Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28856 del 27/12/2011

Cassazione civile sez. I, 27/12/2011, (ud. 29/11/2011, dep. 27/12/2011), n.28856

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1005/2010 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

A.A. (c.f. (OMISSIS)), + ALTRI OMESSI

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GERMANICO

107, presso l’avvocato PICONE GIUSEPPE, rappresentati e difesi

dall’avvocato CANDIANO Orlando Mario, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

contro

O.I.;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il

12/10/2009, n. 261/09 R.C.C.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/11/2011 dal Presidente Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto depositato in data 12 marzo 2009 alla Corte di Appello di Bari A.A., + ALTRI OMESSI deducevano di avere presentato in data 9 ottobre 1999 ricorso al T.A.R. Puglia per ottenere il riconoscimento di miglioramenti stipendiali in relazione al loro rapporto di lavoro alle dipendenze delle ferrovie Appulo-lucane e di avere diritto, data l’eccessiva durata di tale processo, ad un’equa riparazione, che quantificavano nella misura di Euro 12.000,00 ciascuno.

La Corte d’Appello di Bari condannava la amministrazione resistente al pagamento a favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 7.900,00 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo. Condannava altresì la amministrazione convenuta al pagamento di detta somma a favore degli eredi di C.A., da ripartirsi fra loro in ragione dei rispettivi diritti ereditari.

Il giudice a quo osservava che, essendo intervenuta la decisione del T.A.R. (di rigetto) in data 29 maggio 2009, il ritardo della decisione (tolti tre anni di durata da ritenersi ragionevole) andava fissato in anni 6 e mesi 7, che la liquidazione equitativa dell’indennizzo andava fissata in Euro 1.200,00 per ogni anno di ritardo e che, quindi, l’indennizzo riconoscibile ammontava ad Euro 7.900,00 complessivi per ciascuno dei ricorrenti.

Avverso detto decreto il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha proposto ricorso per cassazione basato su sei motivi, cui tutti i soggetti summenzionati hanno resistito con controricorso e depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, e del combinato disposto degli artt. 2056 e 1226 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Secondo il ricorrente la circostanza che il ricorso giurisdizionale proposto dinanzi al TAR sia stato promosso collettivamente da numerosi ricorrenti, aventi tutti la medesima posizione giuridica, rileverebbe ai fini della valutazione del patema inferto dal ritardo e della misura del ristoro del danno non patrimoniale, con la conseguenza che per la predetta circostanza il ristoro del danno non patrimoniale avrebbe dovuto essere riconosciuto in misura inferiore al minimo (Euro 1.000,00 per ciascuno degli anni di durata irragionevole).

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 e 1 della CEDU in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Deduce il ricorrente che, non essendo emersi elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, la Corte di merito avrebbe dovuto liquidare Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di ritardo ed Euro 1.000,00 per gli ulteriori anni di ritardo, come stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 21840/09.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte d’Appello, nel ritenere che la questione dibattuta nel giudizio presupposto non fosse scontata, avrebbe trascurato di dare il dovuto rilievo all’esito di tale giudizio ed al fatto che vi erano specifici riferimenti normativi (D.L. n. 333 del 1992, art. 2, comma 7 e D.L. n. 384 del 1992, art. 7, comma 1), che rendevano infondata la domanda proposta dinanzi al TAR Puglia.

Con il quarto motivo il ricorrente denunciava violazione e falsa applicazione delle norme in materia rinuncia alla domanda nonchè violazione della regola di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 c.p.c.) nonchè omessa motivazione su di un punto pure decisivo per la definizione della controversia.

Deduce il ricorrente che la Corte di merito avrebbe dovuto tener conto del fatto che i ricorrenti stessi avevano rinunciato alla domanda dinanzi al TAR per quanto riguarda gli emolumenti che avevano assunto loro spettanti anche per gli anni 1992 e 1993.

Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.L. n. 333 del 1992, art. 2, comma 7 e del D.L. n. 384 del 1992, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ponendo il seguente quesito: “Dica la Suprema Corte se il D.L. n. 333 del 1992, art. 2, comma 7 e del D.L. n. 384 del 1992, art. 7, precludano incrementi retributivi ed emolumenti aggiuntivi a favore del personale dello Stato con la conseguenza che la pretesa fatta valere dai ricorrenti dinanzi al TAR Puglia era palesemente inaccoglibile e dica ancora se questa palese inaccoglibilità avrebbe dovuto influire negativamente sulle pretese fatte valere dai ricorrenti ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, nel senso di determinarne il rigetto”.

Con il sesto motivo il ricorrente denuncia omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Secondo il ricorrente la motivazione del decreto impugnato sarebbe carente per non aver preso in considerazione, ai fini della liquidazione dell’indennizzo, la circostanza che il giudizio presupposto era stato proposto da una pluralità di parti, aventi la medesima posizione giuridica, circostanza questa che non potrebbe non influire, riducendolo, sul patema d’animo di ciascuno per la eccessiva durata del processo.

Il collegio osserva che il fatto suscettibile di ingenerare patema d’animo è l’eccessiva durata del processo presupposto, mentre non vi è alcuna plausibile ragione per ritenere che detto patema d’animo possa essere ritenuto minore per il solo fatto che il processo presupposto sia stato promosso da più soggetti per far valere identiche, ma autonome pretese.

Alla luce di tale considerazione devono ritenersi infondati sia il primo che il sesto motivo del ricorso.

Osserva, altresì, il collegio che il diritto all’equa riparazione per irragionevole durata del processo presupposto prescinde dall’esito dello stesso, a meno che il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire l’irragionevole durata di esso o risulti la piena consapevolezza della infondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilità.

Tali circostanze non ricorrono nel caso di specie, avendo il giudice a quo affermato testualmente: “Va escluso che ricorra una ragione di merito che non suffraghi la richiesta di indennizzo, perchè, contrariamente a quanto sostenuto dall’Amministrazione convenuta, la questione dibattuta nel giudizio presupposto non era affatto scontata, nel senso di negare l’esistenza del diritto ai miglioramenti economici dei ricorrenti, così come ravveduto dallo stesso TAR che, pur rigettando la domanda, ha riconosciuto l’inesistenza di precedenti significativi”.

Dinanzi alla riportata affermazione del TAR il ricorrente non può pretendere che si riesamini la legislazione e la giurisprudenza in materia per affermare, in contrasto con il giudizio del TAR, che i ricorrenti fin dalla proposizione della domanda nel processo presupposto erano pienamente consapevoli della infondatezza della stessa.

Alla luce di queste considerazioni debbono pertanto ritenersi infondati anche il terzo, il quarto ed il quinto motivo.

Fondato invece è il secondo motivo.

Il giudice a quo non ha evidenziato ragioni particolari che giustifichino un indennizzo di Euro 1.200,00 per ogni anno di ritardo, superiore a quanto riconosciuto da questa Suprema Corte per situazioni analoghe.

Questa Suprema Corte ha affermato che, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta che la quantificazione del danno non patrimoniale debba essere di regola non inferiore ad Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore ad Euro 1000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente tale periodo da ultimo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (cfr. in tal senso: Cass. n. 17922 del 2010;

Cass. n. 21840 del 2009).

Pertanto il motivo in esame deve essere accolto, il decreto impugnato deve essere cassato in relazione a tale motivo e siccome, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, facendo applicazione del summenzionato condivisibile principio e, considerato che la durata non ragionevole è stata determinata dal giudice a quo in anni 6 e mesi 7, va liquidata a favore di ciascuno dei ricorrenti, a titolo di danno non patrimoniale, la somma di Euro 5.840,00, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, precisando che detta unica somma, oltre interessi, da ripartirsi fra loro in ragione dei rispettivi diritti ereditari, va liquidata a favore degli eredi di C. A.: T.R., C.M., Ca.

A. e C.G..

L’esito della controversia giustifica la compensazione delle spese giudiziali dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta gli altri;

cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e condanna il Ministero dell’economia e delle Finanze a pagare a ciascuno dei ricorrenti in proprio Euro 5.840,00, con gli interessi legali dalla domanda al soddisfo ed a favore degli eredi di C.G. ( T.R., C.M., An. e G.) l’unica somma di Euro 5.480,00, oltre interessi, da ripartirsi tra gli stessi in ragione dei rispettivi diritti ereditari; compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 29 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2011

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