Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28866 del 08/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 08/11/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 08/11/2019), n.28866

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTO Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29476-2018 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ASIAGO, 9,

presso lo studio dell’avvocato EDOARDO SPIGHETTI, rappresentato e

difeso dall’avvocato SILVANA GUGLIELMO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 740/2018 del TRIBUNALE di CATANZARO,

depositato il 27/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa MELONI

MARINA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Catanzaro sezione specializzata per la protezione internazionale, con decreto in data 28/8/2018, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Crotone in ordine alle istanze avanzate da G.A., nato in Gambia il 9/11/1998, volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo G.A. proveniente dallo Stato del Gambia, aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Crotone di essere fuggito dal proprio paese in quanto ridotto in stato di schiavitù dallo zio che lo aveva ospitato dopo la morte dei genitori. Pertanto era fuggito per paura degli zii e non volendo vivere da schiavo. Avverso il decreto del Tribunale di Catanzaro ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi e memoria.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo e quinto motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Catanzaro ha ritenuto non credibile il suo racconto e violato il dovere di cooperazione istruttoria escludendo così senza meglio indagare i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e del diritto alla protezione sussidiaria.

Con il secondo e terzo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 13 CEDU, della L. n. 25 del 2008, artt. 8 e 13 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Catanzaro non ha acquisito informazioni sulla situazione sociopolitica del Gambia, le cui condizioni su implicate, ma non sono stati risolti tutti i problemi.

Con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Catanzaro non ha riconosciuto il diritto alla protezione sussidiaria trascurando di considerare la situazione politica del Gambia.

Con il sesto motivo di ricorso, il ricorrente denuncia vizio di motivazione e violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 ed D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Catanzaro non ha riconosciuto il diritto ad un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il ricorso è infondato e deve essere respinto. I motivi di ricorso proposti, da trattarsi congiuntamente in quanto tra loro avvinti, si sostanziano in una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione dal Tribunale, dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni e le fonti del proprio convincimento. Tale richiesta di riesame non è evidentemente deducibile quale motivo di impugnazione in questa sede di legittimità, ancor più in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v.Cass., sez. un., n. 8053/2014).

In particolare, la sentenza impugnata ha ritenuto anzitutto non credibili le dichiarazioni del ricorrente, esponendo chiaramente le plurime ragioni di tale convincimento; ha poi ritenuto, con motivazione coerente ed esaustiva, l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di provenienza del ricorrente, cioè il Gambia.

Il giudice territoriale non è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati e le vicende riferite dal ricorrente non siano credibili, sia pure nell’ambito dell’onere probatorio cd. attenuato, e che in ogni caso doveva escludersi un’esposizione alla lesione dei diritti fondamentali della persona o l’esistenza di una situazione di pericolo legata alla situazione individuale dell’istante.

In particolare riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, la sentenza impugnata (oltre alle ragioni della ritenuta genericità ed illogicità del racconto esamina la situazione della zona di provenienza e di conseguenza non ravvisa i presupposti per la protezione sussidiaria ritenendo con motivazione coerente ed esaustiva che l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e diffusa e di un conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine escludano tale diritto. La censura si risolve quindi in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v.Cass., sez. un., n. 8053/2014).

A fronte di tali accertamenti, inammissibile si mostra la censura, espressa in ricorso, circa la mancata attivazione nella specie dei poteri ufficiosi di indagine, tenendo presente: a) che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c): tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr.tra molte: Cass.n. 340/19); b) che qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la situazione persecutoria nel Paese di origine prospettata dal richiedente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr.tra molte: Cass. n. 16925/18; n. 28862/18), ipotesi che nella specie non ricorre; c) che, quanto alla sussistenza nella zona di provenienza del ricorrente di una fattispecie sussumibile nella previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il Tribunale ha precisato come la zona del Gambia non risulti dalle indicate fonti reperibili interessata dalla presenza di un conflitto di livello così elevato da comportare per i civili, per la sola presenza nel territorio in questione, il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona.

Il motivo in ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria si rivela inammissibile in quanto censura senza peraltro alcun riferimento alla situazione individuale l’accertamento di merito compiuto dal Tribunale in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente. Il ricorrente invero, a fronte della valutazione espressa con esaustiva indagine officiosa dal Tribunale di merito (in sè evidentemente non rivalutabile in questa sede) circa la insussistenza nella specie di situazioni di vulnerabilità non ha neppure indicato se e quali ragioni di vulnerabilità avesse allegato, diverse da quelle esaminate nel provvedimento impugnato.

Il ricorso proposto deve pertanto essere respinto. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva. Non ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione della Corte di Cassazione, il 21 maggio 2019.

Depositato in cancelleria il 8 novembre 2019

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