Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28878 del 08/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 08/11/2019, (ud. 13/09/2019, dep. 08/11/2019), n.28878

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29381-2018 proposto da:

B.A.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PIETRO MASCAGNI 186, presso lo studio dell’avvocato JACOPO MARIA

PITORRI;

– ricorrente –

Contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RI

CONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 4573/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA

TRICOMI.

Fatto

RITENUTO

CHE:

Con ricorso del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, B.A.O., nato in Nigeria, chiedeva al Tribunale di Roma che gli venisse riconosciuta una delle diverse misure di protezione internazionale, erroneamente denegate dalla Commissione territoriale. Il giudice adito respingeva il ricorso ritenendo inattendibile il narrato del ricorrente in ordine alle ragioni dell’allontanamento dal suo Paese e non sussistenti i presupposti per il riconoscimento delle diverse forme di protezione richiesta avendo considerato la situazione dell’area regionale di provenienza e l’assenza di condizioni peculiari di vulnerabilità.

La Corte di appello di Roma, con la sentenza epigrafata, ha dichiarato inammissibile l’appello per difetto di specificità dei motivi ex art. 704 quater e art. 342 c.p.c., avendo rilevato che l’appellante aveva riproposto le ragioni svolte in primo grado senza sottoporre a specifica censura le ragioni svolte dal tribunale.

Il richiedente propone ricorso con cinque mezzi, sollevando infine un’eccezione di legittimità costituzionale. Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il proposto ricorso, si deducono le seguenti censure: 1) la violazione della Dir. n. 83 del 2004 CE recepita dal D.Lgs. n. 251 del 2007, lamentando la mancata attivazione del potere istruttorio officio da parte del Tribunale in relazione alle domande proposte; 2) l’omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione delle condizioni del Paese di origine che, ove considerate, avrebbero condotto all’accoglimento della domanda; 3) la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per mancata concessione da parte del Tribunale di Roma della protezione sussidiaria; 4) la errata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per la mancata concessione della protezione umanitaria; 5) l’errata applicazione degli artt. 704 quater e 342 c.p.c., da parte della Corte di appello nella declaratoria di inammissibilità dell’appello.

Infine viene prospettata una eccezione di legittimità costituzionale in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, come modificato dal D.Lgs. n. 13 del 2017, art. 6, laddove ha soppresso il mezzo di impugnazione dell’appello, in relazione agli artt. 3,24,111 e 113 Cost..

2. Preliminarmente va dichiarata non rilevante l’eccezione di costituzionalità, che attiene a disposizione normativa che non trova applicazione nel presente giudizio, svoltosi nei due gradi di merito in applicazione della normativa previgente, oltre che manifestamente infondata come già affermato da questa Corte con la sentenza n. 27700 del 30/10/2018, alla quale è qui sufficiente rinviare.

3. Passando all’esame dei motivi, privilegiando il criterio logico va esaminato con priorità il quinto, l’unico che attinge la ratio decidendi espressa dalla Corte territoriale.

Il motivo è inammissibile.

Come già affermato da questa Corte, deve in primo luogo ribadirsi che, con riferimento alla denuncia di specifiche violazioni di norme procedurali la Corte di cassazione è giudice del fatto (inteso in senso processuale) ed ha il potere – dovere di accertarle procedendo all’esame diretto degli atti (Cass., Sez. un., 22 maggio 2012, n. 8077; Cass., 22 gennaio 2006, n. 24856). Non può omettersi di rilevare, tuttavia, che l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza di esso (Cass. n. 18932 del 27/09/2016; Cass. n. 8055 del 31/3/2007).

A tale onere si è sottratto il ricorrente, il quale si è limitato a formulare in modo stringato ed assertivo la censura in esame senza riprodurre, nemmeno nei suoi passaggi principali, l’atto di gravame proposto, il cui esame era necessario per apprezzare la ricorrenza o meno della violazione denunciata.

Il giudizio di inammissibilità formulata dalla Corte di appello avrebbe dovuto essere contestato, mediante la deduzione della violazione dell’art. 342 c.p.c., con l’indicazione delle ragioni per cui avrebbe dovuto essere ritenuta erronea tale statuizione e sufficientemente specifico, invece, l’atto di gravame sottoposto a quel giudice, riportandone il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (Cass., 10 gennaio 2012, n. 86; Cass., 20 settembre 2006, n. 20405; Cass., 31 marzo 2007, n. 8055).

Detto principio non contrasta con l’orientamento secondo cui il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione relativa a un vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda: le Sezioni unite di questa Corte, proprio nel risolvere il relativo contrasto, hanno riaffermato la necessità che la censura sia stata proposta dal ricorrente “in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito” (Cass. Sez. U. n. 8077 del 22/5/2012).

4. La declaratoria di inammissibilità del quinto motivo comporta l’assorbimento degli altri.

5. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non si provvede sulle spese per mancanza di attività difensiva della controparte.

Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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