Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28841 del 16/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 16/12/2020, (ud. 08/10/2020, dep. 16/12/2020), n.28841

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10791/2019 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,

12;

– ricorrente –

contro

B.R.O.A. (C.F. (OMISSIS)), rappresentata e difesa

dall’Avv. GIOVANNI MASSIDDA, elettivamente domiciliato presso lo

studio dell’Avv. FABIO TRINCA in Roma, Via Portuense, 104;

– controricorrente –

contro

R.G. (C.F. RGHGRL51L24L872X), rappresentato e difeso

dall’Avv. GIOVANNI MASSIDDA, elettivamente domiciliato presso lo

studio dell’Avv. FABIO TRINCA in Roma, Via Portuense, 104;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Sardegna, n. 619/18, depositata il 26 giugno 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

dell’8 ottobre 2020 dal Consigliere Relatore D’Aquino Filippo.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

Risulta dalla sentenza impugnata che la società RMB Pula SRL in liquidazione – nelle more del giudizio cancellata dal Registro delle Imprese – ha impugnato un avviso di accertamento relativo al periodo di imposta dell’esercizio 2006, unitamente alla successiva cartella di pagamento, con il quale avviso venivano accertate attività non dichiarate, a termini del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), in relazione alla cessione di dieci unità immobiliari in Comune di Pula, con recupero di imposte dirette e IVA, oltre accessori e sanzioni.

La CTP di Cagliari ha rigettato il ricorso e la CTR della Sardegna, con sentenza in data 26 giugno 2018, ha accolto l’appello della società contribuente.

Ha ritenuto il giudice di appello che gli elementi addotti dall’Ufficio a fondamento della riclassificazione dei ricavi non assumono il rango di precisione, gravità e concordanza. Ha aggiunto, in particolare, che non emerge una differenza notevole tra prezzo dichiarato e prezzo accertato e che l’accertamento di maggior reddito non può essere fondato sullo scostamento tra valore dichiarato e il valore normale risultante da riviste specializzate, come anche sulla scarsa redditività dell’attività imprenditoriale rispetto a concorrenti operanti in settori omologhi.

Propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a due motivi, resistono con controricorso la legale rappresentante della società estinta l’altro socio.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1 – Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, nella parte in cui la sentenza di appello ha accolto il ricorso della società contribuente, sul rilievo che l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla cessione dei dieci immobili per cui è causa non possa fondarsi unicamente sugli elementi indiziari presi in esame. Deduce il ricorrente che l’avviso di accertamento impugnato era fondato su un coacervo di elementi indiziari in fatto, come richiamato dalla stessa società contribuente in primo grado e riproposto dall’Ufficio nelle controdeduzioni in grado di appello (controdeduzioni riportate per specificità), consistenti nella stipula di contratti di mutuo per importi superiori al valore dichiarato, nello scostamento del valore di cessione rispetto alle cessioni di immobili omologhi, nello scostamento dai valori delle perizie effettuate in sede di accensione dei mutui. Deduce, il ricorrente, che le incongruenze rilevate in relazione ai dedotti parametri sono idonee a ritenere l’esistenza di attività non dichiarate.

1.2 – Con il secondo motivo si deduce nullità della sentenza ex art. 111 Cost., del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 1, 2 e 36, degli artt. 132 e 274 c.p.c., e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., nella parte in cui la sentenza ha escluso l’esistenza di una differenza notevole tra il prezzo dichiarato a metro quadro (Euro 2.523,46) e quello accertato (Euro 2.800,00/3.000,00). Deduce il ricorrente che l’accertamento è fondato su una distorta percezione degli atti di causa, essendo i valori dichiarati, per sette casi su dieci, di gran lunga inferiori a quanto accertato dal giudice di appello, in quanto inferiori ad Euro duemila a metro quadro.

2 – Va preliminarmente rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale per tardività, rendendosi applicabile il disposto del D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, art. 6, comma 1, conv. in L. 17 dicembre 2018, n. 136, secondo cui “per le controversie definibili sono sospesi per nove mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonchè per la proposizione del controricorso in Cassazione che scadono tra la data di entrata in vigore del presente decreto e il 31 luglio 2019”. Stante il fatto che il termine lungo per impugnare la sentenza depositata in data 26.06.2018 ricade nel periodo in oggetto, la proposizione del ricorso in data 28 marzo 2019 risulta tempestiva.

2.1 – Va inoltre rigettata l’eccezione di nullità del ricorso per violazione del principio di sinteticità e per mancata specificazione dei motivi, essendo gli stessi evincibili dal contenuto del ricorso.

3 – I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto coinvolgono a diverso titolo i medesimi profili, così riformulandosi l’originaria proposta. La sentenza impugnata ha basato il proprio convincimento di mancanza di prova dell’omessa contabilizzazione di ricavi nell’anno di esercizio 2006 – quale effetto delle compravendite aventi ad oggetto le menzionate dieci unità immobiliari in Comune di Pula – e, in particolare, di non pregnanza del coacervo probatorio addotto dall’Ufficio – sulla circostanza che “non emerge una differenza notevole (…) tra il prezzo dichiarato in Euro 2.523,46 a metro quadrato e quello accertato in Euro 2.800,00 – 3.000,00 a mq”, nonchè “essenzialmente sul fatto che i prezzi di vendita non risultano in linea con i prezzi di mercato, questi ultimi desunti peraltro da riviste specializzate e sulla percentuale di redditività al disotto di quella media dai dati dichiarati nel 2006 da soggetti operanti nello stesso settore, senza produrre prova alcuna di come si sia pervenuti a tali risultati”. I tre suddetti elementi indiziari (il primo, riguardante la insussistenza di differenza notevole tra prezzo dichiarato e prezzo accertato e gli altri attinenti alla individuazione del valore di mercato sulla base di riviste specializzate e allo scostamento della percentuale di redditività), in quanto valutati congiuntamente dal giudice di appello ai fini della alla formulazione del giudizio presuntivo, richiedono conseguentemente una valutazione unitaria dei due motivi in cui sono separatamente esaminati.

3.1 – Il secondo motivo, logicamente pregiudiziale al primo, pur non compiutamente formulato con riferimento al parametro normativo (benchè correttamente sotto il profilo della nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), attiene al primo dei suddetti elementi indiziari (differenza notevole tra prezzo dichiarato e prezzo accertato). Il ricorrente ha correttamente denunciato una “distorta percezione dei fatti e degli atti di causa” (pag. 12, ricorso), e quindi ha dedotto un errore di percezione da parte del giudice del merito, denunciabile in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, come violazione dell’art. 115 c.p.c. (Cass., Sez. VI, 19 luglio 2018, n. 19293), in particolare ove l’errore di percezione cada sulla ricognizione del contenuto oggettivo degli atti (Cass., Sez. Lav., 24 ottobre 2018, n. 27033; Cass., Sez. III, 12 aprile 2017, n. 9356). Con riferimento a tale vizio, il giudice di legittimità diviene giudice del fatto processuale e può procedere all’esame degli atti; ad ogni modo nel presente giudizio tale esame non è necessario, avendo il ricorrente riprodotto per specificità il prospetto dei corrispettivi di vendita partitamente dichiarati per ciascuna delle unità immobiliari, al fine dell’individuazione di quale sarebbe stato il valore dichiarato.

3.2 – Il primo motivo (il quale attiene alla mancata valorizzazione degli ulteriori elementi indiziari), concerne, invece, diversamente da quanto prospettato nella proposta inviata alle parti, l’omesso esame di fatti storici i quali hanno concorso alla emissione dell’atto di accertamento impugnato, consistenti (oltre quelli presi in esame dalla sentenza impugnata) (1) in significativi scostamenti tra il prezzo di cessione e il valore dell’immobile indicato nella perizia redatta dai tecnici delle banche erogatrici dei mutui ed (2) esistenza di contratti di mutuo stipulati per importi superiori al valore dichiarato in contratto. Si tratta, con tutta evidenza, di fatti storici e non di argomentazioni difensive, i quali concorrono congiuntamente alla formulazione del giudizio di pregnanza (gravità, precisione e concordanza), di cui il ricorrente ha dato ampia contezza nel ricorso, sia riproducendo l’avviso di accertamento (dove sono menzionati i suddetti fatti), sia riproducendo (parzialmente) il contenuto della sentenza di primo grado, ove alcuni di questi fatti sono stati valorizzati come elementi indiziari, sia dando atto della riproposizione dell’esame di tali fatti nelle controdeduzioni in appello, riprodotte anch’esse nel ricorso in ossequio al principio di specificità.

3.3 – Fatte tali premesse, il giudice di appello, ove ha accertato che “non emerge una differenza notevole (..) tra il prezzo dichiarato in Euro 2.523,46 a metro quadrato e quello accertato in Euro 2.800,00 – 3.000,00 a mq”, ha fondato il proprio giudizio su un errore di percezione degli atti di causa, posto che nell’avviso di accertamento (riprodotto per specificità) nove immobili su dieci presentavano un prezzo a metro quadro inferiore al “prezzo dichiarato in Euro 2.523,46” indicato in sentenza, così falsando uno dei due termini idonei a determinare il rapporto tra prezzo dichiarato e prezzo accertato e, conseguentemente, viziando il giudizio di “differenza notevole” tra i due elementi del rapporto.

3.4 – Parimenti, non risultano presi in esame fatti di particolare pregnanza indiziaria, quali quelli indicati supra al punto 3.2 (scostamenti dei prezzi di cessione dai valori di perizia in sede di concessione del mutuo e importo dei mutui erogati, la cui erogazione in alcuni casi è stata di importo superiore al valore di cessione dichiarato), elementi, invero, considerati da questa Corte di particolare pregnanza indiziaria in relazione all’accertamento per cui è causa (Cass., Sez. V, 9 giugno 2017, n. 14388).

4 – La CTR, nella parte in cui ha omesso di analizzare gli elementi indiziari indicati e in cui ha tratto il giudizio di insussistenza di uno “scostamento notevole” sul valore di cessione, non ha fatto buon governo dei suindicati principi.

La sentenza va, pertanto, cassata con rinvio al giudice a quo, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR della Sardegna, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2020

 

 

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