Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28846 del 27/12/2011

Cassazione civile sez. I, 27/12/2011, (ud. 14/11/2011, dep. 27/12/2011), n.28846

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.A., rappresentata e difesa dall’avv. CALANDRA

Girolamo ed elett.te dom.ta in Roma, Via Appia Nuova n. 96, presso lo

studio dell’avv. Paolo Rolfo;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso il decreto della Corte d’appello di Palermo n. 5337 cron.

2412 rep., emesso nel procedimento civile n. 279/2008 R.G. affari

camera di consiglio e depositato il 30 ottobre 2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14

novembre 2011 dal Consigliere Dott. Carlo DE CHIARA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Dott.ssa M.A. si rivolse alla Corte d’appello di Palermo per ottenere l’equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, del danno derivante dalla eccessiva durata di un giudizio di pubblico impiego davanti al Tribunale amministrativo della stessa città e conclusosi con declaratoria di inammissibilità.

La Corte ha respinto la domanda sul rilievo che la pretesa era stata consapevolmente azionata, nel giudizio presupposto, davanti al giudice amministrativo, privo ormai di giurisdizione essendo stata la materia trasferita alla giurisdizione ordinaria.

La soccombente ha quindi proposto ricorso per cassazione per due motivi, cui l’amministrazione intimata ha resistito con controricorso. Il ricorrente ha anche presentato memoria.

In camera di consiglio il Collegio ha deliberato che la motivazione della presente sentenza sia redatta in maniera semplificata, non ponendosi questioni rilevanti sotto il profilo della nomofilachia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Questa Corte ha già avuto occasione di pronunciarsi su ricorsi identici (salvo le persone dei ricorrenti) con le sentenze n. 10500 e n. 10501 del 2011. Possono pertanto ripetersi le medesime considerazioni svolte in questi casi, che di seguito testualmente si riportano.

“Con il primo motivo parte ricorrente lamenta non essere conforme a quanto stabilito dalla L. n. 89 nel 2001, art. 2 (oltre che dell’art. 111 Cost.) negare a una parte del processo l’indennizzo per il danno non patrimoniale subito a causa dell’irragionevole durata del processo, solo perchè rimasta soccombente, quando vi è la prova che essa al momento della proposizione del giudizio non era consapevole della sua infondatezza, nè animata da intento delatorio, avendo invece specifico interesse a ottenere una decisione sulla propria pretesa in tempi rapidi.

Con il secondo motivo, deducendosi violazione delle stesse disposizioni di legge, sotto altri profili, si deduce non possa essere negato l’indennizzo in una situazione normativa in cui l’esito del giudizio proposto davanti al giudice amministrativo avrebbe dovuto essere di difetto di giurisdizione, ma con possibilità di prosecuzione davanti al giudice ordinario, mentre si è poi definito nel senso dell’inammissibilità per decadenza salva seguenti di sopravvenuta decisione della Corte Costituzionale.

Con il terzo motivo, ancora deducendosi vizio di legittimità con riferimento alle norme sopra richiamate, si ripropone la medesima questione rilevante che, sul combinato disposto dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45 e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69 la stessa parte rimasta soccombente dinanzi il TAR aveva proposto argomentata questione di legittimità costituzionale.

Tali motivi che, per la loro connessione, devono essere congiuntamente esaminati, appaiono fondati e devono essere accolti alla stregua dei rilievi che seguono.

Come affermato da numerose sentenze di questa Suprema Corte (v. Cass. S.U. 23 ottobre 2008 n. 25616; Cass. 8 Marzo 2006 n. 10485) non rileva, ai fini della motivazione del diritto all’indennizzo per la non ragionevole durata del processo, il fatto in sè della soccombenza, salvo che in presenza di un’originaria consapevolezza dell’inconsistenza delle proprie istanze, dato che in questi casi difetta la stessa condizione soggettiva di incertezza e viene meno il presupposto stesso del verificarsi di uno stato di disagio e sofferenza (tanto più quando la parte oltre che consapevole del proprio torto avesse interesse a rinviare nel tempo la decisione sfavorevole).

Nella specie la parte ha azionato una propria pretesa verso la P.A., derivante da rapporti di pubblico impiego, dopo il termine del 15 Settembre 2000, previsto dal D.Lgs. n. 80 del 1998 come azioni ancora attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e relative a questioni attinenti al periodo di rapporto di lavoro anteriore al 30 Giugno 1998. Nel periodo in cui l’azione fu proposta (30 novembre 2000) era, in effetti, già palese che il Giudice adito difettasse di giurisdizione ma, a differenza di quanto ritenuto, con valenza di ratio decidendi dalla Corte palermitana, non era affatto indifferente la questione se la proposizione della domanda dopo la scadenza del termine del 30 settembre 2000 fosse di rilevanza solo processuale ovvero producesse effetti di diritto sostanziale, determinanti la decadenza del diritto azionato. Nel primo caso alla pronunzia di difetto di giurisdizione ad opera del giudice adito sarebbe seguita (a seguito delle note sentenze della Cassazione e, poi, della Corte Costituzionale) la traslatio iudicii davanti al giudice ordinario, con piena salvezza degli effetti processuali e sostanziali della domanda affetta da un vizio sanabile con efficacia ex tunc. Questa fu la questione dibattuta nel giudizio davanti al giudice amministrativo e il cui esito fu determinato dapprima dalla disposizione di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69 (che, autenticamente interpretando sul punto la corrispondente disposizione del D.Lgs. n. 80 del 1998, attribuì espressamente natura sostanziale e non processuale alla determinazione normativa del termine del 15 Settembre 2000); e successivamente, dopo che si dibatte (anche nella controversia iniziata dall’odierna ricorrente, davanti al TAR Palermitano) sulla legittimità costituzionale del predetto art. 69, delle pronunce della Corte Costituzionale (Ord. n. 213 e 382 del 2005 e Ord. n. 197 del 2006) che hanno definitivamente sanato la natura del suddetto termine come termine di decadenza sostanziale.

L’esito sfavorevole all’odierna ricorrente del giudizio davanti al TAR di Palermo, determinato nel senso dell’esclusione di ogni tutela di diritto sostanziale alla propria pretesa, dall’evoluzione normativa e giurisprudenziale in ordine al regime transitorio nella disciplina del passaggio del pubblico impiego dall’A.G.A. all’A.G.O., non può in alcun modo costituire ragione per escludere, per la parte rimasta soccombente, di per sè, la tutela predisposta dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, in ipotesi di irragionevole durata del processo.

Devesi pertanto cassare la sentenza impugnata e rinviare anche per le spese, ad altra Sezione della Corte di Palermo”.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2011

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