Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28819 del 30/11/2017


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Cassazione civile, sez. I, 30/11/2017, (ud. 31/05/2017, dep.30/11/2017),  n. 28819

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. G.A., titolare di un conto corrente presso la filiale di (OMISSIS) della Banca Intesa S.p.a., convenne in giudizio la Banca per sentir dichiarare la nullità della clausola contrattuale che rinviava agli usi per la determinazione del tasso d’interesse e di quella che prevedeva la capitalizzazione trimestrale degl’interessi passivi, nonchè l’illegittimità dell’applicazione della commissione di massimo scoperto, con la rideterminazione del saldo del conto e la compensazione delle somme illegittimamente addebitate, ovvero la condanna della convenuta alla restituzione delle stesse.

Si costituì la Banca, e resistette alla domanda, chiedendone il rigetto.

1.1. Con sentenza del 21 febbraio 2012, il Tribunale di Brindisi, Sezione distaccata di Fasano, accolse parzialmente la domanda, dichiarando nulle le clausole riguardanti gl’interessi ed illegittima l’applicazione della commissione di massimo scoperto, ma rigettando la domanda di compensazione e ripetizione dell’indebito.

2. L’impugnazione proposta dalla G. nei confronti del Banco di Napoli S.p.a., in qualità di avente causa della Banca Intesa, è stata parzialmente accolta dalla Corte d’Appello di Lecce, che con sentenza del 12 novembre 2015 ha determinato in Euro 103.957,03 il saldo del conto corrente, a favore della correntista, rigettando l’appello incidentale proposto dalla Banca.

Premesso che la domanda di accertamento del saldo del conto non era stata proposta per la prima volta in appello, essendo stata avanzata nell’atto di citazione in primo grado, la Corte, pur affermando che la determinazione definitiva dei crediti e dei debiti delle parti può aver luogo soltanto alla chiusura del conto, ha ritenuto che ciò non precluda al correntista la facoltà di agire nel corso del rapporto per ottenere una rettifica delle risultanze del conto. Ha dichiarato poi infondata l’eccezione di prescrizione sollevata dalla Banca, osservando che in tema di conto corrente bancario l’azione di ripetizione del cliente è assoggettata all’ordinario termine di prescrizione decennale decorrente dalla data di chiusura del conto, salvo che non risultino effettuati versamenti a carattere solutorio, la cui allegazione, posta a carico del debitore, nella specie non aveva avuto luogo nè in primo grado nè in appello. Ha confermato infine l’invalidità della clausola riguardante la misura degl’interessi, in quanto indeterminata, rilevando che la stessa, nel prevedere un tasso del 31-22%, non precisava a quali ipotesi si riferisse ciascuno dei predetti tassi, e ritenendo inammissibile, in quanto compiuta soltanto in appello, la precisazione della Banca secondo cui gli stessi si riferivano rispettivamente agli utilizzi entro ed oltre i limiti dell’affidamento concesso.

Ciò posto, la Corte ha ritenuto condivisibile il conteggio effettuato dal c.t.u. nominato in primo grado, rilevando che lo stesso, oltre ad aver espressamente escluso dal calcolo la capitalizzazione degl’interessi, aveva precisato che la commissione di massimo scoperto non era stata mai conteggiata e che le spese non erano state contabilizzate nel saldo, ma riportate in un distinto prospetto. Rilevato inoltre che erano stati tempestivamente prodotti in giudizio i soli estratti conto relativi al periodo compreso tra il 1 gennaio 1987 ed il 31 gennaio 2005, mentre quelli relativi al periodo precedente erano stati tardivamente prodotti dall’appellante, ha ritenuto condivisibile la scelta del c.t.u., che nel procedere al ricalcolo aveva assunto pari a zero il saldo alla data del 1 gennaio 1987: ha considerato infatti inattendibile, in quanto frutto dell’applicazione delle clausole dichiarate illegittime, il saldo risultante dagli estratti conto a quella data, osservando inoltre che incombeva alla Banca, che non l’aveva adempiuto, l’onere di provare la legittimità del proprio credito.

3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per otto motivi, illustrati anche con memoria, il Banco di Napoli S.p.a. (già Sanpaolo Banco di Napoli S.p.a.), in qualità di conferitario del ramo di azienda del Sanpaolo IMI S.p.a., a sua volta avente causa del Banco di Napoli S.p.a., a seguito di fusione per incorporazione con atto per notaio M.M. del 30 giugno 2003, rep. n. 50429. La G. ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2946 c.c. e art. 2697 c.c., commi 1 e 2, sostenendo che, nel rigettare l’eccezione di prescrizione, in virtù della mancata allegazione dell’avvenuta effettuazione da parte della correntista di versamenti a carattere solutorio, la sentenza impugnata non ha considerato che nella citazione l’attrice non aveva identificato le rimesse che costituivano oggetto della propria pretesa. Premesso infatti che, in tema di accertamento di un rapporto di credito e debito connesso ad una domanda di ripetizione dell’indebito, l’onere d’individuare gli addebiti ingiustificati incombe all’attore, afferma che l’eccezione di prescrizione avrebbe dovuto essere valutata alla luce di tale carente allegazione, che dispensava esso convenuto dall’onere di una specifica contestazione.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione degli artt. 2935 e 2946 cod. civ. e dell’art. 100 cod. proc. civ., osservando che, nel subordinare la decorrenza della prescrizione all’effettuazione di versamenti a carattere solutorio, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della natura della domanda, non avente ad oggetto un mero accertamento, ma un accertamento finalizzato alla ripetizione, e quindi soggetta a prescrizione con decorrenza dalla data di annotazione in conto delle partite inficiate da nullità.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2935 cod. civ., osservando che un’interpretazione costituzionalmente orientata di tale disposizione avrebbe imposto di far decorrere la prescrizione dalla data di ciascuna annotazione contabile di cui l’attrice aveva chiesto la rettifica. In subordine, eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 2935 cit., in riferimento all’art. 117 Cost., comma 1, sostenendo che, ove interpretato nel senso dell’imprescrittibilità, in costanza di rapporto, del diritto del correntista all’accertamento del saldo del conto, esso si pone in contrasto la garanzia dell’equo processo e della certezza giuridica, prevista dall’art. 6 della CEDU e dall’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla stessa, impedendo alla banca di confidare nei propri assets, nonostante il tempo trascorso.

4. Le predette censure vanno trattate congiuntamente in quanto aventi ad oggetto la medesima questione, riguardante la prescrizione del credito azionato.

E’ inammissibile, al riguardo, l’eccezione sollevata dalla difesa della controricorrente, secondo cui l’eccezione di prescrizione delle rimesse solutorie doveva considerarsi tardiva, in quanto sollevata specificamente soltanto in appello, mentre in primo grado il ricorrente si era limitato a far valere genericamente l’intervenuta prescrizione decennale di qualsiasi credito eventualmente vantato dalla correntista: la questione di novità dell’eccezione di prescrizione, sollevata in appello, risulta infatti esaminata nella sentenza impugnata, e risolta in senso sfavorevole all’appellata, la quale, per ottenerne il riesame, non poteva limitarsi a riproporla con il controricorso, ma aveva l’onere, in qualità di parte vittoriosa nel giudizio di merito, di proporre ricorso incidentale, in quanto nel giudizio di legittimità non trova applicazione l’art. 346 cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. 6, 14/04/2015, n. 7523; Cass., Sez. 1, 28/03/2006, n. 6992; Cass., Sez. lav., 8/01/2003, n. 100).

4.1. I motivi sono peraltro infondati.

A fini del rigetto dell’eccezione di prescrizione, la sentenza impugnata ha correttamente richiamato il principio, enunciato da questa Corte a Sezioni Unite e ribadito anche in seguito, secondo cui l’azione di ripetizione dello indebito proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degl’interessi maturati nell’ambito di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, decorrente, nell’ipotesi in cui i versamenti effettuati abbiano avuto una funzione meramente ripristinatoria della provvista, non già dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta d’interessi illegittimamente addebitati, ma da quella di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gl’interessi non dovuti sono stati registrati: in tal caso, infatti, ciascun versamento non è configurabile come un pagamento dal quale far decorrere il termine di prescrizione del diritto alla ripetizione, giacchè il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del solvens, con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’accipiens (cfr. Cass., Sez. Un., 2/12/2010, n. 24418; Cass., Sez. 1, 24/05/2016, n. 10713; 24/03/2014, n. 6857). Pur dando atto della peculiarità della fattispecie in esame, caratterizzata dal fatto che la domanda non era stata proposta dopo la chiusura del conto corrente, ma in pendenza del rapporto, la Corte di merito ha ritenuto che tale circostanza non impedisse di procedere alla rideterminazione del saldo ed alla restituzione delle somme indebitamente addebitate per interessi e commissione di massimo scoperto, ma incidesse soltanto sulla prescrizione del diritto azionato, escludendone la decorrenza, in quanto non era stata neppure dedotta l’avvenuta effettuazione di versamenti a carattere solutorio.

4.2. Prima della chiusura del conto, infatti, non essendo il saldo passivo immediatamente esigibile, se non eccedente l’importo dell’affidamento concesso al correntista, soltanto i versamenti eseguiti in presenza di uno scoperto e volti a ricondurre il predetto saldo nei limiti del fido sono qualificabili come pagamenti, la cui effettuazione ad estinzione di un debito totalmente o parzialmente inesistente, in quanto determinato in applicazione di una clausola nulla, fa sorgere il diritto alla ripetizione, con la conseguente decorrenza del termine di prescrizione. Non compete tuttavia al correntista l’allegazione della mancata effettuazione di tali versamenti, trattandosi di un fatto negativo estraneo alla fattispecie costitutiva del diritto azionato, formata esclusivamente dall’illegittimo computo degl’importi annotati in conto per interessi e commissione di massimo scoperto, e non implicante necessariamente la contestazione dei movimenti che ne hanno causato l’addebito (i quali possono ben essere ritenuti dal correntista effettivamente esistenti e correttamente contabilizzati), ma solo quella delle partite periodicamente iscritte al predetto titolo. Incombe invece alla banca che eccepisca la prescrizione del credito l’onere di far valere l’avvenuta effettuazione di rimesse solutorie in pendenza del rapporto, non essendo configurabile, in mancanza di tali versamenti, l’inerzia del creditore, che rappresenta il fatto costitutivo dell’eccezione: non merita dunque consenso la contraria opinione del ricorrente, fondata sul richiamo al pur condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di prescrizione, secondo cui la relativa eccezione deve ritenersi validamente proposta mediante la mera allegazione dell’inerzia del titolare del diritto, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la mancata individuazione del termine applicabile e del momento iniziale o finale di esso, in quanto si tratta di questioni giuridiche, in ordine alle quali il giudice non è vincolato dalle allegazioni di parte (cfr. Cass., Sez. 1, 27/07/2016, n. 15631; 24/05/2007, n. 11843; Cass., Sez. lav., 17/03/2009, n. 6459).

4.3. L’esclusione della decorrenza della prescrizione prima della chiusura del conto ed in mancanza di rimesse solutorie non comporta affatto l’imprescrittibilità del diritto del correntista, ma costituisce espressione del principio generale actio nondum nata non praescribitur, consacrato nell’art. 2935 cod. civ. e valevole per tutti i diritti disponibili, trovando giustificazione, come si è detto, nelle caratteristiche specifiche del conto corrente bancario, che, escludendo l’esigibilità del saldo in pendenza del rapporto, impediscono di ravvisare un pagamento prima della sua estinzione, a meno che il conto non presenti un saldo debitore superiore all’importo del fido accordato al cliente. E’ manifestamente infondata, pertanto, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2935 cod. civ., sollevata peraltro sulla base del richiamo ad alcune sentenze della Corte EDU riguardanti la violazione delle garanzie dell’equo processo e della certezza giuridica previste dall’art. 6 della CEDU e dall’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla stessa, che si riferiscono a fattispecie prive di qualsiasi punto di contatto con quella in esame, in quanto aventi ad oggetto rispettivamente la mancata previsione di limitazioni temporali all’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti di un magistrato (sent. 9/01/2013, Volkov c. Ucraina) ed il riconoscimento di un eccessivo margine di arbitrarietà all’autorità procedente ai fini dell’apertura, della chiusura e della riapertura del procedimento di confisca di redditi ingiustificati (sent. 3/03/2015, Dimitrovi c. Bulgaria).

5. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., rilevando che, nell’assumere pari a zero il saldo del conto al 1 gennaio 1987, la Corte di merito non ha considerato che l’attrice, nel chiedere il ricalcolo delle partite contabili, non aveva contestato specificamente il saldo risultante dagli estratti conto alla predetta data, la cui attendibilità era stata posta in discussione soltanto nell’atto di appello.

6. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 2729 cod. civ., sostenendo che, nell’escludere l’attendibilità del saldo risultante dagli estratti conto al 1 gennaio 1987, la sentenza impugnata ha presunto che lo stesso costituisse il risultato dell’applicazione delle clausole contrattuali dichiarate nulle, senza che vi fosse alcuna prova o indizio della loro applicazione nel periodo anteriore alla predetta data.

7. Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c., commi 1 e 2, affermando che, nel porre a carico di esso convenuto la prova del saldo iniziale, la Corte di merito non ha considerato che, anche alla luce della mancata contestazione degli estratti conto, l’onere della prova incombeva alla cliente che aveva agito per l’accertamento del proprio credito e la ripetizione delle somme addebitate. Nel presumere l’avvenuta applicazione delle clausole nulle anche nel periodo anteriore al 1 gennaio 1987, la sentenza impugnata ha invertito l’onere della prova, senza che ricorressero i presupposti per l’applicabilità del principio della vicinanza della prova, operante soltanto nei casi in cui la ripartizione degli oneri probatori risulti oggettivamente dubbia.

8. Con l’ottavo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 2220 cod. civ. e del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 119, u.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha fatto riferimento all’obbligo della banca di conservare la documentazione contabile, sebbene la domanda di accertamento e ripetizione fosse stata proposta dalla correntista, alla quale incombeva pertanto l’onere della prova del credito.

9. Le predette censure, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riguardanti profili diversi della medesima questione, sono in parte infondate, in parte inammissibili.

Come si evince dalla sentenza impugnata, l’assunzione di un saldo iniziale pari a zero quale base di calcolo per la ricostruzione dell’andamento del conto corrente nel periodo 1 gennaio 1987-31 gennaio 2005, pur avendo avuto luogo in accoglimento di un motivo di gravame specificamente formulato dall’appellante, non ha comportato l’introduzione nel giudizio di un nuovo tema d’indagine, trattandosi di una questione già emersa in primo grado, a seguito della constatazione, compiuta dal c.t.u., della mancata produzione degli estratti conto relativi al periodo precedente, nonchè al rilievo della tardiva produzione degli stessi, che, impedendo la rielaborazione contabile dell’intero sviluppo del rapporto, aveva indotto il Tribunale a ritenere non provata la pretesa restitutoria dell’attrice. La mancata contestazione, da parte dell’attrice, del saldo iniziale risultante dagli estratti conto prodotti in primo grado non comportava d’altronde alcuna preclusione in sede di gravame, dal momento che l’onere di contestazione si riferisce soltanto alle allegazioni in fatto della controparte e non anche ai documenti dalla stessa prodotti, rispetto ai quali è configurabile soltanto l’onere dell’eventuale disconoscimento, nei casi e nei modi di cui all’art. 214 cod. proc. civ., o quello di proporre (quando occorra) querela di falso, ferma restando la facoltà delle parti di metterne in discussione in qualsiasi momento la significatività o la valenza probatoria, suscettibile comunque di autonoma valutazione da parte del giudice (cfr. Cass., Sez. 3, 21/06/2016, n. 12748; Cass., Sez. 6, 6/04/2016, n. 6606).

9.1. Tale valutazione nella specie viene contestata in virtù dell’assunto secondo cui, attraverso la riduzione a zero del saldo iniziale risultante al 1 gennaio 1987, la Corte di merito avrebbe dato per scontata, o comunque presunta, l’avvenuta applicazione delle clausole dichiarate illegittime anche nel periodo precedente, senza che l’attrice, alla quale incombeva il relativo onere, avesse fornito alcun indizio o elemento di prova al riguardo.

Senonchè, dall’iter argomentativo svolto nella sentenza impugnata non emerge alcuna traccia del ricorso ad una siffatta presunzione, in quanto la Corte di merito, dopo aver escluso la possibilità di far derivare dall’impossibilità di ricostruire l’andamento del conto nel periodo anteriore al 1 gennaio 1987 “una sorta di sanatoria degli addebiti illegittimi verosimilmente operati dall’Istituto di credito in tale periodo”, non ne ha tratto alcuna conseguenza sul piano logico, avendo rifiutato di considerare provato, sia pure in via indiretta, il maggior credito fatto valere dall’attrice sulla base del predetto assunto, ed avendo evidenziato l’idoneità del c.d. saldo zero a sopperire all’inadempimento degli oneri probatori incombenti alle parti.

9.2. Nel contestare tale conclusione, il ricorrente ribadisce ancora una volta l’insufficienza degli elementi forniti dall’attrice, a fronte della mancata contestazione degli estratti conto, senza considerare che tale comportamento, mentre in sede processuale non sottrae tali documenti alla prudente valutazione del giudice, in funzione della libera formazione del suo convincimento, sotto il profilo sostanziale non preclude la formulazione di censure concernenti la validità e l’efficacia dei rapporti obbligatori sottostanti alle operazioni annotate. Nell’insistere sull’avvenuta inversione dell’onere probatorio, il ricorrente contesta infine l’applicabilità del principio di vicinanza della prova e la rilevanza del proprio obbligo di conservare le scritture contabili, omettendo di rilevare che il primo non risulta neppure menzionato nella sentenza impugnata, mentre il secondo è richiamato soltanto marginalmente: in tal modo esso dimostra di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge, una nuova valutazione delle prove, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica e la coerenza logica delle argomentazioni svolte a fondamento della decisione (cfr. Cass., Sez. 1, 4/11/2013, n. 24679; Cass., Sez. 5, 16/12/2011, n. 27197; Cass., Sez. lav., 18/03/2011, n. 6288).

10. Con il settimo motivo, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2698 cod. civ., nonchè l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nel porre a carico di esso convenuto l’onere di provare il saldo iniziale, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dello art. 8, comma 4, del contratto di conto corrente, che attribuiva efficacia di piena prova alle scritture contabili della banca.

10.1. Il motivo è infondato.

L’efficacia di piena prova che il contratto di conto corrente attribuisce alle scritture contabili della banca non può essere infatti estesa agli estratti conto, i quali non possono essere inclusi tra le scritture contabili, costituendo semplici attestazioni delle operazioni annotate in conto e dei movimenti a credito e a debito che ne derivano, la cui sottoposizione ad un’autonoma disciplina, dettata dall’art. 1832 cod. civ. e dal D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 50 che ne circoscrivono l’efficacia probatoria a determinate ipotesi, subordinandola a specifici adempimenti, impediscono di attribuirvi la medesima valenza delle predette scritture.

11. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 31 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2017

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