Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28887 del 12/11/2018

Cassazione civile sez. II, 12/11/2018, (ud. 08/05/2018, dep. 12/11/2018), n.28887

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14150/2014 proposto da:

A.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASAL

LUMBROSO N. 134, presso studio dell’avvocato MARIA LUFRANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI FORTUNATO;

– ricorrente –

contro

EMMEQUATTRO MEDICINA NUCLEARE SRL, V.M.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1537/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 14/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/05/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TRONCONE Fulvio, che ha concluso per inammissibilità 1-2-3-4

motivo, rigetto 5-6 motivo del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza non definitiva del 25.6.2012, non impugnata, la corte di appello di Palermo confermando sul punto la sentenza del tribunale della stessa città, accoglieva la domanda della società Emmequattro Medicina Nucleare s.r.l. in amministrazione giudiziaria e annullava, ai sensi dell’art. 1395 c.c., il contratto stipulato con atto notar C. del 22.10.1996 con cui la medesima società Emmequattro Medicina Nucleare s.r.l., all’epoca rappresentata dal sig. A.S., aveva venduto al medesimo A.S., in proprio, il 40% delle quote sociali della società partecipata Medicina Nucleare s.r.l..

Con la successiva sentenza definitiva n. 1537/2013 la stessa corte d’appello di Palermo, riformando sul punto la sentenza di primo grado, ha condannato il sig. A.S. a risarcire alla società Emmequattro Medicina Nucleare s.r.l. in amministrazione giudiziaria il danno alla stessa cagionato dalla stipula del suddetto contratto, determinandolo nella misura degli utili “potenzialmente conseguibili” (pag. 7, quarto cpv., della sentenza), da parte della società Emmequattro Medicina Nucleare s.r.l., in ragione della partecipazione al capitale della società Medicina Nucleare s.r.l. dal 1996 al 2011; in particolare, tale misura è stata liquidata dalla corte territoriale, sulla scorta della c.t.u. svolta nel giudizio di secondo grado, nella sorte capitale di Euro 102.134,09 (rivalutata), desunta “dagli utili e dalle perdite “effettivamente” dichiarati nei bilanci societari per il significativo arco temporale di tre anni” (pag. 8, secondo cpv., della sentenza). In proposito la corte palermitana ha argomentato che l’acquisizione del complessivo 60% del capitale della società Medicina Nucleare s.r.l. da parte del sig. A., divenuto dominus della stessa società, aveva precluso incontrovertibilmente una proficua e remunerativa gestione di tale società e che il conseguente pregiudizio patrimoniale doveva ritenersi dimostrato alla stregua del criterio del “più probabile che non”.

Avverso la sentenza definitiva n. 1537/2013 il sig. A.S. ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di sei motivi, nei confronti della Emmequattro Medicina Nucleare s.r.l. in amministrazione giudiziaria, oltre che nei confronti della signora V.M.C., erede del sig. M.V. – già socio della Emmequattro Medicina Nucleare s.r.l. e parte del giudizio di secondo grado in qualità di interventore ad adjuvandum della stessa – deceduto, come riferito nel ricorso, il 17/3/2013, nella pendenza del giudizio di secondo grado.

Nessuno degli intimati ha depositato controricorso.

La causa è stata discussa alla pubblica udienza dell’8 maggio 2018, per la quale non sono state depositate memorie illustrative e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, rubricato con riferimento dell’art. 360 c.p.c., n. 3, si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 61 c.p.c., comma 1, in cui la corte di appello sarebbe incorsa disponendo una consulenza tecnica di ufficio di carattere meramente esplorativo, in difetto di qualunque elemento di prova in ordine alla sussistenza di un pregiudizio subito dalla società Emmequattro Medicina Nucleare s.r.l. per effetto della contestata cessione della sua partecipazione sociale nella società Medicina Nucleare s.r.l.. Il sig. A. lamenta inoltre che il consulente tecnico di ufficio avrebbe utilizzato documenti forniti da un soggetto estraneo al giudizio (la società Medicina Nucleare s.r.l.) nei cui confronti non era stato emesso alcun ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. e che, peraltro, non aveva prestato alcuna collaborazione alla consulente di parte A.. In definitiva, secondo l’argomentazione svolta nel primo mezzo di ricorso, la corte territoriale avrebbe violato le regole di riparto dell’onere probatorio addossando al sig. A. l’onere provare l’insussistenza del danno dedotto in giudizio dalla società attrice.

Il motivo va giudicato inammissibile per carenza di specificità, in quanto – a fronte dell’affermazione che si legge a pag. 7, terzo capoverso, della sentenza gravata, secondo cui la relazione del consulente si sarebbe fondata “sulla scorta della documentazione contabile ritualmente acquisita agli atti del giudizio” – il ricorrente lamenta che la c.t.u. si fonderebbe “solamente su documenti acquisiti successivamente prodotti da soggetto estraneo al giudizio ovvero dalla signora T.P., amministratore delegato al momento dell’espletamento della c.t.u. della società Medicina Nucleare s.r.l.” (pagg. 6/7 del ricorso), senza, tuttavia, specificare in cosa consisterebbero tali documenti, qualene sia il contenuto e quali inferenze il consulente ne abbia tratto.

Per quanto poi riguarda la doglianza concernente l’asserito carattere “esplorativo” della consulenza tecnica di ufficio e l’utilizzo, da parte del consulente, di documenti non prodotti dalle parti, è sufficiente considerare che, in ragione dell’elevato tecnicismo del quesito, alla consulenza di cui si discute deve riconoscersi natura percipiente. Poichè la consulenza percipiente si caratterizza per la possibilità di “acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori e rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse” (così Cass. 28669/2013, in materia societaria) sarebbe stato onere del ricorrente evidenziare che le informazioni che il consulente d’ufficio ha tratto da documenti diversi da quelli ritualmente acquisiti alla causa non concernessero fatti accessori e rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza. Tale onere non è stato assolto e, conseguentemente, anche la doglianza in esame non sfugge al giudizio di inammissibilità per difetto di specificità, in ragione della già evidenziata mancanza di indicazioni, nel ricorso, sul contenuto delle risultanze emergenti dai documenti prodotti dal terzo Medicina Nucleare s.r.l. e valorizzate dal consulente di ufficio.

Anche la doglianza concernente la mancata collaborazione del terzo Medicina Nucleare s.r.l. con il consulente di parte dell’odierno ricorrente va, infine, giudicata inammissibile per difetto di specificità, risultando essa formulata in termini del tutto generici e, comunque, senza il corredo di alcuna allegazione in ordine alla rituale presentazione, da parte dell’odierno ricorrente, di istanze di esibizione ex art. 210 c.p.c., nei confronti della società Medicina Nucleare s.r.l..

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 194,198,201 c.p.c., art. 82 c.p.c., comma 2 e art. 84 c.p.c., nonchè art. 90, comma 1 e art. 91 disp. att. c.p.c., comma 2, in cui la corte di appello sarebbe incorsa fondando la propria decisione su di una c.t.u. illegittima per la mancanza del consenso di tutte le parti all’acquisizione di documenti non ritualmente prodotti; sotto altro aspetto, nel motivo d’impugnazione si lamenta che il consulente d’ufficio avrebbe omesso l’avviso alle parti dell’inizio delle operazioni peritali.

Premesso che tanto l’utilizzazione di documenti non ritualmente prodotti in causa senza il consenso delle parti, quanto l’omesso avviso alle parti dell’inizio operazioni peritali, costituiscono fonte di nullità relativa, soggetta al regime di cui all’art. 157 c.p.c., con la conseguenza che il difetto deve ritenersi sanato se non è fatto valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione peritale (cfr., per l’utilizzazione di documenti non ritualmente prodotti, Cass. 12231/02 e Cass. 15747/18, nonchè, per l’omesso avviso dell’inizio operazioni, Cass. 2594/80, Cass. 5889/83), il motivo va pur esso giudicate inammissibile per difetto di specificità, in quanto – oltre a non contenere, come già il primo motivo, alcuna precisazione in ordine al contenuto della documentazione irritualmente acquisita dal consulente nel corso delle operazioni peritali – non precisa in quale udienza o atto difensivo del giudizio di appello siano state sollevate le contestazioni all’operato del c.t.u. che formano oggetto della doglianza; laddove, secondo l’insegnamento di questa Corte, in tema di contestazioni alle conclusioni del consulente tecnico di ufficio – e, per esse, alla sentenza che le abbia recepite in motivazione – la loro ammissibilità in sede di ricorso per cassazione presuppone che ne risulti la tempestiva proposizione davanti al giudice di merito e che detta tempestività si evinca, a sua volta, dal provvedimento impugnato o dall’atto del procedimento di merito – che il ricorrente è tenuto ad indicare in modo specifico – in cui le contestazioni stesse erano state formulate, così da consentire alla Corte di Cassazione di controllare ex actis la veridicità dell’asserzione e valutare la decisività della questione. (così, tra le altre, Cass. 12532/11).

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia promiscuamente tanto la presunta violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., sotto il profilo della prova del danno, quanto l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Il ricorrente argomenta che la corte territoriale non avrebbe considerato il fatto che il sig. A. era amministratore della Medicina Nucleare s.r.l. anche prima della cessione delle quote; assume che la determinazione del danno operata nella sentenza si fonderebbe su di un criterio meramente ipotetico, basato su elementi parziali; che i ricavi dell’attività sarebbero globalmente aumentati, e non diminuiti, dopo la cessione contestata; lamenta, infine, che il c.t.u. abbia rivalutato il danno secondo gli indici Istat ancorchè il consulente di parte avesse evidenziato che gli utili non erano stati distribuiti ma reinvestiti nella società, incrementandone il capitale netto.

Il motivo è inammissibile perchè si sostanzia nella promiscua riproposizione di una pluralità eterogenea di censure, tutte attinenti al merito. Per un verso, non si indicano specifici fatti storici, trascurati dalla corte territoriale, il cui esame avrebbe ribaltato l’accertamento di fatto dalla stessa operato, cosicchè la formulazione del mezzo di gravame risulta difforme dal paradigma di cui al nuovo art. 360 c.p.c., n. 5. Per altro verso, si deducono circostanze fattuali (come il fatto che l’ A. fosse amministratore della società Medicina Nucleare s.r.l. già prima della contestata cessione delle quote, o come il fatto che, dopo tale operazione, gli utili dell’attività fossero cresciuti e non diminuiti, o come il fatto che tali utili non venissero distribuiti ai soci ma investiti nel capitale sociale) che non emergono dalla sentenza gravata e che il ricorrente non precisa in quale sede processuale sarebbero stati da lui rappresentati alla corte d’appello; in proposito giova precisare che il riferimento alla consulenza di parte del Dott. Mi., che si legge nel penultimo capoverso di pagina 15 del ricorso, è formulato senza il rispetto degli oneri di autosufficienza, mancando qualunque indicazione in ordine agli elementi considerati in tale consulenza di parte e, sotto altro aspetto, risultando il detto riferimento carente del requisito della c.d. “localizzazione interna”, per la mancata indicazione dei luoghi di tale consulenza (pagine o paragrafi) in cui gli evocati elementi sarebbero menzionati.

Con il quarto motivo di ricorso si denuncia il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in cui la corte di appello sarebbe incorsa liquidando il danno sulla base della relazione del c.t.u., che aveva usato come criterio il semplice calcolo degli utili netti percepiti dalla società Medicina Nucleare s.r.l.. Al riguardo il ricorrente argomenta che nessun danno sarebbe stato riconoscibile alla Emmequattro Medicina Nucleare s.r.l., giacchè i redditi percepiti dalla Medicina Nucleare s.r.l. non erano stati distribuiti ai soci, bensì reinvestiti.

Il motivo va disatteso perchè il vizio dedotto (omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione) non è contemplato dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo, applicabile ratione temporis, attualmente vigente. Questa Corte ha infatti chiarito, con la sentenza n. 23940/17, che in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia. In definitiva, la doglianza si risolve in una inammissibile richiesta di rinnovazione, in sede di legittimità, di un giudizio di fatto che compete al giudice di merito, senza l’indicazione di fatti storici trascurati dalla corte territoriale e dotati deltIttributo della decisività.

Con il quinto motivo di ricorso si lamenta la violazione della disciplina dell’onere della prova in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La censura si risolve, tuttavia, in una critica alla c.t.u.: “Dall’esame dell’intera consulenza tecnica e dalle conclusioni a cui è giunto il c.t.u., Dott. P.A., si rileva come nessuno dei tre metodi sia idoneo” (p. 17 ricorso).

Anche il quinto motivo, ancorchè formulato in riferimento al vizio di violazione di legge (peraltro senza l’indicazione delle norme nella cui violazione il vizio consisterebbe) prospetta, in sostanza, una critica di merito alle conclusioni del consulente tecnico, peraltro fondata su una circostanza fattuale, quale quella che la società Medicina Nucleare opererebbe in regime di accreditamento col Servizio Sanitario Nazionale, che non emerge dalla sentenza impugnata; tale circostanza risulterebbe, secondo il ricorrente, dalla relazione del suo consulente di parte ma, anche in questo mezzo di ricorso, risulta carente il requisito della localizzazione interna delle emergenze documentali concernenti i fatti posti a fondamento della censura, non indicandosi in ricorso la pagina o il paragrafo della consulenza di parte in cui la suddetta circostanza verrebbe menzionata. Sotto altro aspetto, va altresì sottolineato (cfr. Cass. n. 7972/07) che nel giudizio di cassazione non è consentito alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito.

Con il sesto motivo di ricorso il ricorrente impugna la statuizione sulle spese per violazione dell’art. 91 c.p.c., poichè il rigetto della domanda risarcitoria avrebbe giustificato la condanna alle spese della società e del sig. M..

Il motivo è inammissibile, poichè esso non denuncia alcun vizio della sentenza, come si desume dalla sua formulazione in chiave ipotetica: “Il rigetto della domanda risarcitoria avrebbe giustificato la condanna alle spese della Emmequattro Medicina Nucleare e del Dott. M.” (pag. 19 ricorso).

In definitiva il ricorso deve essere rigettato in relazione a tutti i motivi in cui esso si articola.

Non vi è luogo a regolazione di spese, in difetto di attività difensiva degli intimati.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, da parte del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2018

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