Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28863 del 16/12/2020

Cassazione civile sez. III, 16/12/2020, (ud. 10/09/2020, dep. 16/12/2020), n.28863

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28355-2019 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA, 32, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO GREGORACE, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 12/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente, C.M., è cittadino della (OMISSIS).

Racconta di essere fuggito dal suo Paese per evitare ritorsioni etniche da parte dei (OMISSIS).

In particolare, egli ha riferito nella audizione davanti alla Commissione Territoriale, svoltasi anche per via di successive integrazioni, che il padre era di etnia (OMISSIS) e la madre di etnia (OMISSIS), due gruppi contrapposti tra loro, e che egli si sentiva membro della etnia materna, ossia quella dei (OMISSIS) e che proprio per tale suo sentimento era perseguitato dai (OMISSIS), che lo avrebbero una volta addirittura ferito.

Ha chiesto il riconoscimento della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

La Commissione territoriale ha rigettato la richiesta.

Allo stesso modo, il Tribunale di Milano ha ritenuto insussistenti la ragioni addotte dal ricorrente e poco credibili le sue affermazioni.

Il ricorrente propone quattro motivi di ricorso. Non v’è costituzione del Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis.

Ritiene che, in mancanza della videoregistrazione dell’audizione tenutasi davanti alla Commissione territoriale, il Tribunale avrebbe dovuto procedere ad una nuova audizione, a pena di nullità, e che non avendolo fatto, la decisione è nulla.

Il motivo è infondato.

Nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale solo se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero (Cass. 5973/2019; Cass. 2817/2019).

L’udienza di comparizione risulta in realtà fissata.

2.- Con il secondo motivo si denuncia omesso esame di un fatto controverso e rilevante per la decisione.

In particolare, la corte di merito avrebbe omesso di valutare sia le dichiarazioni rese dal ricorrente relativamente alla sua condizione soggettiva, che gli elementi necessari a valutare la situazione socio politica del Paese di origine.

Anche questo motivo è infondato.

La corte dà ampio conto delle dichiarazioni rese dal ricorrente (pagine 5-9), riportando integralmente il loro contenuto e valutandole come inverosimili.

Inoltre, dà conto della situazione della (OMISSIS), ritenendola non tale da esibire un conflitto armato generalizzato. Dunque i fatti non sono omessi, ma considerati e valutati.

3.- Il terzo motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, attribuendo al Tribunale di non avere valutato adeguatamente la situazione del paese di origine (e dunque costituisce smentita del motivo precedente) ritenendo di dover escludere l’esistenza di un conflitto armato generalizzato, che invece risulta dalle fonti che lo stesso ricorrente, al motivo di ricorso precedente (il secondo), ha indicato a sua volta.

Il motivo è infondato.

Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. 18306/2019).

Non basta dunque riferire di situazioni di violenza o di repressione da parte dello Stato o di altri soggetti pubblici, ma occorre che il conflitto sia tanto generalizzato da essere un pericolo per i cittadini in quanto semplicemente residenti nel paese, o nell’area del paese di provenienza, e dunque un pericolo che non discende da appartenenze politiche, religiose o altro, ma che è legato alla sola presenza sul territorio.

4.- Il quarto motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5. Ritiene il ricorrente che la corte di merito ha violato il criterio di comparazione cui fare ricorso per valutare il diritto alla protezione umanitaria, ossia considerando, da un lato, il livello di integrazione raggiunto, e dall’altro, il pericolo che, data la situazione del paese di origine, tale livello venga perduto.

Adduce a sostegno di tale motivo che egli ha imparato l’italiano, ha svolto corsi di formazione durante la permanenza nel centro di accoglienza, ed ha un lavoro di cui documenta lo svolgimento.

Il motivo è fondato.

E’ pacifico che le situazioni che il ricorrente indica a sostegno della sua integrazione in Italia sono effettive: conoscenza della lingua, frequenza dei corsi, lavoro stabile. Non si tratta dunque di mettere in discussione l’accertamento in fatto operato dal tribunale; piuttosto, si tratta di sindacare la valutazione circa la rilevanza di quei fatti, ossia il valore indicativo di una integrazione sociale che essi offrono.

La corte nega che la conoscenza della lingua, la frequenza di corsi, ed un lavoro retribuito e formalizzato possano costituire essere indici di integrazione.

Ma il giudizio è da un lato apodittico: non si dice perchè quelle situazioni personali siano insufficienti, alla luce, ossia di quale criterio, e dunque cosa occorra per ritenere uno straniero integrato; per altro verso il giudizio, la di là della motivazione, è infondato in quanto ai fini della protezione umanitaria rileva che lo straniero abbia acquisito una situazione personale (riconducibile al concetto di vita privata di cui all’art. 8 CEDU) che il rimpatrio può pregiudicare.

Ed il concetto di “vita privata” non solo come ricavabile dall’art. 8 CEDU, non fa riferimento ad un livello unico e massimo di integrazione sociale; ma è suscettibile di essere riferito a livello diversi, che vanno da un minimo di integrazione sociale (lavoro, lingua, corsi di integrazione) ad un livello maggiore (oltre a lavoro e lingua, relazioni maggiori, agonismo sportivo, incarichi pubblici, ecc.).

Anche un livello minimo di integrazione, purchè sia tale, ossia sia indice dell’inserimento dello straniero nella società, attraverso ruoli significativi, come il lavoro e la conoscenza della lingua, è rilevante ai fini del giudizio sulla protezione umanitaria.

Questo motivo va dunque accolto.

P.Q.M.

La corte accoglie il quarto motivo, rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Milano, in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2020

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