Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28849 del 16/12/2020

Cassazione civile sez. III, 16/12/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 16/12/2020), n.28849

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 31809/19 proposto da:

-) D.L., elettivamente domiciliato a Vinovo, v. Calvo 2,

presso l’avvocato Ibrahim Khalil Diarra, che lo difende in virtù di

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia 11.7.2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30 giugno 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. D.L., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese poichè, dopo avere perso il proprio padre, assassinato in quanto aiutava i ribelli nel 2012, il 20 marzo di quell’anno lasciò il (OMISSIS) per recarsi prima in Algeria, quindi in Libia. Durante la sua permanenza in Libia i suoi fratelli erano stati arrestati e uccisi, secondo quanto gli aveva riferito la madre; avendo appreso dalla donna che anch’egli era ricercato, il 16 settembre 2015 lasciò la Libia alla volta dell’Italia.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento D.L. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi al Tribunale di Venezia, che la rigettò con ordinanza 17.9.2017.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Venezia con sentenza 11.7.2019.

Quest’ultima ritenne che:

-) l’appello era estraneo alla ratio decidendi adottata dal tribunale; quest’ultimo, infatti, aveva respinto tutte le domande di protezione sul presupposto della inattendibilità del richiedente; l’appello, per contro, “si dilunga in astratte considerazioni sui presupposti della protezione sussidiaria”;

-) in ogni caso l’appellante nel proprio appello non chiariva per quali ragioni nel caso di specie doveva ritenersi che egli avesse fatto tutto il possibile per circostanziare i fatti posti a fondamento della domanda di protezione;

-) ad abundantiam, la corte d’appello aggiunge che il racconto dell’appellante conteneva varie contraddizioni, ed in particolare:

–) dinanzi alla commissione territoriale aveva riferito di essere fuggito dal (OMISSIS) lo stesso giorno in cui il padre e il fratello erano stati uccisi da un gruppo islamico terrorista, indicato quale data della fuga il (OMISSIS);

nell’interrogatorio dinanzi la commissione territoriale, il richiedente aveva invece cambiato versione, sostenendo che il padre era stato ucciso il (OMISSIS), e non dai terroristi, ma dai militari in occasione di un colpo di stato, ed aveva raggiunto che il padre era anzi vicino ai terroristi e li aiutava, poichè era ricco;

-) la protezione sussidiaria non potesse essere concessa perchè nella regione di (OMISSIS), dalla quale proveniva il richiedente, non era in atto una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato (la corte d’appello cita al riguardo 11 fonti, rappresentate sia dai rapporti di organismi nazionali, sia da rapporti di organizzazioni private, sia da pubblicistica specializzata tutti compresi fra il 2016 e dicembre 2018);

-) il permesso di soggiorno per motivi umanitari non poteva essere concesso per varie ragioni, e cioè:

– -) la non credibilità soggettiva del richiedente impediva di porre a fondamento del provvedimento di protezione umanitaria la sua storia personale;

– -) la situazione geopolitica della regione di (OMISSIS), descritta nelle pagine precedenti, non avrebbe comportato, in caso di rimpatrio, una lesione dei diritti inviolabili del richiedente al di sotto del suo nucleo fondamentale;

–) doveva pertanto escludersi che “un cittadino (OMISSIS) sia, per il solo fatto di provenire dalla regione di (OMISSIS), una persona vulnerabile”.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da D.L. con ricorso fondato su due motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.

Il motivo, se pur formalmente unitario, contiene due diverse censure.

La prima censura espone una tesi così riassumibile:

-) la corte d’appello ha ritenuto inattendibile il richiedente asilo in base al presupposto che esistesse una discrepanza tra le “prime dichiarazioni scritte indirizzate alla commissione territoriale”, e le “dichiarazioni rese alla commissione territoriale”;

-) tuttavia quelle che la corte d’appello ha chiamato “prime dichiarazioni scritte indirizzate alla commissione territoriale” non erano altro che il c.d. “Modello C3”, ovvero un modulo che il richiedente asilo compila “in un contesto completamente diverso (rispetto all’interrogatorio dinanzi alla commissione territoriale) e senza alcuna garanzia per la comprensione di quanto gli viene chiesto”.

Sicchè, conclude il ricorrente, l’aver attribuito rilievo, ai fini della credibilità, le dichiarazioni contenute nel suddetto “Modello C3” ha costituito, da parte della corte d’appello, una violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 12,13 e 14.

1.1. A pagina 4, secondo capoverso, l’illustrazione del motivo inizia ad esporre una seconda censura, con la quale sostiene che la corte d’appello è pervenuta al giudizio di inattendibilità soggettiva del richiedente asilo all’esito di un procedimento viziato, consistito nella “scomposizione atomistica” dei fatti storici “puntualmente elencati dal ricorrente nel ricorso introduttivo della fase di primo grado e inseriti nel contesto sociopolitico ivi descritto nel dettaglio”.

1.2. Ambedue le censure sopra riassunte sono inammissibili per estraneità alla ratio decidendi.

La corte d’appello, infatti, sul punto della credibilità ha espresso un giudizio sostanzialmente di inammissibilità del gravame per estraneità dei motivi in esso sviluppati rispetto al contenuto della decisione impugnata.

Tanto si legge a pagina 5, terzo capoverso, della sentenza impugnata, ove si trasforma che l’appellante “non affronta il tema dell’attendibilità delle dichiarazioni”, e poco oltre si aggiunge che l’appello “non chiariva i motivi” per cui doveva ritenersi erronea la sentenza del tribunale, nella parte in cui aveva ritenuto che il richiedente non avesse fatto tutto il possibile per circostanziare i fatti narrati.

Giusta o sbagliata che fosse tale valutazione, essa doveva essere impugnata con un motivo ad hoc, e non lo è stata.

1.3. Rileva comunque questa corte, ad abundantiam, che il giudizio di inattendibilità del richiedente è stato compiuto dalla Corte d’appello sulla base di una valutazione globale dei fatti da lui narrati, e non soltanto sulla base della rilevata incoerenza tra il contenuto del modulo inviato alla Commissione Territoriale, e le dichiarazioni orali rese dinanzi ad essa.

1.4. La seconda delle censure sopra riassunte è, infine, inammissibile (oltre che per estraneità alla ratio decidendi) in quanto essa è puramente assertiva. E’ certamente vero che la valutazione degli indizi deve essere compiuta in modo organico e non atomistico; e tuttavia altresì vero che con giurisprudenza consolidata questa Corte ha sempre ribadito che colui il quale intenda dolersi in sede di legittimità di una erronea valutazione degli indizi da parte del giudice di merito, con conseguente violazione dell’art. 2729 c.c., ha l’onere di indicare:

-) i fatti indizianti acquisiti nel corso dell’istruttoria;

-) il modo in cui sono stati valutati dalla corte d’appello;

-) il “quid pluris probatorio” che si sarebbe potuto ricavare dalla loro valutazione complessiva.

Nel caso di specie, per contro, il ricorrente non indica nessuno dei tre elementi sopra elencati.

In particolare:

-) assume che la corte d’appello avrebbe dovuto rilevare “l’assoluta credibilità delle dichiarazioni del ricorrente riguarda la situazione vigente nel paese di origine”; e tuttavia la situazione di origine del paese è stata oggetto di considerazione da parte della d’appello, alle pagine 8-14 della sentenza impugnata;

-) assume che la corte d’appello avrebbe trascurato di considerare “la pluralità di fatti storici puntualmente elencati” nell’atto introduttivo del giudizio, senza indicare quali;

-) assume che sussisteva nel caso di specie “la concordanza indiziaria di ciascuno dei fatti descritti dal ricorrente”, senza indicare quali fossero.

In sostanza, tutta l’illustrazione del motivo contenuta dalla metà di pagina 4 alla fine del primo capoverso di pagina 5 non è altro che il puntuale “copia e incolla” della motivazione di Cass. 9059/18 (in tema di responsabilità del genitore che ha denigrato l’insegnante), senza alcun riferimento specifico alla fattispecie concreta qui in esame.

2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 nonchè di sette diverse norme del D.Lgs. n. 251 del 2007.

Il motivo si appunta contro il capo di sentenza che ha rigettato la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Nella illustrazione del motivo si sostiene che “contrariamente a quanto ritenuto dalla corte d’appello”, in (OMISSIS) esiste una situazione di insicurezza generale, idonea a mettere a repentaglio la vita dei civili per il solo fatto che essi si trovino sul territorio nazionale. A sostegno di tale tesi invoca un documento approvato dal consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e concernente l’attività dell'(OMISSIS), datato (OMISSIS).

In questo documento si afferma che l'(OMISSIS) si è rinforzato nel (OMISSIS), ed a (OMISSIS) ha compiuto attacchi mortali contro la missione delle Nazioni Unite.

Il motivo prosegue richiamando informazioni tratte dal sito “(OMISSIS)”, che sconsiglia i viaggi nel (OMISSIS), e conclude affermando che “alla luce di quanto descritto, appare evidente la censurabile metodologia adoperata dalla corte d’appello per giungere al giudizio negativo sulla sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione internazionale”.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Stabilire se in un Paese ci sia o non ci sia una condizione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato è un accertamento fatto. Censurabile in sede di legittimità può essere, tuttavia, le modalità con cui quell’accertamento viene compiuto dal giudice di merito: in particolare, la circostanza che il giudice di merito abbia compiuto le proprie valutazioni senza avvalersi di fonti attendibili ed aggiornate.

Nel caso di specie, come già rilevato, il giudice di appello ha compiuto le proprie valutazioni sulla condizione del (OMISSIS) richiamando 11 diverse fonti internazionali, certamente attendibili ed aggiornate.

Sicchè, essendo corretto il metodo seguito dal giudice d’appello, il merito della sua valutazione non può essere sindacato in questa sede.

3. Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio dell’amministrazione.

PQM

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2020

 

 

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