Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28821 del 08/11/2019

Cassazione civile sez. III, 08/11/2019, (ud. 25/09/2019, dep. 08/11/2019), n.28821

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4473-2018 proposto da:

V.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G PALOMBINI 3,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA LUCCHETTA, rappresentata e

difesa dall’avvocato VINCENZO BORGESE;

– ricorrente –

contro

G.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 468/2016 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 27/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/09/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 20-29/1/18 V.N. impugna la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Reggio Calabria n. 468/2016, pubblicata il 27.12.2016, nei confronti di G.G. (in seguito deceduto), con la quale la Corte d’appello, a conferma della sentenza di primo grado del Tribunale di Palmi, ha ritenuto che le opere di ricostruzione dell’immobile di proprietà del convenuto, adiacente e prospiciente a quello di proprietà della ricorrente, sito in Rosarno, V. Convento 29, non siano in contrasto con le denunciate violazioni edilizie e con le norme relative alle distanze tra gli edifici. Il ricorso è affidato a quattro motivi

2. La parte intimata G.G., uno degli eredi del resistente, ha notificato controricorso nei termini indicati in epigrafe.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 si denuncia violazione o falsa applicazione della normativa del regolamento edilizio annesso al piano regolatore del Comune di Rosarno, nonchè del D.P.R. n. 380 del 2013, art. 36 (in precedenza L. n. 47 del 1985, art. 13) – Omissione di valutazione e motivazione del contesto processuale – errores in judicando – contraddittorietà. Con il secondo motivo si denuncia ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione alla omessa valutazione delle carenze della CTU ed alla omessa valutazione da parte del CTU della normativa del regolamento edilizio annesso al piano regolatore del Comune, nonchè del D.P.R. n. 380 del 2013, art. 36 – omessa valutazione su punti fondamentali del processo inerenti alla imprescindibile necessità della rinnovazione della perizia di ufficio motivazione apparente – inesistenza motivazione – contraddittorietà. Con il terzo motivo si denuncia ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione agli artt. 871 e 872 c.c. e alla L. n. 2248 del 1865, artt. da 1 a 5 all. E – omesso esame delle suddette normative – inesistenza motivazione per omesso esame di un fatto decisivo. Con il 4 motivo si denuncia violazione, errata o falsa applicazione dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione alla ritenuta sanatoria L. n. 47 del 1985, ex art. 13 delle opere e alla normativa di cui all’art. 652 c.p.p. – omissione integrale della motivazione su punti fondamentali del processo inerenti alla ininfluenza del giudicato penale nel processo civile o amministrativo – inesistenza della motivazione in o contraddittorietà.

1.1. Le censure sono tutte inammissibili sotto il profilo dell’art. 366 c.p.c., n. 4 poichè la lettura dei quattro motivi, al lume della motivazione, evidenzia come la loro illustrazione non sia idonea a dimostrare l’erroneità o insufficienza degli argomenti utilizzati dalla Corte territoriale nel respingere i motivi di appello.

1.1.1. Quanto al 1 motivo la ricorrente deduce che dalla Corte sia stato omesso di affrontare il problema centrale del processo ove era richiesto ai giudici di merito di stabilire se le opere eseguite fossero conformi alla legge e regolamenti edilizi; se esse costituivano reato; e se, ove sanabili, quali sarebbero stati gli effetti dell’eventuale sanatoria; se il giudice civile fosse vincolato alle pronuncia del giudice penale o se, invece, ove ravvisi la ricorrenza delle illiceità abbia il potere – dovere di applicare la legge civile e le relative sanzioni quali la riduzione in pristino e il risarcimento dei danni. Deduce che i giudici d’appello avrebbero dovuto esaminare e valutare il contesto processuale e la situazione oggettiva dei luoghi e delle opere denunciate non in modo riduttivo ma in modo esaustivo, rilevando che la zona dove era stata costruita l’opera del resistente sorge nell’ambito della zona A del Comune di Rosarno, ove sia il precedente che l’attuale piano regolatore non consentono costruzioni di alcun genere, bensì solo ristrutturazioni d’opere di consolidamento risanamento conservativo; deduce pertanto che il resistente non avrebbe avuto diritto a demolire e ricostruire l’edificio effettuando una nuova costruzione, e neanche ottenere la concessione sopraelevazione fino all’altezza di 10 m, come anche sopravanzare di circa 3 m violando l’allineamento preesistente, nè il Comune avrebbe potuto concedere in tale situazione una sanatoria, poichè la costruzione era stata fatta dopo 1983, in un periodo in cui il legislatore non ha inteso sanare fabbricati parzialmente o totalmente abusivi, o eseguiti in violazione delle norme urbanistiche e sismiche intervenute passivamente, fatto salvo il regime di limitata sanatoria previsto al D.P.R. n. 380 del 2013, art. 36.

1.1.2. Il motivo è innanzitutto inammissibile in quanto miscela censure non partitamente individuate, ma soprattutto non è idoneo a confutare la sentenza che ha riposto ogni sua valutazione sulla CTU acquisita in corso di causa, dalla quale i giudici hanno evinto che le opere di ristrutturazione non erano contrastanti con il piano regolatore e con le norme edilizie vigenti al tempo della costruzione e al tempo dell’intervenuta sanatoria, rientrando esse pienamente nel disposto di cui al D.P.R. n. 380 del 2013, art. 36.

1.1.3. Inoltre la ricorrente non indica come e dove avrebbe eccepito che le opere effettuate siano state illegittimamente sanate, e pertanto il motivo si dimostra non autosufficiente sotto questo profilo.

1.2. Quanto al 2 motivo, la ricorrente lamenta che il giudice, nonostante le reiterate richieste, non si sia avvalso della facoltà di disporre la rinnovazione delle indagini o la sostituzione del consulente tecnico, limitandosi a condividere e far proprie le conclusioni della CTU, senza giustificarne in alcun modo la validità, posto che il CTU avrebbe dovuto verificare la zona (A) in cui si trova il fabbricato, il fatto che si sia trattato di demolizione e ricostruzione con diversa altezza eseguita in violazione delle normative che regolamentano la fattispecie in relazione alla sola possibilità di ristrutturare. Inoltre la Corte distrettuale non avrebbe rilevato il carattere apodittico delle considerazioni svolte dal CTU in merito alla situazione dei luoghi, alla oggettività dei lavori eseguiti, come attestate dalle foto esibite dall’appellante, per affermare che non vi era stata diminuzione di luce e di aria, che sarebbe palese in base alla “dinamica astronomica solare”, in conseguenza della quale viene tolta luce all’edificio della ricorrente dall’alba al tramonto, che fa assumere che il danno sia in re ipsa.

1.2.1. L’allegazione è affetta dallo stesso vizio di aspecificità riscontrato nel 1 motivo in quanto, da un lato, tocca la discrezionalità del giudice nel valutare il lavoro svolto dal CTU e la necessità di rinnovare l’indagine, mentre, dall’altro, si spinge a confutare tutti aspetti fattuali già valutati diversamente dalla Corte di merito in base alla normativa allora vigente, con considerazioni in linea di massima incensurabili ove la sentenza si dimostri avere argomentato su ogni elemento portato alla sua cognizione; difatti al ricorso non è stata neanche allegata la CTU o altra idonea documentazione dalla quale poter verificare la correttezza di quanto ritenuto dalla Corte d’appello in ordine alla esaustività e condivisibilità delle valutazioni del CTU in ordine alla sanabilità delle opere e al rispetto dei regolamenti edilizi e delle norme di edilizia, di talchè le censure mosse dalla ricorrente si dimostrano insufficienti.

1.3. Con il 3 motivo si censura, in maniera altrettanto apodittica, quanto ritenuto dal giudice di merito in relazione alla denunciata illegittimità degli atti amministrativi di concessione in sanatoria, nonchè la violazione degli artt. 871 e 872 c.c., che attiene al conflitto tra privati e non tra privato e pubblica amministrazione. Sicchè si denuncia che i giudici di merito avrebbero omesso di esaminare e applicare il citato “combinato disposto normativo” in virtù del quale avrebbero dovuto rilevare che le autorizzazioni amministrative ripetutamente concesse erano state del tutto illegali e violatorie del diritto della ricorrente di ricevere luce e aria, dovendosi ritenere che il soleggiamento degli spazi aperti dei giardini assume rilievo economico consistente e che la sua diminuzione integra un danno risarcibile ai sensi dell’art. 172, comma 2.

1.3.1. Sul punto la sentenza rinvia a quanto ritenuto dal giudice di primo grado in base alla CTU. Nel ricorso si sarebbe dovuto fare riferimento alle deduzioni svolte in sede di impugnazione riguardo a questo punto in contestazione, non potendosi onerare questa Corte di effettuare un nuovo scrutinio delle questioni trattate innanzi ai giudici di merito.

1.4. Con il 4 motivo la ricorrente denuncia che i giudici di merito hanno dato erroneamente prevalenza al provvedimento con cui il GIP, in sede penale, ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti degli amministratori locali per avere ammesso la sanatoria di illeciti edilizi non sanabili, senza rispettare l’autonomia del giudizio civile instaurato come sancito dalla sentenza sezioni unite numero 1168-2011, posto che la pronuncia penale non è stata neanche il risultato di un processo penale celebratosi, ma è correlata a un decreto di archiviazione reso inaudita altera parte.

1.4.1. Il motivo è inammissibile in quanto nella sentenza è dato rilievo non tanto al procedimento penale conclusosi con l’archiviazione, ma al fatto che per le opere è stata rilasciata la concessione in sanatoria L. n. 47 del 1985, ex art. 13.

– 2. Conclusivamente il ricorso è inammissibile in quanto i singoli motivi non si dimostrano sufficientemente supportati dall’indicazione dei differenti argomenti sostenuti nel giudizio di primo grado, e in sostanza intendono spingere questa Corte a svolgere un’inammissibile riesame di questioni di merito vagliate dai giudici di merito, oltretutto senza arricchire il ricorso di idonea documentazione, la cui valutazione è stata in tesi pretermessa (la CTU), che dia conto della decisività di fatti o circostanze eventualmente omesse. Pertanto, il ricorso è inammissibile, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 a favore della parte resistente.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 3.000,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge, a favore del legale anticipatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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