Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28830 del 08/11/2019

Cassazione civile sez. III, 08/11/2019, (ud. 02/10/2019, dep. 08/11/2019), n.28830

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26679-2017 proposto da:

ASSOCIAZIONE LEGA NAZIONALE PER LA DIFESA DEL CANE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA GALATI, 100, presso lo studio dell’avvocato ANNA D’ALISE,

rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI DI RELLA;

– ricorrente –

contro

EUROINGROSS & C SAS DI D.V.S.,in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

MACCHIAVELLI 50, presso lo studio dell’avvocato MARZULLI STUDIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato VITO PETRAROTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1322/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 12/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/10/2019 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA MARIO che ha concluso per inammissibilità in subordine

rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato DI RELLA LUIGI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso depositato il 29 novembre 2010 Associazione Lega Nazionale per la difesa del Cane – sezione di Ruvo di Puglia adiva il Tribunale di Trani, sezione distaccata di Ruvo di Puglia, in relazione ad un contratto di locazione che la ricorrente aveva stipulato quale conduttrice con la locatrice De Sa Ingross, poi Euroingross & C., avente ad oggetto un immobile destinato a canile, chiedendo che la locatrice fosse condannata alla restituzione di canoni nella misura di Euro 53.383,44, che fosse dichiarato dovuto a decorrere dal 20 maggio 2010 un canone minore rispetto a quello pattuito e che pertanto la locatrice fosse condannata pure a restituire le differenze tra ciò che le spettava e ciò che aveva ricevuto a decorrere appunto dal 20 maggio 2010.

In relazione alla prima domanda la ricorrente adduceva l’inadempimento della locatrice al suo specifico obbligo, contrattualmente assunto, di fornirle una valida autorizzazione sanitaria per l’utilizzo dell’immobile locato secondo l’uso pattuito con riferimento al periodo dal 7 luglio 2009 (data in cui era stata revocata l’originaria autorizzazione sanitaria) fino al 20 maggio 2010 (data di rilascio di nuova autorizzazione sanitaria), conseguentemente chiedendo la restituzione dei canoni versati in tale periodo.

Quanto invece alla seconda e alla terza domanda la ricorrente adduceva che, a seguito del rilascio dell’autorizzazione sanitaria del 20 maggio 2010, poteva utilizzare l’immobile per un minor numero di animali rispetto a quello originariamente pattuito.

Notificatole il ricorso-decreto, la convenuta si costituiva, resistendo.

Con sentenza del 27 febbraio 2013 il Tribunale rigettava le domande attoree.

Avendo proposto appello Lega Nazionale per la Difesa del Cane – sezione di Ruvo di Puglia, ed essendosi costituita la controparte resistendo, la Corte d’appello di Bari rigettava il gravame.

2. Ha presentato ricorso Lega Nazionale per la Difesa del Cane – sezione di Ruvo di Puglia; si è difesa con controricorso la società intimata. La ricorrente ha depositato pure memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è articolato in quattro motivi.

3.1 Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 346 e 436 c.p.c. “in relazione alla ritenuta utilizzabilità ai fini del decidere dell’atto di transazione asseritamente intercorso tra le parti” il 12 marzo 2007.

Il giudice d’appello, “in più passaggi essenziali della motivazione della sentenza gravata”, si sarebbe espressamente fondato su documentazione dichiarata inutilizzabile dal Tribunale pur non avendo l’appellata avanzato nella comparsa di costituzione in appello alcuna censura al riguardo. Il primo giudice, nell’ordinanza istruttoria del 20 febbraio 2012, aveva rilevato che la prodotta copia fotostatica della “scrittura privata di transazione” che avrebbero stipulato le parti in data 12 marzo 2007 era stata ritualmente disconosciuta, nel verbale della prima udienza, sia quanto alla conformità all’originale sia quanto all’autenticità della propria sottoscrizione, dalla attuale ricorrente, senza che controparte ne chiedesse la verificazione, bensì chiedendo la fissazione dell’udienza di discussione; e parimenti, nella sentenza di primo grado, aveva richiamato ciò deducendone che, non essendo stata presentata istanza di verificazione tempestivamente (oltre ad essere stato prodotto tardivamente l’originale), “la scrittura privata non può costituire prova nel presente giudizio”. Tuttavia, nell’atto di costituzione in appello l’appellata più non menzionava la transazione, “improntando la propria difesa su circostanze del tutto diverse” dal suo contenuto “e così manifestando inequivocabilmente la propria volontà di non volersene più avvalere e/o di censurare la statuizione del giudice di primo grado di inutilizzabilità di tale atto ai fini del decidere”.

Nel rito del lavoro l’appellata, vittoriosa in primo grado, “deve espressamente chiedere al giudice del gravame il riesame delle proprie istanze istruttorie non ammesse in primo grado”, configurandosi queste come eccezioni che, pertanto, vanno riproposte ai sensi dell’art. 346 c.p.c. intendendosi altrimenti rinunciate. Di qui la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la corte territoriale.

3.2 Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 1218-1575-1576 c.c..

Essendo inutilizzabile la transazione, che avrebbe modificato gli obblighi contrattuali, il giudice d’appello avrebbe violato i suddetti articoli ritenendo insussistente l’inadempimento del locatore alla sua obbligazione, “espressamente assunta” nel contratto, di fornire a controparte l’autorizzazione sanitaria per adibire l’immobile all’uso pattuito di rifugio-canile sanitario.

3.3 Il terzo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Sì censura ampiamente, con vari riferimenti al compendio probatorio, la corte territoriale per avere espresso “una illogica interpretazione del materiale probatorio acquisito agli atti di causa, del tutto personale ed arbitraria ed addirittura confliggente con il loro tenore letterale”.

3.4 Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 346 e 436 c.p.c. quanto “alla ritenuta utilizzabilità ai fini del decidere” della stessa transazione di cui al primo motivo.

Ancora si lamenta che la transazione sarebbe stata fondamento nella sentenza impugnata e si argomenta altresì in ordine alle effettive controprestazioni contrattuali.

4.1 Il primo motivo, come si è visto, censura, quale violazione degli artt. 346 e 436 c.p.c., l’aver la corte territoriale utilizzato un documento – una transazione che sarebbe stata stipulata tra le parti proprio in relazione al rapporto locatizio in esame – tempestivamente disconosciuto senza successiva proposizione, da parte del producente, dell’istanza di verificazione, per cui il Tribunale aveva espressamente dichiarato nella sentenza (come già aveva anticipato in ordinanza istruttoria) che tale “scrittura privata non può costituire prova nel presente giudizio”. E la controricorrente non aveva proposto appello incidentale al riguardo. Identica questione propone anche il quarto motivo (pur introducendo pure ulteriori argomentazioni), per cui questi due motivi devono essere vagliati congiuntamente.

La censura è fondata: nel genus del rito del lavoro – di cui viene nella presente causa applicata la species locatizia – colui che ha vinto, se controparte propone appello, deve comunque chiedere al giudice di secondo grado di riesaminare quel che nella sentenza è comunque a suo sfavore (v., p. es., da ultimo Cass. sez. L, ord. 3 maggio 2019 n. 11703: “Nel rito del lavoro, l’appellante che impugna “in toto” la sentenza di primo grado, insistendo per l’accoglimento delle domande, non ha l’onere di reiterare le istanze istruttorie pertinenti a dette domande, ritualmente proposte in primo grado, in quanto detta riproposizione è insita nella istanza di accoglimento delle domande, mentre la parte appellata, vittoriosa in primo grado, non riproponendo alcuna richiesta di riesame della sentenza, ad essa favorevole, deve manifestare in maniera univoca la volontà di devolvere al giudice del gravame anche il riesame delle proprie richieste istruttorie sulle quali il primo giudice non si è pronunciato, richiamando specificamente le difese di primo grado, in guisa da far ritenere in modo inequivocabile di aver riproposto l’istanza di ammissione della prova”). E non risulta che nella memoria di costituzione in appello l’attuale controricorrente abbia considerato la transazione, lamentando quanto affermato al riguardo nella sentenza di primo grado o proponendo (il che sarebbe stato d’altronde tardivo) istanza di verificazione.

In effetti, nel caso in cui la scrittura privata sia disconosciuta senza che ciò stimoli istanza di verificazione, anche nel rito ordinario tale prova documentale viene, per così dire, estromessa dal compendio probatorio in conseguenza di un vero e proprio atto dispositivo di parte, cioè una implicita rinuncia di chi l’ha prodotta (sempre tra gli arresti recenti, cfr. Cass. sez. 2, ord. 6 luglio 2018 n. 17902 – per cui “in tema di disconoscimento di scrittura privata, ove a questo, ritualmente e tempestivamente proposto in primo grado, non facciano seguito nè una regolare istanza di verificazione, nè un’espressa statuizione del giudice circa il valore probatorio del documento medesimo – sebbene esso, di fatto, non venga comunque utilizzato – la parte che ha operato il detto disconoscimento non ha l’onere di reiterarlo in appello, poichè la mancata richiesta di verificazione equivale, secondo la presunzione legale, ad una dichiarazione di non volersi avvalere della scrittura stessa come mezzo di prova” – e Cass. sez.1, 20 novembre 2017 n. 27506 – la quale pure afferma che “la mancata proposizione dell’istanza di verificazione di una scrittura privata disconosciuta equivale, secondo la presunzione legale, ad una dichiarazione di non volersi avvalere della scrittura stessa come mezzo di prova, con la conseguenza che il giudice non deve tenerne conto”). Al giudice è inibito, pertanto, utilizzare l’elemento probatorio che è stato oggetto di atto dispositivo negativo della parte interessata.

4.2 L’error in procedendo denunciato dalla ricorrente d’altronde è evidentemente rapportato al concreto interesse della ricorrente, in quanto ben si desume dalle argomentazioni dei due motivi in esame quale ne è stata la conseguenza concreta sul suo diritto di difesa e, in ultima analisi, sulla decisione qui impugnata: la corte territoriale, invero, non ha fatto riferimento alla transazione come una ulteriore aggiunta ad autonome rationes decidendi, bensì si è proprio fondata sulla transazione stessa, come ha inequivocamente enunciato laddove afferma che la decisione del primo giudice necessita integrazione, lasciando subito intendere che l’integrazione deriva proprio dall’incidenza della transazione.

La corte, infatti, a pagina 6 della motivazione della sentenza impugnata, dichiara di doversi “confermare la sentenza di primo grado, sia pure integrandone la motivazione, nei termini che seguono”; e questa necessità di integrazione viene poi a concretizzarsi nella successiva pagina 7 della motivazione con la seguente frase:

“Orbene, se ha ragione l’appellante allorquando afferma che la locatrice aveva l’obbligo contrattuale “di fornire alla conduttrice una valida e illegittima autorizzazione sanitaria in maniera da garantire il pacifico godimento dell’immobile locato in relazione all’uso pattuito avendole consegnato una autorizzazione – non si sa bene come – in presenza di gravi difformità rispetto al parere preventivo (…)”… è pur vero che le vicende successive al contratto di locazione hanno modificato il contenuto di tale previsione contrattuale. Ci si riferisce, appunto, alla transazione del 12.3.2007, il cui contenuto è sistematicamente pretermesso da parte appellante ecc.”.

Seguono argomenti che effettivamente rapportano il contenuto degli obblighi contrattuali alla transazione come da essa modificati rispetto al contratto locatizio, pervenendo in tal modo alla esclusione di ogni responsabilità del locatore.

5. I due motivi esaminati meritano pertanto accoglimento, e ciò assorbe i motivi ulteriori, conducendo alla cassazione della sentenza impugnata con rinvio – anche per le spese – alla stessa corte territoriale in diversa composizione.

P.Q.M.

Accoglie il primo e il quarto motivo del ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Bari.

Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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