Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28858 del 27/12/2011

Cassazione civile sez. I, 27/12/2011, (ud. 29/11/2011, dep. 27/12/2011), n.28858

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4530/2010 proposto da:

B.F. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 4, presso l’avvocato DELL’ERBA

FRANCO, rappresentato e difeso dall’avvocato ARMIENTI Nicola, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositato il

02/09/2009; n. 172/09 R.G.V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/11/2011 dal Presidente Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato ARMIENTI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione e rigetto dell’ultimo motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla Corte d’Appello di Lecce B.F. lamentava, nella qualità di debitore esecutato, l’irragionevole durata di un procedimento di esecuzione immobiliare, iniziato con atto di pignoramento notificato il 31 luglio 1982, proseguito fino alle sentenze della Corte di Cassazione n. 976/08 e 977/08 e, poi, fino al piano di riparto finale approvato con decreto del G.E. del 22 ottobre del 2008, e durato, quindi, complessivamente circa ventisei anni.

Chiedeva pertanto il riconoscimento del diritto ad un’equa riparazione per la eccessiva durata di detto processo, con la condanna del Ministero della Giustizia al risarcimento di tutti i danni subiti, patrimoniali – comprensivi anche delle spese sostenute per apprestare la propria difesa in giudizio, degli interessi maturati a causa della notevole dilatazione del soddisfacimento dei crediti originari e della inutile vendita di un secondo immobile di sua proprietà, il tutto a causa dell’inerzia del G.E. – e non patrimoniali, nella misura complessiva di Euro 600.000,00 o nella misura ritenuta di giustizia, oltre interessi.

La Corte adita accoglieva soltanto la richiesta di equa riparazione per i danni non patrimoniali, condannando il Ministero della Giustizia al pagamento di Euro 4.000,00, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo.

Osservava la Corte che il termine da ritenersi non ragionevole era di anni quattro e che dovevano essere riconosciuti al ricorrente equitativamente, a titolo di danno non patrimoniale, Euro 1.000,00 per ogni anno, affermando che per il resto la durata della procedura esecutiva era stata determinata dalla complessità della stessa ed in particolare dalle ripetute istanze di conversione e di riduzione del pignoramento proposte dal debitore esecutato e sulle quali il G.E. aveva provveduto in tempi decisamente ragionevoli, nonchè dall’espletamento dei giudizi di opposizione agli atti esecutivi ed all’esecuzione, proposti dal B. ed anch’essi definiti in tempi ragionevoli ed ognuno dei quali andava, peraltro conteggiato separatamente; che non poteva incidere sulla valutazione complessiva alcuna valutazione di merito in ordine alla erroneità o meno delle decisioni adottate dal G.E. o dal G.I., dovendo ai fini dell’equa riparazione farsi riferimento esclusivamente alla durata ragionevole del procedimento.

Osservava, altresì, che la sussistenza dei danni patrimoniali doveva essere esclusa sia perchè la relativa domanda era stata genericamente formulata sia perchè l’accoglimento delle istanze di riduzione del pignoramento, proposte dal B., aveva consentito di escludere il pignoramento di alcuni beni immobili, sui quali in precedenza era stata, effettuata la trascrizione e, quindi, di accertare la fondatezza delle ragioni esposte dal debitore esecutato;

che parimenti infondata era la richiesta del danno patrimoniale pari all’enorme dilatazione del credito originario per via degli interessi moratori e delle spese della procedura esecutiva nonchè della vendita necessitata dei suoi immobili per un prezzo inferiore al valore di mercato, non essendo stata fornita in modo rigoroso la prova del pregiudizio patrimoniale e quella della sua derivazione causale diretta dalla irragionevole durata del processo e non potendo attribuirsi al giudizio di equa riparazione la funzione di un mezzo attraverso il quale replicare il merito della precedente controversia. Il B., infatti, avrebbe anche richiesto in questa sede il soddisfacimento dello stesso credito o quanto meno di parte del credito fatto valere nel giudizio antecedente ed in particolare il valore venale dell’immobile venduto all’attualità e pari ad almeno 120.000,00 Euro, presumendo che la soddisfazione dello stesso sia divenuta impossibile a causa del ritardo, ma omettendo di considerare che non aveva dimostrato che tanto derivasse dalla irragionevole durata del processo.

Avverso detto decreto B.F. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi illustrati con memoria. Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, con riferimento alla valutazione e computo del periodo eccedente il termine ragionevole del processo, denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 3, in relazione all’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Art. 360 c.p.c., n. 5.

Deduce il ricorrente che la violazione della durata ragionevole non discende dall’essere stati disposti rinvii della causa di durata eccedente i quindici giorni, ma dal superamento della durata ragionevole in termini complessivi in rapporto ai parametri di ordine generale fissati dalla L. n. 89 del 2001, art. 2; che da tale complessiva durata andrebbero detratti unicamente i rinvii richiesti dalle parti solo nei limiti in cui siano imputabili ad intento dilatorio o a negligente inerzia delle stesse e, in generale, all’abuso del diritto di difesa; che nella fattispecie in esame non sarebbero minimamente ravvisabili ipotesi di possibili detrazioni nè il provvedimento impugnato riferisce alcunchè sul punto; che, pertanto, il termine di 50 mesi individuato dal giudice a quo quale ritardo suscettibile di risarcimento sarebbe errato; che nel caso del processo esecutivo immobiliare, pur considerando eventuali ritardi che potrebbero determinarsi per procedere a più aste di vendita, il termine di durata ragionevole dovrebbe individuarsi in non più di sei anni; che conseguentemente il ritardo da ritenersi irragionevole sarebbe di venti anni e quattro mesi.

Con il secondo motivo, sempre con riguardo alla valutazione e computo del periodo eccedente il termine ragionevole del processo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 2 e 3, in relazione all’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo: Art. 360 c.p.c., n. 3.

Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Art. 360 c.p.c., n. 5.

Deduce il ricorrente che nel computo della durata complessiva del procedimento di esecuzione forzata per espropriazione immobiliare, diversamente da quanto fatto dal giudice a quo, dovrebbero includersi anche i tempi ricollegabili a vicende tipiche, impiegati per la risoluzione di fasi parallele o incidentali, quali quelli occorsi per la definizione di eventuali giudizi di opposizione all’esecuzione e/o agli atti esecutivi, per l’accertamento dei crediti insinuati nella procedura, o avverso il piano di riparto, nonchè i tempi necessari per l’esperimento delle operazioni di vendita ancorchè delegate ai professionisti di cui all’art. 591 bis c.p.c., fasi ed attività che inerirebbero all’unico processo da considerare.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, con riguardo al risarcimento dei danni patrimoniali quale conseguenza del ritardo, violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi 1 e 3 in relazione all’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Art. 360 c.p.c., n. 3.

Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Art. 360 c.p.c., n. 5.

Secondo il ricorrente la decisione impugnata sarebbe censurabile per non avere considerato che nel giudizio per equa riparazione del danno per irragionevole durata del processo è suscettibile di risarcimento anche il danno patrimoniale che derivi da tale ritardo e che sia l’effetto diretto ed immediato di tale eccessiva durata secondo il principio della normale sequenza causale, in ciò ricomprendendosi tra l’altro, con riguardo alla procedura esecutiva immobiliare, il maturarsi di interessi e rivalutazione monetaria sulle somme dovute in linea capitale, le spese processuali sostenute per attività resesi necessarie per la eccessiva durata, i compensi per professionisti (tecnici ed avvocati) ampliatisi per la medesima ragione e comunque ogni altra voce suscettibile di quantificazione, o da valutarsi anche in via equitativa, che sia conseguenza diretta della irragionevole durata del processo.

Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono fondati.

Il collegio osserva che ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, la nozione di termine ragionevole va riferita alla durata del processo nel suo complesso (cfr. in tal senso per tutte cass. n. 19507 del 2005 ) e che da tale durata sono detraibili i rinvii richiesti dalle parti solo nei limiti in cui siano imputabili ad intento dilatorio o a negligente inerzia delle stesse e, in generale, all’abuso del diritto di difesa e non anche per la parte ascrivibile ad obbiettive disfunzioni ed insufficienze del sistema (cfr. per tutte Cass. n. 24356 del 2006), inteso non solo come apparato organizzativo di uomini e mezzi, ma anche come approntamento di una disciplina del processo, che ne consenta una sollecita definizione.

Il collegio osserva, altresì, che, come ritenuto per le procedure fallimentari (cfr. Cass. n. 18686 del 2005), nella durata complessiva delle procedure esecutive immobiliari devono essere inclusi anche i tempi impiegati per la risoluzione di vicende processuali parallele o incidentali (quali eventuali giudizi di opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi ovvero al piano di riparto ecc.), trattandosi di fasi ed attività processuali eventuali che comunque ineriscono all’unico processo di esecuzione immobiliare.

Alla luce dei su esposti principi, per quanto il processo esecutivo immobiliare sia complesso, non può ritenersi giustificato un periodo di durata che, come ritenuto per il processo fallimentare, con il quale presenta varie analogie, superi i sette anni, dovendo la durata ulteriore ragionevolmente, in una valutazione complessiva del processo, attribuirsi a disfunzioni o inadeguatezza del sistema giudiziario, come sopra inteso.

Per le considerazioni che precedono i predetti primo e secondo motivo devono essere accolti, il decreto impugnato deve essere cassato in relazione a detti motivi e la causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può essere decisa nel merito.

Pertanto considerata la durata del processo esecutivo immobiliare promosso contro il B., iniziato il 31 luglio 1982 e terminato con l’approvazione del piano di riparto in data 22 ottobre 2008, alla luce dei principi sopra enunciati va ritenuta non ragionevole la durata di venti anni. Conseguentemente va liquidata al B., per danno non patrimoniale la somma di Euro 1.000, per ciascun anno di durata non ragionevole, ritenuta adeguata dal giudice a quo, senza che sul punto sia intervenuta contestazione, e, quindi, complessivamente la somma di Euro 20.000,00 (ventimila), con gli interessi legali dalla domanda al saldo.

Il terzo motivo è infondato, per cui deve essere rigettato.

La decisione in punto di danno patrimoniale appare adeguatamente motivata ed immune da vizi logici od errori giuridici, avendo il giudice a quo, con plausibili argomentazioni, escluso che il danno lamentato potesse essere ricondotto, sulla base di un rapporto di derivazione immediata e diretta, alla irragionevole durata del processo.

L’accoglimento dei primi due motivi ed il rigetto del terzo, ferma la liquidazione delle spese processuali del giudizio di merito, giustifica la condanna del Ministero resistente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione, che appare giusto liquidare in Euro 1.300,00, di cui Euro 100,00 per spese vive, oltre spese generali ed accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso e rigetta il terzo;

cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e condanna il Ministero della Giustizia al pagamento di Euro 20.000,00 (ventimila) per danno non patrimoniale, con gli interessi dalla domanda giudiziale al saldo; condanna il resistente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 1.300,00, di cui Euro 100,00 per spese vive, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 29 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2011

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