Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28826 del 16/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 16/12/2020, (ud. 20/11/2020, dep. 16/12/2020), n.28826

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21281-2018 proposto da:

AZIENDA OSPEDALIERA “OSPEDALE SAN CARLO” DI POTENZA, elettivamente

domiciliata in ROMA VIA SCIRE’ 15, presso lo studio dell’avvocato

LUIGI CASALE, rappresentata e difesa dagli avvocati VITO IORIO ed

ENRICO TORTOLANI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIA PO 22,

presso lo studio dell’avvocato FEDERICO PERNAZZA LUIGI CASALE,

rappresentato e difeso dall’avvocato PIER GIORGIO MARINELLI, giusta

procura in calce al controricorso;

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 124/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 9/1/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/11/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dalle parti.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

L’Azienda Ospedaliera “Ospedale San Carlo” di Potenza aveva conferito, con due distinte Delib. del Direttore Generale 16 novembre 2006, un incarico professionale all’avv. M. per resistere in due giudizi di impugnazione al Consiglio di Stato (R.G. 9034/2006 e R.G. 9337/2006), all’esito dei quali insorgeva una controversia in relazione alla liquidazione del compenso spettante al professionista. Questi, infatti, ottenuto il 28/07/2008 il parere di congruità dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di (OMISSIS), inviava all’Azienda Ospedaliera due distinte parcelle, ciascuna per la somma di Euro 115.130,25, calcolate con applicazione dei valori tariffari riferiti allo scaglione previsto per le cause di valore di Euro 25.000.000, individuato D.M. n. 127 del 2004, ex art. 6, tenuto conto dell’importo della gara e di quello del contratto, che sarebbe stato stipulato con l’aggiudicataria nel quinquennio, che costituivano l’oggetto dei giudizi amministrativi nei quali aveva prestato la propria attività. L’avvocato M. quantificava quindi il suo credito in Euro 234.707,72 complessivi.

L’Azienda Ospedaliera contestava l’applicazione dello scaglione per il valore di Euro 25 milioni, ritenendo invece corretto quello per le cause di valore indeterminabile.

Data l’impossibilità di addivenire a un accordo, l’avvocato M. il 21/09/2012 adiva il Tribunale di Latina, con ricorso ex art. 702 bis, affinchè l’Azienda Ospedaliera fosse condannata al pagamento di Euro 234.704,72, oltre interessi, spese di opinamento della parcella e di lite.

Il Tribunale di Latina, con ordinanza del 27/06/2012, rigettava la domanda, accogliendo l’eccezione dell’Azienda Ospedaliera di nullità del contratto d’opera per difetto di forma scritta richiesta ad substantiam.

Su impugnazione dell’istante, la Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 124/2018 del 9/01/2018, accoglieva parzialmente l’appello e condannava l’Azienza Ospedaliera a pagare la somma di Euro 70.000,00 oltre interessi, con compensazione delle spese al 50%.

Il giudice di appello superava l’eccezione di nullità del contratto di opera, ritenendo la forma scritta integrata dal rilascio della procura ad litem apposta in calce alle memorie del (OMISSIS); tuttavia, avuto riguardo al D.M. n. 127 del 2004, quanto alle tariffe applicabili, riduceva l’entità del compenso dovuto rispetto all’attività svolta in giudizio effettivamente documentata in atti (studio della controversia, consultazioni con il cliente e memorie di costituzione, non essendo stati prodotti i verbali di causa e gli altri atti del giudizio, quali quelli relativi alle ulteriori attività dichiarate come quelle inerenti alla fase di discussione). L’Azienda Ospedaliera ricorre per la cassazione della suddetta sentenza della Corte d’Appello di Roma sulla base di tre motivi. Resiste l’avv. M. con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale affidato ad un motivo.

L’Azienda Ospedaliera ha depositato controricorso per resistere al ricorso incidentale.

Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di tardività del ricorso sollevata nel controricorso dall’avv. M..

La ricorrente ha tempestivamente presentato, il 7/7/2018, il ricorso per la notificazione all’Ufficio Postale di (OMISSIS); poi, a causa dell’esito infruttuoso della stessa, dovuto all’irreperibilità dell’avvocato domiciliatario Pernazza, il 18/7/2018 rinnovava la notifica via PEC e il 20/07/2018 quella a mezzo servizio postale. Queste ultime due notifiche avvenivano dopo la scadenza del temine semestrale per la notifica del ricorso del 9/07/2018 (avuto riguardo alla data di pubblicazione della sentenza d’appello il 9/01/2018).

La giurisprudenza a sezioni unite di questa Corte (n. 17352 del 24/07/2009) ha affermato che, laddove, la notifica da effettuarsi entro un termine perentorio non si perfezioni per causa non imputabile al richiedente (quale l’irreperibilità del destinatario che non ha comunicato il cambiamento del domicilio eletto), questi ha la facoltà e l’onere, anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, di procedere alla ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, semprechè la ripresa del medesimo intervenga entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie (cfr. Cass., sez. L, sentenza n. 6846 del 22/03/2010).

A tale riguardo, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte (n. 14594 del 15/07/2016) hanno successivamente specificato in quali casi l’errore sul domicilio non è imputabile al notificante e quale comportamento quest’ultimo deve adottare per rinnovare la notifica per evitare di incorrere nella decadenza dall’impugnazione.

Con riferimento al primo profilo, si è esclusa l’imputabilità dell’errore sul domicilio quando il procuratore abbia esercitato la sua attività professionale in un circondario diverso da quello dell’ufficio giudiziario adito ed abbia proceduto all’elezione di domicilio ai sensi del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82. In questo caso, infatti, sussiste un obbligo in capo al procuratore di comunicare i mutamenti di domicilio, cosicchè non si configura alcun onere per il notificante di verificare la correttezza dell’indirizzo nell’albo professionale (cfr. da ultimo Cass. n. 24947/2020).

Quanto al secondo profilo, si è chiarito che il notificante deve attivarsi per individuare il nuovo domicilio e completare il processo notificatorio, senza la necessità di una preventiva autorizzazione del giudice. E ciò deve avvenire con immediatezza, appena appresa la notizia dell’esito negativo della notifica e con tempestività. I requisiti di immediatezza e tempestività si intendono integrati laddove il processo notificatorio sia completato entro un termine pari alla metà del tempo indicato per ciascun tipo di atto di impugnazione dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali provate.

Nel caso in esame, l’errore del domicilio non è imputabile alla ricorrente, posto che il procuratore della controparte in appello esercitava al di fuori del proprio circondario ed aveva eletto domicilio presso altro studio in (OMISSIS), così che il domiciliatario era tenuto a comunicare eventuali variazioni della propria sede.

Ne deriva che, avendo il domiciliatario, avv. Pernazza, mutato domicilio, non poteva reputarsi colpevole la notifica del ricorso inizialmente tentata presso il domicilio eletto in grado di appello.

Sussistono, inoltre, i requisiti di tempestività e immediatezza nella riattivazione del procedimento notificatorio, in quanto la ricorrente ha rinnovato la notifica appena 9 giorni dopo la scadenza del termine di impugnazione e dalla conoscenza dell’esito negativo del primo tentativo di notifica, ampiamente nei limiti della metà del termine di 60 giorni ex art. 325 c.p.c., indicato dalle Sezioni Unite.

Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, a causa dell’omessa motivazione o motivazione apparente sulla determinazione del valore della controversia e la scelta dello scaglione tariffario di riferimento; la violazione del D.M. n. 127 del 2004, art. 6, per non aver applicato lo scaglione di valore indeterminabile.

La Corte d’Appello avrebbe del tutto omesso di motivare la scelta dello scaglione di valore per la quantificazione dei diritti e onorari, nonostante l’eccezione della ricorrente, sollevata nel giudizio di merito, con la quale sosteneva l’erroneità dell’applicazione dello scaglione per il valore di Euro 25 milioni, anzichè quello di valore indeterminabile, posto che l’oggetto del giudizio era l’annullamento di un atto amministrativo illegittimo, che non avrebbe comportato alcun vantaggio economico all’Azienda Ospedaliera; essendo irrilevanti, poi, il valore base della gara, non coincidente con quello effettivo, così come il valore delle prestazioni.

Denunciava anche la violazione del D.M. n. 127 del 2004, art. 6, dal momento che il giudice di appello, ai fini della determinazione degli onorari, avrebbe fatto riferimento esclusivo al valore oggettivo della domanda, senza effettuare il necessario contemperamento con gli altri aspetti della fattispecie contrattuale (l’interesse sostanziale che riceve tutela attraverso la sentenza e il valore dei diversi interessi perseguiti dalle parti).

Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, a causa dell’omessa motivazione o motivazione apparente e la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 127 del 2004, art. 5, con riguardo all’applicabilità dei minimi o massimi dello scaglione di riferimento. La Corte d’Appello avrebbe liquidato il compenso in un valore complessivo di Euro 35.000, senza motivare in ordine al procedimento logico e aritmetico adottato, nonchè alla scelta di applicare i valori minimi o massimi dello scaglione di riferimento, nonostante la contestazione da parte dell’Azienda Ospedaliera dell’applicazione dei valori massimi.

I due motivi possono essere esaminati congiuntamente e devono essere accolti.

La liquidazione del compenso effettuata dalla Corte d’Appello non è sostenuta da motivazione quanto all’individuazione dello scaglione sulla scorta del quale ha proceduto alla quantificazione dei compensi richiesti, non contenendo alcuna indicazione circa i criteri di quantificazione adottati nè in ordine al valore della controversia, ma solo un generico riferimento alla normativa applicabile, e precisamente al D.M. n. 127 del 2004.

In presenza di contestazioni sul valore della causa e, quindi, della tariffa applicabile, nonchè dei criteri di applicazione delle voci liquidate a titolo di oneri e di diritti, il giudice di merito avrebbe dovuto determinare l’ammontare del compenso dovuto al professionista, specificando il sistema di liquidazione adottato e la tariffa professionale applicabile alla controversia, onde consentire l’accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti e dalle tariffe, anche in relazione all’inderogabilità dei minimi e dei massimi tariffari (Cass., sez. 1, sentenza n. 21932 del 2006; Cass., Sez. L, Sentenza n. 19419 del 09/09/2009).

Ma anche ove voglia ipotizzarsi l’alternativa tra il ricorso allo scaglione per le cause di valore indeterminabile ovvero l’adesione all’indicazione proveniente dal richiedente, la soluzione raggiunta dalla Corte distrettuale si palesa erronea. Ove, infatti, si ritenga che la Corte si sia conformata alla tesi dell’avv. M. ed abbia considerato il valore della causa pari ad Euro 25.000.000,00, la conclusione sarebbe in contrasto con il D.M. n. 127 del 2004, art. 6, tenuto conto del consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui devono essere considerate di valore indeterminabile, ai fini della determinazione degli onorari di avvocato, le controversie introdotte innanzi al giudice amministrativo per l’annullamento di un atto, qualora la causa petendi sia l’illegittimità dello stesso e il petitum la sua eliminazione, senza che rilevino eventuali risvolti patrimoniali della vicenda (cfr. Cass., sez. 2, sentenza n. 1754 del 24/01/2013; Cass., sez. 2, ordinanza n. 15061 del 11/06/2018). Da ultimo, il medesimo principio di diritto è stato affermato da questa Corte (Cass., sez. 6 – 2, ordinanza n. 31255 del 2018), proprio con riferimento a un giudizio di impugnazione del solo bando di gara per l’aggiudicazione di contratti di appalto (conf. Cass. n. 14295/2020 emessa in relazione ad analoga controversia pendente tra le stesse parti del presente giudizio).

In base alla seconda ipotesi, si potrebbe affermare che la Corte abbia considerato la causa di valore indeterminabile, con applicazione del coefficiente previsto per le cause di particolare importanza e dei massimi tariffari, di cui al D.M. n. 127 del 2004, e limitatamente alle attività delle quali ha ritenuto dimostrata l’esecuzione (Studio: Euro 4.070,00; Consultazioni: Euro 2.045,00; Memoria costituzione: Euro 4.070,00). Il risultato al quale si perviene sarebbe comunque di gran lunga inferiore rispetto a quanto liquidato dalla Corte d’Appello, cosicchè sussisterebbe un’evidente violazione della regola dell’inderogabilità dei massimi tariffari, data anche l’assenza di motivazione circa la pur prevista possibilità di cui al cit. D.M. n. 127 del 2004, art. 5, comma 3, di pervenire a quadruplicare i massimi (cfr. Cass., sez. 5, ordinanza n. 27020 del 15/11/2017; Cass. n. 8158 del 2003).

La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma che provvederà alla liquidazione dei diritti e degli onorari dovuti in favore dell’avv. M., facendo applicazione, in relazione alla tariffa di cui al D.M. n. 127 del 2004, dello scaglione previsto per le cause di valore indeterminabile.

Il terzo motivo, con il quale la ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione alla determinazione dello scaglione di riferimento degli onorari al minimo e la violazione del D.M. n. 127 del 2004, art. 5, commi 1-3, è assorbito atteso l’accoglimento dei primi due motivi.

Quanto all’esame del ricorso incidentale, si osserva che con l’unico motivo di ricorso, l’avv. M. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5: vizio della motivazione della sentenza per omesso esame di documenti decisivi ai fini della controversia. A parere del ricorrente la Corte avrebbe omesso l’esame della documentazione in atti che attestava lo svolgimento dell’attività difensiva anche per le fasi indebitamente stralciate dalla condanna (documentazione prodotta all’udienza del 30/04/2013 innanzi al Tribunale di Latina).

Il motivo è inammissibile.

Come questa Corte ha più volte ribadito, il vizio di omesso esame di un documento decisivo non è deducibile in cassazione se il giudice di merito ha accertato che quel documento non è stato prodotto in giudizio, non essendo configurabile un difetto di attività del giudice circa l’efficacia determinante, ai fini della decisione della causa, di un documento non portato alla cognizione del giudice stesso. Se la parte assume che il giudice abbia errato nel ritenere non prodotto in giudizio il documento decisivo, può far valere tale preteso errore soltanto in sede di revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, sempre che ne ricorrano le condizioni (cfr. Cass., sez. 5, sentenza n. 12904 del 01/06/2007; Cass., sez. 5, sentenza n. 20240 del 09/10/2015; Cass., sez. 2, sentenza n. 15043 del 11/06/2018).

Nel caso di specie, la Corte d’Appello non è incorsa in una erronea ricostruzione dei fatti, ma in un errore percettivo: la Corte ha erroneamente ritenuto che, ad eccezione degli atti di costituzione in giudizio dinnanzi al Consiglio di Stato, non fossero acquisiti nel fascicolo i verbali di causa e gli altri atti del giudizio. E ciò ha impedito al giudice di merito di verificare l’effettivo svolgimento delle ulteriori attività dichiarate dall’appellante.

Così che avendo la Corte d’Appello espressamente riferito in sentenza che la parte aveva omesso di produrre i verbali di causa e gli altri atti del giudizio occorreva contestare tale affermazione impugnando la sentenza d’appello con il mezzo della revocazione, il che rende inammissibile il motivo di ricorso incidentale.

Al giudice del rinvio che si designa in una diversa Sezione della Corte d’Appello di Roma si devolve anche la liquidazione delle spese del presente giudizio.

Poichè il ricorso incidentale è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, dichiara assorbito il terzo motivo del ricorso principale ed inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e nei limiti di cui in motivazione, e rinvia ad altra Sezione della Corte d’Appello di Roma anche per le spese del presente giudizio;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso incidentale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2020

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