Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28873 del 17/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/12/2020, (ud. 27/10/2020, dep. 17/12/2020), n.28873

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34549-2018 proposto da:

COMUNE DI GELA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 249, presso lo studio

dell’avvocato FRANCESCA CARPENTIERE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GAETANO D’ARMA;

– ricorrente –

contro

M.E., D.V., M.G. nato il

(OMISSIS), M.F., M.A.M.,

nella qualità di eredi di M.F.A.,

M.G. nato il (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

GIANNETTO VALLI 93, presso lo studio dell’avvocato CARMELO FABRIZIO

FERRARA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIETRO

D’ALEO;

– controricorrente –

contro

M.A., M.C., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA GIANNETTO VALLI 93, presso lo studio dell’avvocato CARMELO

FABRIZIO FERRARA, rappresentati e difesi dall’avvocato LORENZO

SALVATORE INFANTINO;

– controricorrenti –

contro

S.A.A. nella qualità di Curatrice del fallimento

(OMISSIS) SRL elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIANNETTO VALLI

93, presso lo studio dell’avvocato CARMELO FABRIZIO FERRARA,

rappresentata e difesa dall’avvocato LARA GAETANA AMATA;

– controricorrente –

contro

TRE-T COSTRUZIONI DI F.M.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 343/2018 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 15/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. SCOTTI

UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA e RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, rilevato che:

F.A. e M.G. con atto di citazione notificato al Comune di Gela l’8/3/2011 hanno proposto opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione di cui al decreto di esproprio del 2/2/2011 di un loro terreno sito in Gela, contrada Olivastro, in comproprietà con A. e M.C., sostenendo che l’area, pur ritenuta edificabile, non era stata apprezzata nel suo reale valore;

si sono costituiti in giudizio sia il Comune di Gela, sia la TRE-T Costruzioni di F.M.A. e la (OMISSIS) s.r.l., in proprio e quali componenti dell’Associazione urbanistica di comprensorio Due Emme, chiedendo il rigetto della domanda, sia i due comproprietari A. e M.C., aderendo alla domanda attorea;

con sentenza del 15/6/2018 la Corte di appello di Caltanissetta ha determinato nella somma di Euro 197.160,00 l’indennità di espropriazione dell’area in questione, ordinando al Comune di Gela il deposito dell’importo, sotto deduzione delle somme già versate, alla Cassa Depositi e Prestiti con gli interessi legali, condannando il Comune a rifondere le spese di lite agli attori e ai convenuti A. e M.C., e gli attori a rifondere le spese di lite a TRE-T Costruzioni di F.M.A. e a (OMISSIS) s.r.l., in proprio e quali componenti dell’Associazione urbanistica di comprensorio Due Emme, ritenuti passivamente non legittimati;

avverso la citata sentenza del 15/6/2018 ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Gela con atto notificato il 13/11/2018, rivolgendo l’impugnazione nei confronti di M.G., attore originario, di D.V., M.F., M.G., nato il (OMISSIS), M.E., M.A.M. (questi cinque in qualità di eredi dell’originario attore F.A., deceduto il (OMISSIS)), di Tre T Costruzioni di F.M.A., di M.A., di M.C. e del Fallimento della (OMISSIS) s.r.l., nel frattempo dichiarato il (OMISSIS), svolgendo quattro motivi;

al ricorso hanno resistito con controricorso A. e M.C. con atto notificato il 10/12/2018, il Fallimento (OMISSIS) s.r.l., con atto notificato il 10/12/2018, e infine M.G., e gli eredi di M.F.A., D.V., M.F., M.G., nato il (OMISSIS), M.E., M.A.M. con atto notificato il 22/12/2018, tutti chiedendone l’inammissibilità o il rigetto;

è stata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. la trattazione in camera di consiglio non partecipata;

ritenuto che:

con il primo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il Comune ricorrente deduce violazione della L. n. 244 del 2007 (finanziaria 2008), il cui art. 2, comma 89, ha riformulato il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, commi 1 e 2, e lamenta la mancata applicazione del coefficiente correttivo della diminuzione del 25%, trattandosi di intervento economico sociale poichè le aree in questione avevano assunto edificabilità legale dalla data dell’approvazione della variante al piano regolatore generale disposta definitivamente con decreto n. 665 del 2/8/2017;

la censura così svolta con il primo motivo in tema di violazione di legge per mancata riduzione del 25% dell’indennità per interventi di riforma economico-sociale, appare manifestamente infondata secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, n. 11081 del 10/06/2020, Rv. 658070 – 01Sez. 1, n. 1621 del 28/01/2016, Rv. 638750 – 01; Sez. 1, n. 2774 del 23/02/2012, Rv. 621306 – 01; Sez.1, n. 2100 del 28/1/2011), stabilmente orientata a ritenere che nel caso di procedimento di espropriazione per pubblica utilità adottato per realizzare un piano di zona per l’edilizia economica e popolare, non sussiste il presupposto dell’intervento di riforma economico-sociale, che giustifica la riduzione del 25% del valore venale del bene ai fini della determinazione dell’indennità, dovendo esso riguardare l’intera collettività o parti di essa geograficamente o socialmente predeterminate ed essere, quindi, attuato in forza di una previsione normativa che in tal senso lo definisca;

il primo motivo contiene anche una seconda censura, neppur evidenziata in rubrica e introdotta discorsivamente nelle pagine 12 -14 del ricorso, con cui la ricorrente si duole dell’adozione da parte della Corte nissena del criterio di valutazione analitico-ricostruttivo in luogo di quello sintetico-comparativo da essa proposto;

tale censura è palesemente inammissibile sia perchè non dà neppur debitamente conto della parte di motivazione della sentenza impugnata oggetto di censura, sia perchè conseguentemente non affronta e non confuta con specificità le ragioni addotte dalla Corte di appello per aderire alla scelta operata dal Consulente tecnico d’ufficio del metodo di valutazione analitico in luogo di quello sintetico comparativo, preferenzialmente suggerito nel quesito;

infatti la Corte territoriale, a pagina 8, terzo capoverso, ha chiarito che per l’adozione del criterio sintetico-comparativo mancava il necessario presupposto, ossia la sussistenza di un libero mercato di aree assimilabili a quella espropriata, di fatto impedito dalla conformazione dei vincoli urbanistici dell’area che precludeva una libera iniziativa privata di edificazione, con ulteriore richiamo per relationem alle pagine 20 e seguenti della relazione del C.t.u.;

è quindi superfluo ricordare che per la giurisprudenza di questa Corte in tema di liquidazione dell’indennità di espropriazione per le aree edificabili, la determinazione del valore del fondo può essere effettuata tanto con metodo sintetico-comparativo, volto ad individuare il prezzo di mercato dell’immobile attraverso il confronto con quelli di beni aventi caratteristiche omogenee, quanto con metodo analitico-ricostruttivo, fondato sull’accertamento del costo di trasformazione del fondo, non potendosi stabilire tra i due criteri un rapporto di regola ad eccezione, e restando pertanto rimessa al giudice di merito la scelta di un metodo di stima improntato, per quanto possibile, a canoni di effettività (Sez. 6 – 1, n. 6243 del 31/03/2016, Rv. 639266 – 01; Sez. 1, n. 7288 del 22/03/2013, Rv. 625861 – 01; Sez. 1, n. 9950 del 18/06/2012, Rv. 623167 – 01; Sez. 1, n. 12771 del 31/05/2007, Rv. 597125 – 01);

con il secondo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il Comune ricorrente deduce violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 7 (modificato dal D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302, art. 1) e lamenta la mancata applicazione della riduzione ivi prevista;

secondo tale disposizione l’indennità è ridotta ad un importo pari al valore indicato nell’ultima dichiarazione o denuncia presentata dall’espropriato ai fini dell’imposta comunale sugli immobili prima della determinazione formale dell’indennità nei modi stabiliti dall’art. 20, comma 3, e dall’art. 22, comma 1, e dell’art. 22-bis qualora il valore dichiarato risulti contrastante con la normativa vigente ed inferiore all’indennità di espropriazione come determinata in base ai commi precedenti;

tuttavia la Corte Costituzionale, con sentenza 2/12/2011, n. 338 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 16, comma 1, (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma della L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 4) e, ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 27, anche l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale, del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 7;

a parte la novità della questione, che non risulta discussa nel giudizio di merito, la censura è manifestamente infondata in quanto basata sulla violazione di una norma di legge dichiarata incostituzionale;

con il terzo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il Comune ricorrente deduce violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 54, per aver dichiarato il difetto di legittimazione passiva e aver quindi estromesso dal giudizio la TRE-T Costruzioni di F.M.A. e la (OMISSIS) s.r.l., in proprio e quali componenti dell’Associazione urbanistica di comprensorio Due)Anime, che era il soggetto promotore dell’espropriazione e il beneficiario del programma costruttivo, al quale dovevano essere addossati i relativi costi;

la predetta Associazione aveva eccepito per la prima volta solo in comparsa conclusionale il proprio difetto di legittimazione passiva, quindi tardivamente, perchè non si trattava di questione di difetto di legittimazione passiva ad causam ma di difetto di titolarità passiva del rapporto, non rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, sicchè la relativa eccezione avrebbe dovuto essere sollevata con la comparsa di risposta depositata tempestivamente;

inoltre la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare la rilevanza ammissiva del contegno processuale dell’Associazione che si era difesa nel merito, nominando un proprio consulente tecnico e svolgendo corpose controdeduzioni avverso la relazione peritale, incompatibile con la negazione della titolarità passiva del rapporto dedotto in giudizio;

la censura appare anch’essa inammissibile, innanzitutto perchè la Corte di appello ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva – pacificamente rilevabile anche d’ufficio – e non il difetto di titolarità passiva dell’obbligazione;

secondo la giurisprudenza consolidata ed univoca di questa Corte la legitimatio ad causam, attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto, secondo la prospettazione della parte, mentre l’effettiva titolarità del rapporto controverso, attenendo al merito, rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio dei soggetti in lite; ne consegue che il difetto di legitimatio ad causam, riguardando la regolarità del contraddittorio, determina un error in procedendo ed è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo (Sez. 1, n. 7776 del 27/03/2017, Rv. 644832 – 01; Sez. L, n. 17092 del 12/08/2016, Rv. 640784 – 01; Sez. 3, n. 2091 del 14/02/2012, Rv. 621708 -01; Sez. U, n. 1912 del 09/02/2012, Rv. 620484 – 01);

in particolare la sentenza delle Sezioni Unite, n. 2951 del 16/02/2016 ha affermato che la carenza di legittimazione ad agire può essere eccepita in ogni grado e stato del giudizio e può essere rilevata d’ufficio dal giudice, senza che si pongano problemi probatori, perchè si ragiona sulla base della domanda e della prospettazione in essa contenuta e perchè appare comprensibile che la questione non sia soggetta a preclusioni, in quanto una causa non può chiudersi con una pronuncia che riconosce un diritto a chi, alla stregua della sua stessa domanda, non aveva titolo per farlo valere in giudizio;

in ogni caso la Corte nissena ha motivato al proposito (pag-6-7 del provvedimento impugnato), rilevando che l’individuazione del soggetto attivo del rapporto di espropriazione (tenuto al pagamento dell’indennità alla resistenza nel giudizio di opposizione alla stima) doveva essere compiuta in esclusiva aderenza al decreto di espropriazione, peraltro così pronunciandosi in piena sintonia con la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, n. 10530 del 20/05/2016 Rv. 639843 – 01; Sez. 1, n. 24355 del 29/10/2013, Rv. 628205 – 01; Sez. 1, n. 12541 del 19/07/2012, Rv. 623448 – 01; Sez. 1, n. 7906 del 18/05/2012, Rv. 622602 – 0; Sez. 1, n. 13456 del 20/06/2011, Rv. 618331 -01; Sez. 1, n. 25862 del 02/12/2011, Rv. 620551 – 01);

ulteriore ragione di inammissibilità della censura discende dalla mancata prospettazione dello specifico interesse, concreto e attuale, del ricorrente a dolersi della dichiarazione di inammissibilità della domanda della parte attrice verso un altro soggetto processuale;

con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione della legge con riferimento all’art. 92 c.p.c. per aver condannato il Comune di Gela alla rifusione delle spese di lite in favore di A. e M.C.;

il motivo è palesemente inammissibile per la sua assoluta genericità, visto che il ricorrente, oltre a non spiegare meglio il riferimento all’art. 92 c.p.c. in tema di compensazione delle spese processuali asseritamente violato, non indica in alcun modo le ragioni per cui si sarebbe determinata la violazione normativa lamentata ad opera della decisione;

è quindi del tutto superfluo rilevare che i convenuti A. e M.C. avevano aderito alla domanda attorea e quali comproprietari del bene espropriato avevano anch’essi titolo a concorrere nel riparto dell’indennità di espropriazione;

il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile;

le spese debbono seguire la soccombenza liquidate a carico del Comune di Gela e in favore di tutte le altre parti processuali costituite, come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente Comune di Gela al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti A. e M.C., liquidate nella somma di Euro 7.000,00 per compensi, Euro 100,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge, del controricorrente Fallimento (OMISSIS) s.r.l., liquidate nella somma di Euro 9.000,00 per compensi, Euro 100,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge, e dei controricorrenti M.G. e D.V., M.F., M.G., nato il (OMISSIS), M.E., M.A.M., quali eredi di M.F.A., liquidate nella somma di Euro 7.000,00 per compensi, Euro 100,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2020

 

 

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