Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28824 del 27/12/2011

Cassazione civile sez. I, 27/12/2011, (ud. 10/10/2011, dep. 27/12/2011), n.28824

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FELICETTI Francesco – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.V., elettivamente domiciliato in Roma via Città della

Pieve 19, presso lo studio dell’avv.to Claudio Martino che lo

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso per

cassazione;

– ricorrente –

contro

T.M., elett.te domiciliata in Roma via Emilio dè

Cavalieri 11 (email: studio.lanalagostenabassi.it e fax: 06.85300801

per comunicazioni ex art. 176 c.p.c., comma 2), presso lo studio

degli avv.ti Augusta Lagostena Bassi, Anton Giulio Lana e Mario

Melillo che la rappresentano e difendono, giusta procura a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3580/06 della Corte di appello di Roma, emessa

il 20 giugno 2006, depositata il 1 settembre 2006, nella procedura

iscritta al n. 3936/04 R.G.;

udita la relazione della causa svolta all’udienza del 10 ottobre 2011

dal Consigliere Dott. Giacinto Bisogni;

udito l’Avvocato Martino per il ricorrente;

udito l’Avvocato Melillo per la controricorrente;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Oggetto della controversia è il diritto di T.M. all’assegno di divorzio contestato dall’ex coniuge M.V. e riconosciuto dalla Corte di appello di Roma nella misura di 300 Euro mensili rivalutabili secondo indici ISTAT dal febbraio 2005.

Contro la sentenza della Corte territoriale ricorre per cassazione M.V. affidandosi a due motivi di impugnazione.

Si difende con controricorso T.M..

Entrambe le parti depositano memorie difensive.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e artt. 115 e segg. c.p.c. e si censura la motivazione in quanto mancante o assolutamente insufficiente su un punto decisivo della controversia.

In particolare quanto al difetto di motivazione il ricorrente rileva che la sentenza impugnata ha affermato la condizione di media agiatezza del nucleo familiare dei sigg.ri M. e T. senza minimamente indicare la fonte di tale convincimento; non ha in alcun modo chiarito per quale concreta ragione la sig.ra T. non avrebbe potuto mantenere le medesime condizioni di vita godute in costanza di matrimonio senza il contributo economico dell’ex coniuge;

non ha messo in relazione l’affermazione assolutamente astratta di un tenore di vita di media agiatezza del nucleo familiare con i mezzi a disposizione della sig.ra T. e dunque con il tenore di vita fruibile con tali mezzi.

Il ricorrente sottopone inoltre alla Corte i seguente quesiti di diritto: 1) se, ai sensi del combinato disposto tra la L. n. 898 del 1970, art. 5 e l’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., il coniuge richiedente l’assegno di divorzio sia tenuto a fornire la prova del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e della conseguente impossibilità di mantenere il medesimo dopo il divorzio con le sole proprie disponibilità economiche; 2) se nella specie risultino violati e comunque falsamente applicati la L. n. 898 del 1970, art. 5 e l’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c. per avere la Corte di appello accolto la domanda di assegno di divorzio nonostante il coniuge richiedente non avesse fornito alcuna prova – nè chiesto di provare – riguardo al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e alla conseguente impossibilità di mantenere il medesimo tenore dopo il divorzio,con le sole proprie disponibilità economiche; 3) se, proposta domanda di assegno di divorzio L. n. 898 del 1970, ex art. 5, il giudice di merito debba accertare – in concreto – le condizioni di vita del nucleo familiare in costanza di matrimonio e, sempre con accertamento svolto in concreto, l’inadeguatezza del reddito del coniuge richiedente l’assegno di divorzio a mantenere il medesimo tenore di vita dopo il divorzio; 4) se, nell’ambito di tale accertamento, sia sufficiente il semplice raffronto numerico, espresso in termini assoluti (ossia senza parametri di riferimento e paragone) tra i redditi del coniuge richiedente e quelli dell’altro coniuge o sia piuttosto necessaria la verifica – in concreto – del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e quello viceversa fruibile, con i propri mezzi economici, dal coniuge richiedente dopo la cessazione del vincolo matrimoniale; 5) se, conseguentemente, nella specie risultino violati e comunque falsamente applicati la L. n. 898 del 1970, art. 5 e l’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c. per avere la Corte di appello accolto la domanda di assegno di divorzio senza previamente verificare – in concreto (ossia non solo sulla base del solo dato numerico emergente dal raffronto dei redditi delle parti) – il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e senza paramenti verificare, sempre in concreto, l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante per mantenere il medesimo tenore di vita dopo il divorzio.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce una distinta e ulteriore violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 e la motivazione mancante o comunque assolutamente insufficiente su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Quanto al difetto di motivazione il ricorrente rileva che nel procedere alla valutazione comparativa, richiesta dalla L. n. 898 del 1970, art. 5 sul divorzio, la Corte di appello non ha in alcun modo esplicitato gli elementi sulla base dei quali sarebbe stata svolta la valutazione medesima con riferimento a dati concreti e inoltre che la Corte non ha effettivamente considerato gli elementi di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5 e, in particolare, l’apporto da ciascun coniuge dato all’accudimento dei figli; non ha considerato che i figli erano stati prevalentemente accuditi e mantenuti in via esclusiva dal padre; si è limitata a determinare l’assegno di divorzio sulla base della semplice locuzione “appare congruo”, senza fornire alcuna specificazione della congruità della misura dell’assegno accordato e senza, in ogni caso, minimamente considerare gli ulteriori elementi previsti dal citato art. 5 (primo fra tutti il contributo di ciascuno dei coniugi alla vita familiare, sotto il profilo della cura e dell’accudimento dei figli, anche successivamente alla separazione).

Il ricorrente pone inoltre alla Corte i seguenti quesiti di diritto:

1) se, in corretta applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, il giudice del merito deve procedere alla determinazione in concreto dell’assegno di divorzio in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5, comma 6 (nel testo modificato dalla L. n. 74 del 1987) i quali, quindi, agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto e possono, in ipotesi estreme, valere anche ad azzerarla, quando la conservazione del tenore di vita assicurata dal matrimonio finisca per risultare incompatibile con detti elementi di quantificazione; 2) se, conseguentemente, risulti violato e comunque falsamente applicato il detto art. 5 per non avere la Corte di appello proceduto a tale valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5, comma 6 (come modificato dalla L. n. 74 del 1987) e non avere quindi in alcun modo considerato i detti criteri come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto, tali da poter anche azzerare la somma medesima.

I due motivi possono essere esaminati congiuntamente in considerazione della loro stretta connessione logico-giuridica.

Sia sotto il profilo delle dedotte violazioni di legge che dei lamentati difetti di motivazione il ricorso è da ritenersi infondato.

La Corte di appello di Roma è infatti pervenuta alla determinazione dell’assegno divorzile all’esito di una analisi circostanziata dei redditi goduti dalle parti nel corso e dopo il matrimonio. In particolare la Corte ha finalizzato correttamente (cfr. Cass. civ. n. 24858/2008) la propria indagine alla finalità indicata nel principio giurisprudenziale secondo cui l’assegno divorzile trova il suo presupposto nella inadeguatezza dei mezzi economici (comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali e ogni altra utilità di cui può disporre) del coniuge richiedente e specificamente nella insufficienza dei medesimi a consentirgli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e nell’esigenza di un tendenziale ripristino della precedente condizione di equilibrio (Cass., civ. 317/1998).

Per quanto non sia stata svolta una specifica indagine probatoria diretta a determinare il tenore di vita del nucleo familiare nel corso del matrimonio, la Corte di appello ha ritenuto di poterlo definire come uno stato di media agiatezza rilevando che il M. e la T. percepivano rispettivamente, nel 1988, un reddito lordo annuo di lire 52.000.000 e di lire 18.000.000 e usufruivano dell’abitazione di proprietà esclusiva del M..

Le condizioni di reddito attuali sulle quali la Corte ha basato la propria determinazione sono quelle di un reddito netto annuo per la T. pari a 16.000 Euro e per il M. pari a 24.000 Euro.

Quest’ultimo abita nell’appartamento di sua esclusiva proprietà insieme alla figlia ed è ormai libero dall’onere di provvedere al mantenimento dei figli economicamente auto-sufficienti. La T. deve invece provvedere al pagamento del canone di locazione della propria abitazione che ammonta a 5.400 Euro annui. Su tali dati la Corte di appello ha espresso una constatazione di indubbio divario delle capacità reddituali dei due coniugi tali da non consentire alla T. di mantenere uno status economico analogo a quello goduto nel corso del matrimonio e ha fissato nella misura di 300 Euro mensili l’assegno divorzile inteso a riequilibrare il divario e avvicinare la capacità reddituale della T. a quella precedente.

Le critiche mosse dal ricorrente alla sentenza impugnata sono prive di qualsiasi riferimento concreto a risultanze istruttore discordanti rispetto a quelle prese in considerazione dai giudici di appello e assumono il carattere di una mera contestazione di principio alle affermazioni, adeguatamente e logicamente argomentate, della Corte di appello. Il ricorrente in particolare non porta alcun argomento concreto a sostegno dell’affermazione per cui la definizione di media agiatezza delle condizioni economiche della coppia sarebbe arbitraria ovvero dell’affermazione per cui sarebbe rimasto completamente sostegno probatorio il giudizio di inidoneità del reddito attuale della T. a garantirle un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello goduto nel corso del matrimonio.

Il ricorso va pertanto respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 1.700 di cui 200 per spese vive, oltre spese generali e concessione per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2011

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