Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28822 del 08/11/2019

Cassazione civile sez. III, 08/11/2019, (ud. 25/09/2019, dep. 08/11/2019), n.28822

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20565-2018 proposto da:

S.M., P.A., in proprio e nella qualità di

contitolari dello STUDIO P. S., domiciliati ex lege in

ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati

e difesi dall’avvocato NICOLA LOCONTE;

– ricorrenti –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

dirigente dell’Ufficio dirigenziale generale, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso INPS AVVOCATURA

CENTRALE, rappresentato e difeso dagli avvocati EMANUELE DE ROSE,

CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, ESTER ADA SCIPLINO, GIUSEPPE

MATANO, ANTONINO SGROI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 32/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 11/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/09/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 4 luglio 2018 P.A.A. e S.M., in proprio e nella qualità di contitolari dello studio P.- S. impugnano la sentenza della Corte d’appello di Bari numero 32-2018, pubblicata l’11 gennaio 2018, con la quale è stata confermata la sentenza di primo grado che ha respinto la loro domanda di risarcimento danni, svolta nei confronti dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), per errata trasmissione di dati contributivi afferenti a un loro cliente (cooperativa di vigilanza) erroneamente chiamato a versare i contributi di disoccupazione e che, una volta reso edotto dell’errore dopo 35 anni di versamenti, ottenuto il rimborso dall’INPS era receduto dal rapporto professionale che, in tesi, si sarebbe protratto per altri 10 anni.

2. Il ricorso è affidato a 5 motivi, cui ha replicato l’istituto convenuto con controricorso.

3. La Corte d’appello, condividendo la motivazione di rigetto resa dal Tribunale, riteneva 1) che nel caso di specie, alla luce delle risultanze istruttorie, non potesse essere ravvisata la responsabilità dell’ente pubblico nei confronti del quale non è rinvenibile l’obbligo giuridico di impedire l’evento ex art. 2043 c.c., non essendo configurabile a carico dell’ente alcun obbligo specifico di controllare l’esattezza dei versamenti effettuati, posto che grava invece sul contribuente l’onere di verificare l’esattezza dei calcoli dei contributi da versare, nei confronti dei quali è previsto un meccanismo basato su note di rettifica ex L. 11 agosto 1973, n. 533; 2) che è pacifico che la restituzione dei contributi figurativi versati dal datore di lavoro in misura maggiore sia oggetto di una obbligazione pecuniaria di fonte legale ex art. 2033 c.c., assoggettata alla disciplina dettata per le obbligazioni, anche in tema di interessi moratori e di risarcimento del maggior danno per ritardo nell’adempimento dovuti al solo contribuente; 3) che nel caso specifico mancava il nesso di causalità tra la condotta e il danno, non causalmente riconducibile alla condotta, del tutto esente da colpa, tenuta dall’ente previdenziale; 4) che l’istituto di vigilanza aveva deciso di interrompere il rapporto di consulenza ritenendo i professionisti responsabili degli errori di calcolo, posto che la richiesta di rimborso era stata avanzata personalmente dal presidente della cooperativa e, in ogni caso, con lo studio professionale era venuto in essere un contratto di prestazione d’opera professionale la cui durata non era predeterminata, ed era quindi basata su un regime di libera recedibilità da parte del cliente; 5) che quanto alla contestazione in merito all’interrogatorio formale deferito al legale rappresentante dell’Inps esso era stato validamente reso da soggetto delegato a rendere tale interrogatorio, come si evinceva dalla documentazione versata in atti, in ragione della sua qualità di capo dell'”ufficio contributi” della sede Inps, e persona a conoscenza dei fatti di causa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 i ricorrenti deducono la nullità del procedimento per violazione dell’art. 83 c.p.c., rilevando che la Corte di merito non si è pronunciata sull’eccezione di nullità della procura alle liti della parte appellata, proveniente dall’ex presidente oramai decaduto dall’incarico al tempo di proposizione dell’appello, in quanto rilasciata in data 8 luglio 2015 al nuovo legale dell’istituto (avvocato P.), soggetto diverso da quelli che hanno difeso l’ente nel primo giudizio.

1.1. Il motivo è inammissibile. Per dedurre un vizio di nullità processuale occorre dimostrare di avervi concreto interesse ex art. 100 c.p.c. e nel caso concreto si tratta di un vizio di costituzione che non avrebbe inciso sulla delibazione delle ragioni dell’appello, non contenendo la comparsa di costituzione dell’appellato nessuna nuova eccezione, domanda o appello incidentale, ma semmai sulle spese del giudizio liquidate a favore dell’ente. Inoltre, la deduzione manca di specificità riguardo al motivo per cui un mandato rilasciato dall’ex legale rappresentante dell’ente non potrebbe valere per il legale che si costituisca dopo la scadenza del mandato rilasciato dal delegante, anche successivamente, posto che la procura alle liti non risulta revocata dal nuovo legale rappresentante dell’organo sociale. I principi di diritto con cui confrontarsi si riscontrano nei precedenti di cui a Cass. Sez. L -, Sentenza n. 8821 del 05/04/2017 (Rv. 643907 – 01), e Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11536 del 23/05/2014, in base a quali ” la procura conferita al difensore dall’amministratore di una società di capitali “per ogni stato e grado della causa” è valida anche per il giudizio di appello, e resta tale anche se l’amministratore, dopo il rilascio della stessa e prima della proposizione dell’impugnazione, sia cessato dalla carica, in conformità al principio secondo cui la sostituzione della persona titolare dell’organo avente il potere di rappresentare in giudizio la persona giuridica non è causa di estinzione dell’efficacia della procura alle liti, la quale continua ad operare a meno che non sia revocata dal nuovo rappresentante legale”.

2. Con il 2^ motivo ex art. 360 c.p.c., n. 3 i ricorrenti deducono violazione o falsa applicazione degli artt. 231,232,228 e 229 c.p.c., In quanto l’interrogatorio formale all’ente è stato deferito a soggetto delegato dal legale rappresentante pro tempore, nonostante solo quest’ultimo sia l’unico soggetto ammesso a rendere l’interrogatorio, fatto da cui avrebbero dovuto assumersi come ammessi i fatti dedotti ad oggetto dell’interrogatorio, ovvero che l’istituto è tenuto ad accertare e verificare l’esattezza degli importi versati dei contribuenti a titolo di contribuzione previdenziale, tenuto anche conto che I’Inps a pagina 5 dell’atto di costituzione avrebbe confessato di aver sempre verificato l’esistenza di contributi a credito, cui non è mai seguita una domanda, ad eccezione di quella del 2004.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. La Corte ha ritenuto che il soggetto comparso a rendere l’interrogatorio formale, nella sua qualità di capo dell’Ufficio contributi della sede Inps, fosse stato validamente delegato a rendere l’interrogatorio in quanto persona a conoscenza dei fatti di causa, operando una valutazione sulla correttezza della delega interna, non specificamente contestata dai ricorrenti prima dell’assunzione dell’interrogatorio. Sotto il profilo processuale, in ogni caso, se si dovesse considerare tale irregolarità come equivalente alla mancata risposta all’interrogatorio formale, da tale evento non potrebbe derivare automaticamente un effetto di confessione, potendo la circostanza essere liberamente valutata dal giudice, posto che facoltà di ritenere come ammessi i fatti dedotti con tale mezzo istruttorio impone al giudice, nel contempo, di valutare ogni altro elemento di prova (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 9436 del 18/04/2018). Inoltre, il fatto oggetto di causa riguarda la valutazione del comportamento assunto dall’INPS in relazione alla normativa di settore, in termini che essa imponga o meno un onere di verifica circa la correttezza dei dati trasmessi: dunque l’assunzione dell’interrogatorio su tali circostanze, inerenti al concreto comportamento assunto dalla P.A. non avrebbe potuto avere alcun rilievo decisorio o confessorio.

3. Con il 30 motivo i ricorrenti deducono violazione o falsa applicazione degli artt. 2043,1175 e 1176 c.c., nonchè dell’art. 97 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte distrettuale avrebbe fondato la sua decisione di rigetto sull’assunto che appaiono carenti sia la condotta illecita imputabile all’ente, sia il nesso di causalità tra tale condotta e il danno subito dai due professionisti, quando l’Inps, per sua stessa ammissione, avrebbe sempre verificato l’esistenza di contributi a credito.

3.1. Il motivo è inammissibile in quanto non si ricollega alla ratio decidendi, in cui è espresso che le norme di settore non impongono un obbligo esclusivo dell’istituto di verificare i dati trasmessi o ricevuti. Ed invero, l’ordinamento non prevede che l’ente sia esonerato da tale compito, bensì che il controllo della correttezza del versamento non sia appannaggio esclusivo dell’ente di previdenza, e che vi concorrano sia il datore di lavoro che il lavoratore, che nella specie non hanno svolto alcuna segnalazione, mentre sarebbe stato precipuo compito dei due professionisti che assistevano il datore di lavoro verificare la debenza o meno dei contributi versati (cfr. Sez. L, Sentenza n. 17417 del 30/08/2016, richiamata dalla stessa sentenza impugnata: “in materia di indebito previdenziale, non sussiste l’errore imputabile all’ente erogatore, ai fini dell’applicazione della L. n. 412 del 1991, art. 13, comma 1, qualora la liquidazione (della pensione) sia avvenuta sulla base dei dati contributivi trasmessi dal datore di lavoro, non essendo configurabile un onere dell’ente previdenziale di sottoporre a verifica tali dati prima di procedere all’erogazione della prestazione”).

3.2. La Corte distrettuale ha messo quindi in rilievo come, in base alla legge che regola i rapporti tra convenzionati ed Inps, non sia esclusivo onere dell’istituto verificare la correttezza o meno dei versamenti effettuati dai singoli contribuenti, sussistendo un meccanismo di rettifica dei dati che deve essere per legge attivato dai singoli contribuenti, come avvenuto nel caso di specie. Sotto il profilo della correttezza del comportamento tenuto dall’INPS, la Corte non ha rilevato alcun elemento di scorrettezza comportamentale, posto che l’istituto previdenziale si è attivato non appena resosi consapevole dell’errore compiuto dal datore di lavoro, mentre i professionisti non si sono mai attivati, se non dopo aver ricevuto notizia dell’errore comunicato dall’INPS. Pertanto la Corte ha dimostrato di avere comparato i comportamenti delle parti al fine di valutare quale inadempimento, dell’una o dell’altra, avesse potuto incidere di più ritenendo prevalente quello inerte dei professionisti.

4. Con il 4^ motivo ex art. 360, n. 4 si deducono nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c., comma 2, art. 156 c.p.c., comma 2, rilevandone sia la sostanziale contraddittorietà, sia illogicità manifesta ove a pagina 4 la sentenza rileva che non sia configurabile a carico dell’ente alcun obbligo specifico di controllare l’esattezza dei versamenti dei contribuenti, mentre sempre a pagina 5 si puntualizza che è previsto un meccanismo basato sulle note di rettifica ove risulti il credito a favore del contribuente, in base al quale l’ente si attiva per evidenziare la discrasia tra importi versati e dovuti, come è avvenuto in seguito da parte dell’ente.

4.1. Il motivo è inammissibile laddove si risolve nella richiesta di rilievo del vizio di motivazione apparente, quando invece, per i motivi sopra esposti, la motivazione appare in linea con quanto enunciato da questa Corte in materia di carenza di responsabilità dell’ente in caso di versamento di oneri non richiesti dalla legge da parte dell’assicurato, rimasto a sua volta inerte nell’attivare una rettifica.

5. Con il 5 motivo si denuncia violazione degli artt. 1223 e 2043 c.c., nonchè degli artt. 40 e 41 c.p. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 ove è stato ritenuto insussistente un nesso di causalità tra condotta ed evento.

5.1. I motivo è inammissibile alla luce del rilievo, ulteriormente preso in considerazione dalla Corte, circa la non attribuibilità all’ente della responsabilità per l’errato conteggio e la durata ere indeterminata, determinante la immediata recedibilità, del rapporto professionale intrattenuto tra il cliente e i professionisti, terzi rispetto al rapporto intrattenuto con l’ente, a loro volta direttamente coinvolti nella verifica dei dati trasmessi.

6. Conclusivamente il ricorso viene rigettato, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 a favore della parte resistente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 11, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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