Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28823 del 30/11/2017


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Cassazione civile, sez. I, 30/11/2017, (ud. 28/09/2017, dep.30/11/2017),  n. 28823

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Tribunale di Busto Arsizio, sezione distaccata di Saronno, con sentenza del 16 settembre 2008, dichiarava la responsabilità professionale del notaio D.S., condannandolo al risarcimento del danno: il predetto era riconosciuto responsabile della erronea identificazione di tale M.A., mutuatario di una somma erogata da Intesa Sanpaolo s.p.a. per l’acquisto di un immobile. Nell’occasione il Tribunale rilevava che l’identificazione del falso M. – successivamente identificato in A.G. – era stata compiuta dalla segretaria del notaio sulla base di una carta di identità risultata poi contraffatta e che il professionista al momento del rogito non aveva rinnovato la richiesta di esibizione del documento, che nel frattempo era stato sequestrato in occasione del tentativo di aprire presso altra banca un conto corrente a nome M..

2. – In sede di gravame la pronuncia di prime cure era parzialmente riformata dalla Corte di appello di Milano. Questa, con sentenza pubblicata l’11 dicembre 2012, per quanto qui rileva, escludeva la responsabilità colpevole del notaio e rigettava le domande risarcitorie proposte nei confronti dello stesso in relazione all’erronea attestazione dell’identità dello stipulante M.A.. Il giudice dell’impugnazione osservava come la L. n. 89 del 1913, art. 49 (legge notarile), nel testo novellato con L. n. 333 del 1976, più non prevedesse la necessità che la certezza circa l’identità personale della parte stipulante costituisse “un risultato da ottenersi personalmente ed esclusivamente dal notaio” e che, inoltre, l’apprezzamento circa la responsabilità del professionista in ordine all’effettiva corrispondenza tra generalità dichiarate e generalità effettive andasse condotto avendo riguardo non solo all’esame del documento d’identità, ma anche sulla scorta della valorizzazione di altri elementi di fatto e di natura presuntiva – purchè gravi, precisi e concordanti – che avessero avuto un rilievo nella formazione del convincimento del notaio stesso. Sulla base di tali rilievi, la Corte distrettuale operava una ricognizione della complessiva situazione di fatto e giungeva alla conclusione che l’identificazione di M. da parte del notaio D. era stata conseguita senza che potesse ravvisarsi, da parte di quest’ultimo, la violazione delle regole di diligenza, prudenza e perizia professionale.

3. – La pronuncia è oggetto del ricorso per cassazione che Intesa Sanpaolo fonda su di un unico, articolato, motivo. Resiste con controricorso D.S..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il motivo denuncia violazione ed errata applicazione della L. n. 89 del 1913, art. 49 come modificato dalla L. n. 333 del 1976, nonchè degli artt. 1227, 2699 e 2703 c.c.. Deduce la banca che era compito del notaio rogante provvedere alla identificazione delle parti contrattuali prendendo visione dell’originale del documento d’identità dei contraenti o, in difetto di pregressa conoscenza personale degli stessi, avvalendosi di testimoni per la verifica dei dati dichiarati: all’opposto, il professionista non aveva proceduto alla identificazione dei soggetti stipulanti il contratto di mutuo. Ricorda, in particolare, la ricorrente che, ai fini dell’identificazione dei contraenti, non potesse prescindersi all’esame dall’originale della carta d’identità o di altro documento equipollente: in altri termini, il professionista era tenuto ad operare un tale riscontro anche a seguito della modificazione della disciplina introdotta la L. n. 89 del 1913, cit. art. 49. Nella fattispecie – spiega l’istante – risultava provato che il notaio D., al momento della formazione dell’atto di cui si controverte, non aveva potuto procedere all’esame del documento d’identità, che era stato già sequestrato dai carabinieri: a quella data, infatti, il professionista disponeva solo della fotocopia del predetto documento, esibito alla coadiutrice dello studio. La sentenza è inoltre censurata avendo riguardo all’applicazione dei criteri operanti in materia di concorso del fatto colposo del creditore. In particolare è contestato che il notaio non fosse tenuto a verificare l’identità del contraente per aver prestato affidamento nei rapporti di conoscenza palesatisi, in occasione del rogito, tra i funzionari dell’agenzia immobiliare e della banca e il sedicente M.. In altri termini, non era possibile, ad avviso della ricorrente, porre sullo stesso piano le eventuali negligenze che sarebbero state poste in atto dall’istituto bancario dalle più gravi mancanze di cui si era reso responsabile il professionista nella identificazione del mutuatario.

2. – Il motivo è infondato.

Il testo vigente della L. n. 89 del 1913, art. 49 è il seguente:

“Il notaio deve essere certo dell’identità personale delle parti e può raggiungere tale certezza, anche al momento della attestazione, valutando tutti gli elementi atti a formare il suo convincimento.

“In caso contrario il notaio può avvalersi di due fidefacienti da lui conosciuti, che possono essere anche i testimoni”.

Il testo dell’articolo risulta mutato rispetto alla versione originaria:

“Il notaro deve essere personalmente certo dell’identità personale delle parti.

“In caso contrario deve accertarsene per mezzo di due fidefacienti da lui conosciuti, i quali possono essere anche i testimoni”.

La modificazione del testo normativo si deve alla L. n. 333 del 1976, art. 1 che ha ridimensionato il dato della conoscenza personale delle parti per il notaio tenuto alla loro identificazione. Infatti, nell’attuale versione non compare più l’avverbio “personalmente” (collegato alla certezza in ordine all’identità delle parti); nel testo della disposizione vigente è inoltre precisato che la sicurezza circa l’identificazione possa conseguirsi anche al momento dell’attestazione: il che vale ad escludere la necessità del dato della pregressa conoscenza personale della parte da parte del notaio; infine, la norma novellata conferisce rilievo a “tutti gli elementi atti a formare il (…) convincimento” del professionista: con ciò chiarendo che l’acquisizione di una certezza sulla identità della parte non dipenda – o comunque possa non dipendere, in concreto – dalla conoscenza personale che il notaio abbia di quel soggetto (la quale può anche mancare) e che detta acquisizione sia anzi determinata da fatti o situazioni che non sono definibili in via astratta e generale, ma che è necessario accertare di volta in volta.

In tal senso, questa Corte è venuta affermando che il cit. art. 49 vada interpretato nel senso che il professionista, nell’attestare l’identità personale delle parti, deve trovarsi in uno stato soggettivo di certezza intorno a tale identità, conseguibile, senza la necessaria pregressa conoscenza personale delle parti stesse, attraverso le regole di diligenza, prudenza e perizia professionale e sulla base di qualsiasi elemento astrattamente idoneo a formare tale convincimento, anche di natura presuntiva, purchè, in quest’ultimo caso, si tratti di presunzioni gravi, precise e concordanti (Cass. 10 maggio 2005, n. 9757; analogamente, nel senso che il notaio non è responsabile dei danni che taluno subisca per effetto della discordanza tra identità effettiva e identità attestata del comparente, se l’identificazione sia il risultato di un convincimento di certezza raggiunto anche al momento dell’attestazione, sulla base di una pluralità di elementi che, comunque acquisiti, siano idonei a giustificarlo secondo regole di diligenza, prudenza e perizia professionale: Cass. 10 agosto 2004, n. 15424).

Ora, la Corte di appello di Milano ha evidenziato che il notaio aveva raggiunto una propria certezza circa l’identità del comparente sulla scorta di plurimi elementi: il sedicente M. era stato presentato al professionista dai responsabili di un’agenzia immobiliare e da un commercialista da tempo conosciuti; la banca aveva affidato la pratica del mutuo al professionista, incaricandolo di redigere la relazione notarile preliminare e trasmettendo allo stesso controricorrente la documentazione a tal fine necessaria oltre che la bozza del contratto di mutuo nella quale figuravano le generalità false dell’aspirante mutuatario; il finanziamento era stato deliberato dalla banca a seguito di una istruttoria sulla persona del futuro contraente, soggetto che l’istituto di credito per legge aveva l’obbligo di identificare; Intesa aveva comunicato al notaio l’approvazione della delibera del mutuo e l’apertura di un conto corrente a nome dello stesso M.; la stipula degli atti notarili era avvenuta col concorso di varie persone, tra cui lo stesso direttore della banca, che si erano intrattenuti con il sedicente M. in atteggiamenti di familiarità e confidenza; la carta d’identità e il codice fiscale del mutuatario esibiti alla segretaria del notaio, che ne aveva estratto copia, non presentavano alterazioni o altre anomalie tali da giustificare un sospetto di falsificazione.

A tale corredo di elementi non vale contrapporre il dato della mancata visione, da parte del notaio, dell’originale del documento di identità, di cui all’epoca lo stipulante non era più in possesso (ma di cui la collaboratrice del professionista aveva in precedenza estratto copia). Deve rilevarsi, in proposito, che la Corte territoriale, nel valorizzare i molteplici elementi di cui si è detto, ha applicato correttamente la norma di cui al cit. art. 49: come si è visto, infatti, questa non predetermina le prove che debbano essere prese in considerazione ai fini del convincimento del notaio circa l’identità della parte, ma impone che il professionista abbia maturato detto convincimento nel rispetto delle regole di diligenza, prudenza e perizia professionale e sulla base di qualsiasi elemento astrattamente idoneo a formare tale convincimento. Non può d’altro canto considerarsi determinante, ai fini del giudizio vertente sulla correttezza dell’operato del notaio, il dato della mancata esibizione dell’originale del documento di identità da parte dello stipulante al momento del rogito, visto che il documento stesso (che il notaio visionò solo in copia) non presentava alterazioni o anomalie, secondo quanto insindacabilmente accertato dal giudice del merito; su di un piano logico, dunque, detta evenienza rende la mancata acquisizione dell’originale non decisiva, in quanto consente di escludere che l’esibizione del detto documento avrebbe indotto il professionista a constatare la falsità delle generalità di M.: generalità, è bene ribadire, che apparivano al notaio incontestabilmente autentiche anche sulla base dei diversi elementi individuati dalla Corte di appello, e che si sono in precedenza menzionati.

E a quest’ultimo proposito occorre aggiungere che la censura basata sul concorso del fatto colposo del creditore non coglie nel segno. Infatti, la Corte di merito non ha inteso fare applicazione dell’art. 1227 c.c., essendosi piuttosto limitata ad attribuire rilievo a una serie di evidenze che non potevano non confermare l’odierno controricorrente nel convincimento circa la corretta identificazione della parte interessata alla stipula del contratto di mutuo. Tra i fattori che possono concorrere a formare la certezza richiesta dalla norma, possono senz’altro ricomprendersi, oltre ai documenti di riconoscimento, il comportamento delle parti, la natura dell’affare e le indicazioni fornite da terzi nella veste di testimoni informali e non di fidefacienti (Cass. 10 agosto 2004, n. 15424, in motivazione); ma non è di certo escluso che tra tali elementi siano da annoverare pure le indicazioni fornite dall’altro contraente (nella specie la banca che mai dubitò, prima del rogito, della identità di M.A.).

3. – Il ricorso va dunque respinto.

4. – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidandole in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della sezione prima civile, il 28 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2017

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