Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28879 del 01/12/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 01/12/2017, (ud. 27/06/2017, dep.01/12/2017),  n. 28879

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che con sentenza in data 11 febbraio 2012 la Corte d’appello di Napoli, in parziale accoglimento dell’appello di F.G. avverso la sentenza del Tribunale di S.M. Capua Vetere del 6 maggio 2008, condanna l’Azienda Ospedaliera di rilievo nazionale e di alta specializzazione (OMISSIS) – Ospedale civile di (OMISSIS) al risarcimento del danno, in favore del F., da commisurare al 50% della retribuzione percepita per ciascun mese a decorrere dall'(OMISSIS) fino al (OMISSIS), oltre agli interessi legali dalla maturazione dei crediti;

che, per quanto qui interessa, la Corte territoriale precisa che:

a) è incontestata la ricostruzione del percorso professionale del F. a partire da quando (17 giugno 1991) ha iniziato a svolgere l’attività di direttore medico del Presidio ospedaliero di (OMISSIS), con rapporto a tempo indeterminato, in qualità di vincitore del concorso per titoli ed esami indetto per la copertura di un posto di direttore sanitario fino al provvedimento 7 ottobre 2003, con il quale è stato rimosso dall’incarico di dirigente medico fino ad allora ricoperto e gli sono state attribuite altre funzioni (di “product manager”);

b) in base al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato gli atti e i procedimenti posti in essere dalla Pubblica Amministrazione ai fini della gestione dei rapporti di lavoro subordinato devono essere valutati secondo gli stessi parametri che si utilizzano per i privati datori di lavoro, in base ad una precisa scelta legislativa (nel senso dell’adozione di moduli privatistici dell’azione amministrativa) che la Corte costituzionale ha ritenuto conforme al principio di buon andamento dell’Amministrazione di cui all’art. 97 Cost. (sentenze n. 275 del 2001 e n. 11 del 2002), sicchè, esclusa la presenza di procedimenti e atti amministrativi, non possono trovare applicazione i principi e le regole proprie di questi e, in particolare, le disposizioni dettate dalla L. 7 agosto 1990, n. 241;

c) nel nuovo assetto, che in materia sanitaria è stato realizzato con il D.Lgs. n. 502 del 1992, la dirigenza è caratterizzata da temporaneità degli incarichi e dall’esclusione della configurabilità di diritti soggettivi degli interessati a conservare in ogni caso determinate tipologie di incarico dirigenziale, ancorchè corrispondenti all’incarico assunto a seguito di concorso specificatamente indetto per determinati posti di lavoro e anteriormente alla cosiddetta “privatizzazione”;

d) ne deriva che nel lavoro pubblico privatizzato alla qualifica dirigenziale corrisponde soltanto l’attitudine professionale all’assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo e questo non consente, perciò, di ritenere applicabile l’art. 2103 c.c., risultando la regola del rispetto di determinate specifiche professionalità acquisite non compatibile con lo statuto del dirigente pubblico;

e) nella specie, anche se il F. è stato immesso nel ruolo dirigenziale come vincitore di concorso molto prima delle data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 502 del 1992 (1 gennaio 1993) il suo rapporto deve essere “riconsiderato” alla stregua della nuova disciplina, che ha il suo fulcro nella temporaneità degli incarichi;

f) peraltro, l’Amministrazione non ha provveduto a comunicare all’interessato il termine finale dell’incarico ricoperto, quindi può applicarsi come termine massimo di durata quello di sette anni previsto dal D.Lgs. n. 502 cit., art. 15, come modificato dal D.Lgs. n. 229 del 1999;

g) ebbene, al momento in cui è intervenuto il provvedimento di rimozione mancava più di un anno alla suddetta scadenza, pertanto deve configurarsi un inadempimento della PA per mancato rispetto del suddetto termine massimo di durata dell’incarico (9 maggio 2005);

h) nel periodo compreso tra l’8 ottobre 2003 e il 9 maggio 2005 indubbiamente il F. ha subito un danno professionale, in termini di immagine, che è stato provato e che deriva principalmente dall’adibizione a mansioni di livello molto inferiore a quelle svolte in precedenza;

i) tale danno va quantificato nei suindicati termini;

che avverso tale sentenza F.G. propone ricorso affidato a tre motivi, al quale oppone difese l’Azienda Ospedaliera di rilievo nazionale e di alta specializzazione (OMISSIS) – Ospedale civile di (OMISSIS) con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale per due motivi.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, il ricorso principale è articolato in tre motivi;

che con il primo motivo, si denunciano (ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5): a) essa motivazione; b) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15, e s.m.i. nonchè del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 26, (nel testo originario), ribadendosi l’inapplicabilità nella specie della normativa sulla temporaneità degli incarichi dirigenziali essendovi una regolare immissione in possesso a seguito di superamento del concorso in epoca precedente l’entrata in vigore della nuova disciplina, mentre nel nuovo regime il rapporto nasce con un contratto. Il ricorrente aggiunge che non si è tenuto conto del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 26, che dettando la “Norma transitoria per la dirigenza del Servizio sanitario nazionale”, ha stabilito, al comma 1: che “1. Le posizioni funzionali corrispondenti al decimo ed undicesimo livello retributivo dei ruoli professionale, tecnico ed amministrativo delle amministrazioni, delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale sono conservate ad personam fino all’adozione dei provvedimenti di attribuzione della qualifica di dirigente prevista dall’art. 22”. Anche il D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15, prevedeva una norma transitoria nel comma 4, stabilendo che: “4. Il personale appartenente alle posizioni funzionali apicali può optare in prima applicazione del presente decreto per il rapporto quinquennale rinnovabile di cui al comma precedente”. Peraltro l’Azienda non ha mai modificato i termini del rapporto, sicchè, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 21, e della relativa giurisprudenza di legittimità, il F., non poteva subire la revoca implicita dell’incarico dirigenziale, non ricorrendone i presupposti, con conseguente diritto alla riassegnazione di tale incarico illegittimamente revocato;

che con il secondo motivo, in via gradata, si denuncia (ex art. 360 c.p.c., n. 3), violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15, e s.m.i., perchè l’ipotetica applicabilità di tale norma avrebbe comportato l’obbligo dell’Amministrazione di provvedere a modificare i termini del rapporto e, in particolare, a comunicare all’interessato il termine finale dell’incarico ricoperto;

che con il terzo motivo, in via ulteriormente gradata, si denunciano (ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5): a) omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; b) violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., e del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15, e s.m.i., per non avere la Corte d’appello riconosciuto il diritto al risarcimento del danno per tutto il periodo in cui il F. è stato distolto dall’incarico dirigenziale e quindi dal relativo provvedimento fino all’effettiva reintegrazione o quanto meno fino alla sua legittima durata (se ipoteticamente trasformato in temporaneo) quindi almeno fino al 30 novembre 2014 oppure al 30 novembre 2007;

che il ricorso incidentale è articolato in due motivi;

che con il primo motivo si denunciano (ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5): a) omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; b) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15, come modificato dal D.Lgs. n. 229 del 1999, sostenendo che la PA non aveva alcun obbligo di comunicazione al F. del termine dell’incarico dirigenziale, essendo l’atto di conferimento di tale tipo di incarico un atto unilaterale ricettizio, la cui adozione rileva solo sul piano dell’organizzazione e per i controlli interni previsti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 3;

che con il secondo motivo si denunciano (ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5): a) omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; b) violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., e del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15, si sostiene che non essendo configurabile “alcun comportamento inadempiente dell’Amministrazione per la mancata osservanza del termine di scadenza massima dell’incarico” neppure avrebbe dovuto essere pronunciata la condanna al risarcimento del danno;

che, per le ragioni di seguito esposte, l’esame dei ricorsi porta al rigetto del primo motivo del ricorso principale nonchè dei due motivi del ricorso incidentale e all’accoglimento del secondo e del terzo motivo del ricorso principale;

che è opportuno esaminare insieme tutti i motivi sia del ricorso principale sia di quello incidentale, data la loro intima connessione;

che a tal fine, sulla base della ricostruzione in fatto effettuata dal giudice di merito, deve, in primo luogo, rilevarsi che non è contestato tra le parti il percorso professionale del F. il quale – in qualità di vincitore del concorso per titoli ed esami indetto per la copertura di un posto di direttore sanitario – a partire dal 17 giugno 1991 ha iniziato a svolgere l’attività di direttore medico del Presidio ospedaliero di (OMISSIS), con rapporto a tempo indeterminato, fino al 21 giugno 1995, dal 22 giugno 1995 al 30 novembre 2000, previa aspettativa, ha ricoperto l’incarico di direttore sanitario dell’AUSL di (OMISSIS), al termine dell’aspettativa ha ripreso servizio come direttore medico di presidio ospedaliero dell’Azienda Ospedaliera controricorrente fino al provvedimento 7 ottobre 2003, con il quale, senza preavviso, è stato rimosso dall’incarico di dirigente medico fino ad allora ricoperto e gli sono state attribuite altre funzioni (di “product manager”);

che, quanto al quadro normativo di riferimento, va ricordato che, per effetto della riforma del pubblico impiego, la dirigenza sanitaria del SSN, che rientra nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, è disciplinata dal D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (entrato in vigore il 21 febbraio 1993), e successive modificazioni, salvo quanto previsto dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, specificamente dedicato alla disciplina in materia sanitaria ed entrato in vigore 11 gennaio 1993 (vedi, D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15, comma 2, nel testo risultante dalla sostituzione ad opera del D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229, art. 13);

che le peculiarità della dirigenza sanitaria avevano determinato, nell’immediatezza dell’entrata in vigore della riforma, l’introduzione di una speciale normativa transitoria in materia, dettata dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 26, nel testo originario che si distingueva dalla generale normativa transitoria dettata dal precedente art. 25, per la dirigenza della Pubblica Amministrazione in generale (vedi, sul punto: Cons. Stato, Sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3151 e Cons. Stato Sez. 6^, 13/07/2006, n. 4488) e che prevedeva che: “Le posizioni funzionali corrispondenti al decimo ed undicesimo livello retributivo dei ruoli professionale, tecnico ed amministrativo delle amministrazioni, delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale sono conservate ad personam fino all’adozione dei provvedimenti di attribuzione della qualifica di dirigente prevista dall’art. 22” (comma 1);

che questa disciplina transitoria è stata abolita, a partire dal 13 gennaio 1994, dal D.Lgs. 23 dicembre 1993, n. 546, art. 14, che ha sostituito il testo originario dell’art. 26, dettando una più articolata normativa transitoria per la dirigenza sanitaria del SSN, con la quale ha, fra l’altro, precisato che per l’attribuzione di incarichi dirigenziali nell’ambito delle AUSL derivanti dalle leggi regionali (ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3) era necessario “tenere conto della posizione funzionale posseduta dal relativo personale all’atto dell’inquadramento nella qualifica di dirigente” (comma 2 quinquies);

che, pertanto, è da escludere che la suddetta normativa transitoria contenuta nella versione originaria del D.Lgs. n. 29 del 1993 – rimasta in vigore per un breve periodo iniziale – possa essere configurata come derogatoria, in parte qua, del principio fondamentale della privatizzazione, come è confermato dall’esito finale del coordinamento tra le norme generali e quelle speciali per la dirigenza sanitaria che si è realizzato con il D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 e ss., nel testo risultante dalle modifiche di cui al D.Lgs. n. 229 del 1999, art. 13, (arg. ex Cass. 3 novembre 2006, n. 23549);

che, del resto, come più volte affermato dalla Corte costituzionale, la riforma del lavoro pubblico, introdotta con il D.Lgs. n. 29 del 1993, e profondamente innovativa è ispirata “alle finalità di “accrescere l’efficienza delle amministrazioni in relazione a quella dei corrispondenti uffici e servizi dei Paesi della Comunità Europea”, di “razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli della finanza pubblica”, di “integrare gradualmente la disciplina del lavoro pubblico con quella del lavoro privato” (v. art. 1)”, ricomprendendovi anche la dirigenza (Corte cost., sentenze n. 359 del 1993 e n. 150 del 2015);

che, con riguardo alla dirigenza, nella costante e condivisa giurisprudenza di questa Corte è stato affermato che in materia di incarichi dirigenziali il legislatore della riforma ha attribuito al datore di lavoro pubblico ampia potestà discrezionale sia nel non avvalersi di un determinato dipendente pur in possesso della qualifica di dirigente mettendolo così a disposizione (prima del ruolo unico di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993, come modificato dal D.Lgs. n. 98 del 1980, art. 15, e ora dei ruoli di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 23) sia nella scelta dei soggetti cui conferire incarichi dirigenziali, aggiungendosi che, rispetto a tale potestà discrezionale, la posizione soggettiva del dirigente aspirante all’incarico non può atteggiarsi come diritto soggettivo pieno, bensì come interesse legittimo di diritto privato, posizione prodromica a quella della costituzione del rapporto dirigenziale da riportare, quanto alla tutela giudiziaria, nella più ampia categoria dei “diritti” di cui all’art. 2907 cod. civ. (vedi, per tutte: Cass. 5 dicembre 2011, n. 25972; Cass. 30 maggio 2011, n. 11901; Cass. 14 aprile 2008, n. 9814; Cass. 22 giugno 2007, n. 14624; Cass. 23 febbraio 2007, n. 4275);

che, tuttavia, la posizione di chi è utilmente inserito nella graduatoria del concorso per la qualifica dirigenziale non può certamente essere equiparata a quella dell’attuale ricorrente che – avendo vinto un concorso pubblico come direttore sanitario molto prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 29 del 1993, e avendo di conseguenza cominciato a lavorare nel giugno 1991 – sicuramente, in base alla normativa all’epoca vigente era titolare di un diritto soggettivo pieno alla qualifica e alle funzioni di direttore sanitario (arg. ex Cass. SU 23 settembre 2013, n. 21671 e Cass. 21 aprile 2006, n. 9384);

che con l’entrata in vigore della riforma tale posizione soggettiva non poteva permanere in quanto tale, essendo noto che il diritto quesito funziona come limite alla retroattività della legge (statale) soltanto se questa non dispone in senso contrario, ben potendo la legge stessa modificare, ridurre o persino sopprimere un diritto quesito, sia espressamente, sia con una disposizione chiaramente incompatibile con l’ulteriore permanenza di un tale diritto (Cass. 29 agosto 1963, n. 2372; Cass. SU 1 marzo 1988, n. 2166; Cass. 16 giugno 2014, n. 13960);

che la precedente notazione, unitamente con la ricostruzione del quadro normativo di riferimento, portano al rigetto del primo motivo del ricorso principale, le cui argomentazione sono basate sull’esistenza del diritto del F. alla riassegnazione dell’incarico incarico illegittimamente revocato;

che però è indubbio che la suddetta posizione soggettiva avrebbe dovuto essere opportunamente “armonizzata” con il nuovo assetto organizzativo del settore e quindi dell’Azienda;

che, a tal fine, diversamente da quel che si afferma nella sentenza impugnata, non era sufficiente che l’Amministrazione provvedesse ad effettuare la comunicazione all’interessato del termine finale dell’incarico ricoperto, senza averlo prima sentito e senza che vi fosse stata una preventiva stipulazione del contratto individuale ad hoc;

che, infatti, l’Azienda, per procedere correttamente alla suddetta “armonizzazione” avrebbe dovuto prima provvedere ad effettuare la necessaria revisione ordinamentale, tenendo conto anche della particolare posizione del F., secondo quanto disposto dalla legislazione generale (a partire dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 5, invocato dalla controricorrente) e speciale nonchè dal CCNL 1994-1997 del Comparto Sanità (spec. art. 35) e poi – previo un momento di confronto con l’interessato, necessario al fine del rispetto dell’art. 97 Cost. (arg. ex Corte cost., sentenze n. 15 del 2017, n. 20 del 2016, n. 104 e n. 103 del 2007) – avrebbe dovuto predisporre, applicando il criterio dell’assicurazione della corrispondenza delle funzioni a parità di struttura organizzativa (come indicato nel D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 26, nel testo sostituito dal d.lgs. n. 546 del 1993), il contratto individuale contenente il nuovo inquadramento del F. come concordato e la relativa tempistica, che poi avrebbe dovuto sottoporre alla sottoscrizione del dirigente;

che, infatti, è jus receptum che nell’impiego pubblico privatizzato, nell’ambito del quale anche gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall’Amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, le norme ora contenute nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, (ex D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 19, come sostituito prima dal D.Lgs. n. 546 del 1993, art. 11, e poi dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 13, e successivamente modificato dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 5) – e, per la dirigenza sanitaria del SSN, nel D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 e ss., – obbligano l’Amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. (tra le tante: Cass. SU 23 settembre 2013, n. 21671; Cass. 23 settembre 2013, n. 21700; Cass. 12 ottobre 2010, n. 21088; Cass. 14 aprile 2008, n. 9814);

che questo, nel nuovo ordinamento, non implica l’applicabilità dell’art. 2103 c.c., in quanto la regola del rispetto di determinate specifiche professionalità acquisite non è compatibile con lo statuto del dirigente pubblico quale risulta dalla riforma, il cui incarico essendo soggetto ai principi della temporaneità e della rotazione esclude la configurabilità di un diritto soggettivo a conservare in ogni caso determinate tipologie di incarico dirigenziale – anche se corrispondenti all’incarico assunto a seguito di concorso specificatamente indetto per determinati posti di lavoro e anteriormente alla cosiddetta “privatizzazione” – in linea con il principio generale secondo cui, nel lavoro pubblico, alla qualifica dirigenziale corrisponde soltanto l’attitudine professionale all’assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo (vedi, per tutte: Cass. 15 febbraio 2010, n. 3451);

che, però, il rispetto dei criteri generali di correttezza e buona fede si traduce oltre che nell’obbligo delle Amministrazioni di adottare adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e di esternare le ragioni giustificatrici delle proprie scelte anche per quel che riguarda il caso di specie – nel promuovere tempestivamente la stipulazione del contratto individuale indispensabile per effettuare un corretto inserimento del F. nella nuova organizzazione anzichè, senza mai modificare i termini del rapporto e senza alcuna preventiva comunicazione, revocare implicitamente – come riconosce anche la Corte territoriale – l’incarico dirigenziale che il F. stava legittimamente esercitando dall’11 dicembre 2000, con il provvedimento del 7 ottobre 2003, con il quale è stata disposta la rimozione del ricorrente dall’incarico di dirigente medico fino ad allora ricoperto e gli sono state attribuite altre funzioni (di “product manager”) diverse e inferiori, nella sostanza, a quelle da sempre svolte;

che, come già affermato da questa Corte (vedi: Cass. 9 gennaio 2017, n. 217 nonchè Cass. 4 aprile 2017, n. 8717) la revoca implicita del rapporto dirigenziale determinando l’interruzione ingiustificata del rapporto di ufficio – nella specie, dirigenziale – costituisce una violazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, del giusto procedimento, nonchè di coordinamento della finanza pubblica che in questa sede rilevano come violazioni dei criteri generali di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 c.c.), configurando un inadempimento contrattuale della PA, suscettibile di produrre un danno risarcibile;

che, nella specie, la sussistenza di tale danno è stata accertata, ma ai fini della relativa quantificazione la Corte d’appello, pur muovendo dall’esatta premessa di dover fare riferimento al termine massimo di durata di sette anni previsto dal D.Lgs. n. 502 cit., art. 15, come modificato dal D.Lgs. n. 229 del 1999, tuttavia non ha preso in considerazione – sulla base di notazioni di fatto riguardanti la nuova struttura affidata al F., che però, ai presenti fini, sono del tutto irrilevanti in quanto non incidono sul riscontrato inadempimento contrattuale della PA – tutto il periodo compreso dal provvedimento che lo ha distolto dall’incarico dirigenziale fino alla legittima durata del rapporto se considerato trasformato in temporaneo e quindi fino al 30 novembre 2007;

che, in estrema sintesi: a) il primo motivo del ricorso principale va respinto in quanto non può affermarsi l’esistenza del diritto del F. alla riassegnazione dell’incarico incarico illegittimamente revocato, visto che il diritto soggettivo pieno alla qualifica e alle funzioni di direttore sanitario di cui era titolare nel vecchio ordinamento non poteva ulteriormente permanere come tale dopo l’entrata in vigore della riforma del pubblico impiego, per incompatibilità con tale riforma; b) il secondo e il terzo motivo del ricorso principale vanno accolti in quanto il comportamento della PA è stato inadempiente e tale da produrre danni risarcibili, la cui esistenza è stata accertata dalla Corte d’appello, che però ha errato nella relativa quantificazione; c) il primo motivo del ricorso incidentale va rigettato essendo basato sull’erroneo presupposto secondo cui la PA, nell’attribuzione degli incarichi dirigenziali, non deve adottare adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle proprie scelte (in cui rientra anche la comunicazione di cui si discute), come è invece richiesto dall’art. 97 Cost., e quindi per il rispetto dei canoni della correttezza e buona fede; d) il secondo motivo del ricorso incidentale va respinto perchè basato sulla premessa dell’inesistenza di un inadempimento dell’Amministrazione, di cui è stata dimostrata l’erroneità;

che la sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, che si atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e quindi anche al seguente:

“in tema di lavoro pubblico contrattualizzato, nell’ipotesi di un rapporto di lavoro di un dirigente iniziato prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 29 del 1993, per effetto del superamento da parte del dirigente stesso di un regolare concorso pubblico, il diritto soggettivo pieno alla qualifica e alle funzioni proprie del posto messo a concorso e poi occupato di cui l’interessato, in base alla normativa all’epoca vigente, era titolare in qualità di vincitore del relativo concorso, non può permanere in quanto tale dopo l’entrata in vigore della riforma del pubblico impiego (21 febbraio 1993), per evidente incompatibilità con la disciplina della dirigenza contenuta in tale riforma, i cui principi si rinvengono anche nel D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15 e ss., (entrato in vigore gennaio 1993) specificamente dedicato alla dirigenza sanitaria del SSN. Pertanto, l’ente datore di lavoro – nella specie un’Azienda sanitaria – si deve attivare per fare in modo che la suddetta posizione soggettiva sia opportunamente “armonizzata” con il nuovo assetto organizzativo del settore e quindi dell’ente stesso. A tal fine il datore di lavoro pubblico, dopo aver provveduto ad effettuare la necessaria revisione ordinamentale tenendo conto anche della particolare posizione del suddetto dirigente, deve, previo un momento di confronto con l’interessato, predisporre, applicando il criterio dell’assicurazione della corrispondenza delle funzioni a parità di struttura organizzativa, il contratto individuale contenente il nuovo inquadramento del dirigente come concordato e la relativa tempistica, che poi deve sottoporre alla sottoscrizione del dirigente stesso. Se ciò non avviene e l’Amministrazione, senza alcun preavviso, revoca implicitamente e illegittimamente l’incarico dirigenziale in precedenza regolarmente conferito (dopo l’entrata in vigore della suddetta riforma), assumendone il carattere temporaneo mai prima evidenziato, la PA datrice di lavoro adotta un comportamento che non risulta rispettoso dei criteri generali di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) – applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., – e che configura un inadempimento contrattuale della PA medesima, suscettibile di produrre un danno risarcibile”.

PQM

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale; accoglie il secondo e il terzo motivo del ricorso principale. Cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2017

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