Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28876 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/12/2020, (ud. 27/10/2020, dep. 17/12/2020), n.28876

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18812-2019 proposto da:

M.J., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AUGUSTO RIBOTY

23, presso lo studio dell’avvocato VALERIA GERACE, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS) COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI CASERTA,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 06/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. SCOTTI

UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA e RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, rilevato che:

con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008 ex art. 35 bis M.J., cittadino del Bangladesh, ha adito il Tribunale di Napoli – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria

il ricorrente aveva riferito di essere nato nel villaggio di Uttor Lolitadaho, nella provincia di Joshor, in Bangladesh; di provenire da una famiglia molto povera; che il padre era rimasto ferito in un incidente del 2011; di aver deciso di sposarsi con una donna molto giovane che potesse aiutare la famiglia nelle faccende domestiche; di essere partito per la Libia in cerca di lavoro con il denaro ricevuto a titolo di dote dalla famiglia della moglie; di essere rimasto in Libia alcuni anni; di essere arrivato in Italia ad agosto del 2016, perchè in Libia non veniva retribuito per il lavoro che svolgeva; che sua moglie lo aveva lasciato a causa della estrema povertà in cui vivevano; che in alcuni giorni non avevano denaro per mangiare e che per lo stesso motivo suo figlio non andava a scuola;

con decreto del 20/3/2019 il Tribunale ha respinto il ricorso, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria.

avverso il predetto decreto del 6/5/2019, comunicato in pari data, ha proposto ricorso M.J., con atto notificato il 3/6/2019, svolgendo tre motivi;

l’intimata Amministrazione dell’Interno ha resistito con controricorso notificato il 17/7/2019, chiedendo l’inammissibilità o il rigetto del ricorso; è stata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. la trattazione in camera di consiglio non partecipata;

ritenuto che:

con il primo motivo, rubricato A, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di legge della Convenzione di Ginevra del 28/7/1951 nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione all’esigenza di accordare al ricorrente una forma gradata di protezione o altre forme residuali;

le censure articolate con il motivo in tema di protezione sussidiaria e umanitaria si basano su deduzioni del tutto generiche, in assenza di riferimenti a una situazione personalizzata di minaccia di danno grave alla persona nella nozione delineata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ed esprimono un mero dissenso di merito dalla motivata valutazione del Tribunale, basata su informazioni tratte da fonti internazionali, debitamente citate e sintetizzate;

con il secondo motivo, rubricato B, il ricorrente denuncia omesso/errato esame della storia del ricorrente in relazione alla situazione di violazione dei diritti umani in Bangladesh;

il motivo, etichettato come omesso o errato esame della storia personale del richiedente asilo, e quindi non riconducibile a un mezzo tipizzato di ricorso previsto dall’art. 360 c.p.c., contiene deduzioni del tutto generiche e indeterminate e non rapportate alla ratio decidendi del provvedimento impugnato, basato sulla ragione meramente economica del viaggio migratorio e, quanto alla richiesta residuale di protezione umanitaria, sull’assenza di un percorso di integrazione sociale e lavorativa sul territorio nazionale;

con il terzo motivo, rubricato C, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della Direttiva Europea 2004/83/CE del Consiglio del 29/4/2004 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione all’onere probatorio;

fa difetto nel terzo motivo in tema di onere della prova l’imprescindibile collegamento della generica censura sollevata con il contenuto del provvedimento impugnato, che consegna anch’esso all’inammissibilità per difetto di pertinenza;

il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate nella somma di Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

 

 

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