso attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non sarebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile);

il ricorso, pertanto, va complessivamente dichiarato inammissibile, con assorbimento del terzo motivo, concernente la liquidazione delle spese in ipotesi di accoglimento delle principali censure/ e con liquidazione delle spese secondo soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore di D.C.G. delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge. Nulla sulle spese nei confronti dell’Inps.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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