Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28831 del 16/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 16/12/2020, (ud. 20/11/2020, dep. 16/12/2020), n.28831

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30355-2019 proposto da:

S.F.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DI

TORREVECCHIA 118, presso il proprio studio, e rappresentato e difeso

dall’avvocato ALESSANDRO PALMIGIANO giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

SICILCASSA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PRIMATI

SPORTIVI 21, presso lo studio dell’avvocato ENZO MANNINO; che la

rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2085/2018 della CORTE D’APPELLO DI PALERMO,

depositata il 19/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/11/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

S.F.M. proposto ricorso, articolato in quattro motivi, avverso la sentenza n. 2085/18 della Corte di Appello di Palermo, depositata il 19 ottobre 2018.

Resiste con controricorso la Sicilcassa S.p.a. in liquidazione coatta amministrativa che propone a sua volta ricorso incidentale affidato a tre motivi.

Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

Con sentenza n. 1052 del 2014 il Tribunale di Palermo ha dichiarato inammissibile l’opposizione avverso provvedimento di rigetto dei commissari liquidatori di Sicilcassa S.p.A. in l.c.a. della richiesta dell’avv. S. di riconoscimento in prededuzione del credito vanato a titolo di onorari professionali per prestazioni rese in favore della società in alcune controversie che la contrapponevano a dei suoi lavoratori ( R.M., B.A., L.A., l.s., Le.Ma.Ca., O.G., A.G., F.G., Fr.Gi., Al.Sa.Sc.Ed., Le.Re., Le.Mi. e G.E.).

Proposto gravame la Corte d’Appello ha accolto l’appello, determinando il complessivo compenso in Euro 25.215,09, in applicazione delle tariffe forensi di cui al D.M. n. 127 del 2004, considerato che l’attività professionale dell’avvocato S. aveva riguardato giudizi iniziati tra il 1999 e il 2001 protrattisi sino al 2004/2005.

Col primo motivo del ricorso principale, si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 113 c.p.c., e del D.M. n. 127 del 2004, art. 6, avendo la Corte di Appello determinato i compensi spettanti in base al valore delle singole controversie desunto dalle somme pattuite in base alle rispettive transazioni intervenute coi lavoratori, e non invece dall’oggetto delle domande introduttive dei giudizi.

Il secondo motivo del ricorso principale denuncia la “violazione e falsa applicazione dell’art. 3 Cost., del D.M. n. 127 del 2004, e del D.M. n. 55 del 2014; violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 28″. La Corte di Appello, sostiene il ricorrente, avrebbe dovuto applicare alle prestazioni professionali, pur relative a giudizi iniziati tra il 1999 e il 2001 e protrattisi fino al 2004-2005, le tariffe di cui al D.M. n. 55 del 2014, in luogo di quelle previste dal D.M. n. 127 del 2004, poichè solo nel 2018 è intervenuta la liquidazione giudiziale delle distinte attività professionali per ciascuna posizione. In ordine alla negata rivalutazione automatica del credito dell’avvocato per compensi professionali, S.F.M. evidenzia come le nuove tariffe, previste prima dalla relazione di accompagnamento del D.M. n. 140 del 2012, e poi aggiornate con il D.M. n. 55 del 2014, siano state emesse proprio considerando l’aumento ISTAT dei prezzi al consumo per l’intera collettività e, in specie, della componente Professioni liberali, con un aumento del 24,1%”. La Corte di Palermo avrebbe perciò operato “una ingiustificata disparità di trattamento tra il ricorrente e i professionisti che già nel 2005, esaurita l’attività professionale, hanno incassato i relativi compensi”.

Il terzo motivo del ricorso principale, subordinatamente e per l’ipotesi in cui sia confermata la legittimità della liquidazione dei compensi ai sensi del D.M. n. 127 del 2004, deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 c.c., per avere la Corte di Appello di Palermo omesso di riconoscere la rivalutazione monetaria, ex art. 1224 c.c., dei crediti addotti, essendo la prova del danno insita nell’entità delle tariffe successivamente introdotte.

Il quarto motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 749 del 1942, art. 24; D.M. n. 127 del 2004, art. 4; D.M. n. 55 del 2014, artt. 4,5 e 28, e dei parametri ivi indicati, poichè, tenuto conto della compensazione del 50%, da reputarsi illegittima perchè in violazione dell’art. 92 c.p.c., la liquidazione delle spese pari a: 1) per il giudizio di primo grado, la liquidazione delle spese processuali operata dalla Corte di Appello (Euro 4.365,00 per il giudizio di primo grado oltre Euro 515,00 spese) sarebbe stata inferiore ai minimi tariffari, in violazione del D.M. n. 127 del 2004, art. 4; 2) per il secondo grado di giudizio, i compensi (Euro 4.734,00, oltre Euro 1.174,00 per spese vive) in palese violazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4.

Il primo motivo del ricorso incidentale di Sicilcassa S.p.a. in l.c.a. denuncia la violazione e fala applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., con la nullità della sentenza per omessa motivazione in quanto la sentenza impugnata serbando un silenzio assoluto non ha minimamente offerto risposta alle specifiche contestazioni della convenuta quanto alla pretesa del ricorrente principale di ricevere un compenso per la collaborazione prestata per la conciliazione.

Il secondo motivo è rubricato “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione agli artt. 112 e 115 c.p.c., – in subordine impugnazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”. Vi si sostiene che la Corte di Palermo avrebbe erroneamente ritenuto provata la prestazione professionale fornita dall’avvocato S.F.M. per la definizione transattiva delle controversie, pur a fronte delle contrarie allegazioni difensive svolte dalla società nelle comparse di risposta sia di primo che di secondo grado di giudizio. La chiusura delle transazioni inerenti alle controversie relative alla corresponsione del Fondo Pensioni Integrativo fu favorita, piuttosto, dai legali interni della Sicilcassa s.p.a. Nel controricorso è così contenuta l’esposizione di fatti relativi a studi e valutazioni compiuti da altri professionisti in merito al contenzioso nel suo complesso ed alle singole fattispecie, alla predisposizione degli schemi di transazione da sottoporre ai singoli lavoratori (previo dettaglio delle somme a ciascuno dovute), ai colloqui con i difensori. Sostiene la società ricorrente incidentale che l’avvocato S.F.M., come gli altri avvocati della Sicilcassa, non prese mai parte alle trattative, limitandosi piuttosto al deposito in giudizio delle conclusioni congiunte in seguito alla definizione transattiva. Sotto il profilo dell’art. 2697 c.c., la Corte di Palermo avrebbe dunque dovuto chiedere prova all’avvocato S. di quale collaborazione o altra opera avesse prestato per la conciliazione.

Il terzo motivo del ricorso incidentale censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 118 disp. att. c.p.c., con nullità della sentenza per omessa motivazione, nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., – mancata ammissione di mezzi istruttori circa un fatto decisivo – in subordine impugnazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, vizio di motivazione circa un fatto decisivo. La Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere dovuti i compensi per l’attività di S.F.M. nonostante, “sin dal primo grado di giudizio, la Sicilcassa s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa si era offerta di provare, a mezzo di interrogatorio formale e di prova per testimoni, che l’avv. S. non aveva mai svolto alcuna attività inerente la definizione transattiva delle controversie”.

Appare preliminare logicamente l’esame dei tre motivi di ricorso incidentale, che possono trattarsi congiuntamente, in quanto connessi. Tali censure si sostanziano nella prospettazione di una ricostruzione fattuale diversa da quella accolta dalla Corte d’Appello e rivelano altresì carenza di specifica riferibilità alla ratio decidendi della sentenza impugnata, sicchè si connotano per profili di inammissibilità, restando comunque infondate. La Corte di Palermo ha qualificato “superflue” le prove per interrogatorio formale e per testimoni richieste dalla Sicilcassa s.p.a., ritenendole nella sostanza volte a contrastare documentazione relativa all’attività svolta dal S. e ritenendole comunque inidonee a sconfessare il diritto del S. a ricevere il compenso anche per le cause definite in via conciliativa, sostanzialmente reputando irrilevante che l’accordo fosse stato raggiunto anche con l’intervento di altre parti.

Avverso tale argomento decisorio contenuto nella sentenza impugnata, la ricorrente incidentale non rivolge alcuna specifica censura. E’, del resto, interpretazione consolidata di questa Corte quella secondo cui, in tema di esercizio della professione forense, è da considerare prestazione giudiziale, ai fini della liquidazione delle competenze e della relativa tariffa in materia giudiziale, anche l’assistenza e l’attività svolta dal difensore, stragiudizialmente, per transigere una controversia, trattandosi di attività complementare e dipendente da quella per cui gli è stato conferito il mandato (Cass. Sez. 2, 04/12/2009, n. 25675; Cass. Sez. 2, 06/08/1997, n. 7223; Cass. Sez. 2, 03/07/1991, n. 7275). In tal senso, la Corte d’Appello, al fine di pervenire alla determinazione quantitativa del compenso professionale, ha tratto dalla documentazione prodotta, relativa ai giudizi in cui l’avvocato S. aveva prestato il suo patrocinio, la prova delle prestazioni difensive eseguite in favore della società, consistenti nel compimento di veri e propri atti processuali, come anche in attività strettamente dipendenti dal mandato relativo alla difesa e rappresentanza in giudizio. Se, del resto, spetta all’avvocato, il quale assuma di essere creditore per attività professionale prestata a favore del cliente, l’onere di dimostrare non solo che l’opera è stata posta in essere, ma anche l’entità delle prestazioni, al fine di consentire la determinazione quantitativa del suo compenso, compete poi al giudice di merito valutare se, nel caso concreto, questa prova possa o meno ritenersi fornita, sottraendosi il risultato del relativo accertamento al sindacato di legittimità, se non nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, il quale ormai contempla il solo omesso esame di un fatto storico, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe certamente determinato un esito diverso della controversia) (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Nè ha rilievo l’assunta non contestazione dell’avvocato S. a fronte delle mere difese della Sicilcassa s.p.a. contenute nella comparsa di risposta, non operando il principio di non contestazione in danno dell’attore che abbia proposto domanda ed abbia perciò per primo ottemperato all’onere processuale posto a suo carico di compiere una puntuale allegazione dei fatti costitutivi di causa.

Ritiene pertanto il Collegio di dover dare continuità al precedente di questa Corte (Cass. n. 20547/2019) che ha deciso su analoga controversia tra le stesse parti e nella quale erano stati proposti nella sostanza gli stessi motivi di ricorso incidentale.

Il primo motivo del ricorso principale è infondato.

La Corte d’Appello di Palermo ha determinato il valore delle cause, ai fini della liquidazione dei compensi spettanti all’avvocato, sulla base delle somme per le quali erano intervenute le rispettive transazioni.

Non ignora il Collegio, come in altre controversie, aventi analogo contenuto e tra le medesime parti, è stato affermato che, la sentenza di merito non si sarebbe uniformata all’orientamento di questa Corte secondo cui, ai fini della liquidazione degli onorari professionali dovuti dal cliente in favore dell’avvocato, nel caso di transazione di una causa introdotta con domanda di valore determinato e, pertanto, non presunto in base ai criteri fissati dal codice di procedura civile, il valore della causa si determina avendo riguardo soltanto a quanto specificato nella domanda, considerata al momento iniziale della lite, restando irrilevante la somma realizzata dal cliente a seguito di transazione (Cass. Sez. 2, 23/01/2017, n. 1666; Cass. Sez. 2, 22/10/1975, n. 3496).

Tuttavia, nella fattispecie in esame, la Corte d’Appello nel motivare le ragioni in merito alla determinazione dei compensi ha fatto esplicito riferimento a pag. 7 al contenuto della scrittura intercorsa tra le parti in data 3/8/2000, con la quale venivano fissati i criteri per la liquidazione dei compensi del ricorrente principale, scrittura peraltro prodotta dalla stessa difesa del S..

In tale scrittura, come evidenziato dalla Sicilcassa sia nel controricorso che nelle memorie, era espressamente previsto che i compensi sarebbero stati corrisposti avuto riguardo, in caso di transazione, agli importi riconosciuti ai lavoratori in sede di definizione transattiva, sicchè la specifica pattuizione raggiunta sul punto è destinata a prevalere rispetto alla regola sopra richiamata.

Il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale vanno esaminati congiuntamente e sono infondati. La Corte, avendosi riguardo a giudizi iniziati tra il 1999 e il 2001 e protrattisi fino al 2004-2005, ha applicato le tariffe di cui al D.M. n. 127 del 2004. Sotto tale profilo, la decisione impugnata si è adeguata all’interpretazione giurisprudenziale per la quale, ai fini della liquidazione degli onorari e dei diritti spettanti all’avvocato nella disciplina vigente ratione temporis, la quantificazione degli onorari va effettuata in base alla tariffa professionale forense vigente al momento in cui le attività professionali sono state condotte a termine, identificandosi tale momento con quello dell’esaurimento dell’intera fase di merito o, per il caso in cui le prestazioni siano cessate prima, con il momento di tale cessazione, mentre i diritti di procuratore vanno liquidati alla stregua delle tariffe vigenti al momento delle singole prestazioni (cfr. Cass. Sez. 3, 11/03/2005, n. 5426; Cass. Sez. L, 21/11/1998, n. 11814).

Quanto alle considerazioni del ricorrente principale sul diminuito valore monetario del suo credito professionale, se determinato in base al D.M. n. 127 del 2004, deve ribadirsi la consolidata interpretazione (alla quale ha aderito la Corte di Palermo a pagina 14 dell’impugnata sentenza) secondo cui il credito dell’avvocato per il pagamento dei compensi professionali costituisce un credito di valuta (nè si trasforma in credito “di valore” per effetto dell’inadempimento del cliente), restando in quanto tale soggetto al principio nominalistico. La rivalutazione monetaria del credito dell’avvocato non può, perciò, essere automaticamente riconosciuta, dovendo essere adeguatamente dimostrato il pregiudizio patrimoniale risentito a causa del ritardato pagamento del credito, senza che possa trovare applicazione la disciplina dell’art. 429 c.p.c.. Dalla mora conseguente all’inadempimento del cliente discende, quindi, la corresponsione degli interessi nella misura legale, indipendentemente da ogni prova del pregiudizio subito, salvo che l’avvocato creditore dimostri il maggior danno ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2, il quale, può, peraltro, ritenersi esistente in via presuntiva, sempre che il medesimo creditore alleghi che, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali (Cass. Sez. 2, 26/02/2002, n. 2823; Cass. Sez. 2, 15/02/1999, n. 1266; Cass. Sez. 2, 24/09/2014, n. 20131; Cass. Sez. 2, 22/06/2004, n. 11594; Cass. Sez. 2, 15/07/2003, n. 11031; Cass. Sez. U, 16/07/2008, n. 19499).

Il quarto motivo di ricorso è infondato.

Infatti, la giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che, in tema di spese di lite, la reciproca soccombenza va ravvisata nell’ipotesi di pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo fra le stesse parti e nell’eventualità di accoglimento parziale dell’unica domanda, articolata in più capi, dei quali solo alcuni accolti, o costituita da un unico capo, ove la parzialità abbia riguardato la misura meramente quantitativa del suo accoglimento (Cass. n. 516/2020; Cass. n. 3438/2016).

Ne discende che essendo stata ridotta in senso quantitativo l’originaria richiesta del ricorrente, ben poteva il giudice di merito disporre la compensazione ex art. 92 c.p.c., con valutazione in questa sede non sindacabile.

Atteso il rigetto sia del ricorso principale che di quello incidentale, ricorrono i presupposti per la compensazione integrale delle spese anche del presente giudizio.

Poichè il ricorso principale ed incidentale sono stati proposti successivamente al 30 gennaio 2013 e sono rigettati, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le stesse impugnazioni.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale e compensa le spese del presente giudizio;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale del contributo unificato per entrambi i ricorsi a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2020

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