Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28818 del 08/11/2019

Cassazione civile sez. III, 08/11/2019, (ud. 20/09/2019, dep. 08/11/2019), n.28818

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19383-2018 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEI

NAVIGATORI 7/L, presso lo studio dell’avvocato CARLO RECCHIA,

rappresentata e difesa dall’avvocato CARLO POLIDORI;

– ricorrente –

contro

C.P., nella sua qualità di tutrice di C.M.,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA ADRIANA 15 C/O STUDIO

LEGALE COCCIA, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI SPEDICATI,

rappresentata e difesa dall’avvocato RAFFAELE LOMARTIRE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 552/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 18/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/09/2019 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito l’Avvocato POLIDORI CARLO;

udito l’Avvocato LOMARTIRE RAFFAELE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La tutrice dell’interdetta e invalida C.M., sua sorella già protutrice – C.P., convenne dinanzi alla sezione distaccata di Mesagne del Tribunale di Brindisi la precedente tutrice, la comune germana C., che si era appropriata per oltre un decennio di ingenti somme a titolo di indennità di accompagnamento spettanti all’invalida e senza neppure rendere il dovuto conto al giudice tutelare, per sentirla condannare al risarcimento del danno così causato: ed il giudice di primo grado accolse la domanda, condannando la convenuta a pagare la somma di Euro 78.864,64, oltre interessi legali dal 09/03/2006 e spese di lite.

2. Il gravame della soccombente fu rigettato, con condanna anche alle spese del grado, dalla Corte di appello di Lecce con sentenza n. 552 del 18/05/2017: per la cui cassazione ha proposto ricorso C.C., con atto notificato a partire dal 15/06/2018 ed articolato su due motivi.

3. Vi ha resistito con controricorso – e preliminari eccezioni di nullità della procura perchè riferita a diversa sentenza e di tardività per decorso del termine breve dalla notifica della sentenza – C.P., nella richiamata qualità di tutrice di C.M.; e, per la pubblica udienza del 20/09/2019, la ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente C.C. articola due doglianze:

– la prima, di “violazione dell’art. 352 (sic) c.p.p. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, deducendo la violazione di un giudicato penale di assoluzione dal delitto ascrittole per l’appropriazione di almeno una parte dell’indennità di accompagnamento;

– la seconda, di “falsa applicazione della L. 11 febbraio 1980, n. 18, art. 1”, sostenendo la legittimazione attiva, quali beneficiari dell’indennità di accompagnamento, dei soli familiari e non dell’interdetta, senza che mai costoro avessero fatto valere la pretesa in proprio la pretesa restitutoria.

2. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di nullità della procura: nella sua premessa si legge un univoco riferimento alla sentenza da gravare, consistente nell’inciso “nonchè informato di ogni possibilità alternativa al contenzioso giudiziario prevista dalla legge nel giudizio di cui all’atto sovra esteso, avverso la sentenza n. 552/2017 pronunciata dalla Corte di Appello di Lecce”; se è vero che effettivamente il complemento indiretto del predicato “nomina e costituisce” vi figura l’incongruo oggetto identificato come “sentenza n. 5393/2016 pubblicata il 3.10.2016, dalla Corte di Appello di Roma, nel giudizio n. 5127/2012 r.g.”, quel primo inciso, considerato in uno all’apposizione materiale del foglio contenente la procura appunto al ricorso contro la sentenza della corte salentina, degrada a mero errore materiale il secondo riferimento e qualifica come riferito in modo idoneo il mandato appunto al ricorso avverso quest’ultima.

3. Infatti, il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione è per sua natura mandato speciale, senza che occorra per la sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso ed alla sentenza contro la quale l’impugnazione si rivolge, sempre che dal relativo testo sia dato evincere una positiva volontà del conferente di adire il giudice di legittimità, il che si verifica certamente quando la procura al difensore forma materialmente corpo con il ricorso o il controricorso al quale essa inerisce, risultando, in tal caso, irrilevante l’eventuale errore materiale, facilmente riconoscibile, circa gli estremi della sentenza impugnata (Cass. 09/05/2007, n. 10539).

4. Fondata è però l’altra eccezione preliminare di tardività: è versata in atti la prova della notifica, a mezzo p.e.c. e ad impulso dell’avv. Teresa D’Aprile (difensore di C.P., nella qualità, in secondo grado, autore del messaggio di posta) all’indirizzo di posta elettronica petraroli.andrea.coabrindisi.legalmail.it (ascritto all’avv. Andrea Petraroli, difensore di C.C. in secondo grado), della sentenza qui gravata fin dal 27/07/2017, sia pure senza formale asseverazione, nel messaggio di posta elettronica con cui quella ha avuto luogo, della conformità di quella sentenza all’originale esistente agli atti del fascicolo telematico.

5. Al riguardo, vanno adeguati all’ambiente del processo civile telematico, ancora lontano dall’operatività per il giudizio di legittimità se non per limitati aspetti, i principi in materia di idoneità, ai fini dell’attivazione del termine breve per l’impugnazione, della notificazione di una copia della sentenza priva di formali attestazioni di conformità.

6. Infatti, già in tema di notificazione con mezzi tradizionali si è affermato che “l’esistenza di irregolarità nel rilascio di copia di atti da parte del cancelliere non determina la nullità della notificazione della sentenza di primo grado, stante il numerus clausus delle relative ipotesi e considerato che anche la notifica della sentenza fatta in copia non autenticata è idonea a far decorrere il termine breve dell’impugnazione” (Cass. 12/05/2014, n. 10224).

7. Nel solco di tali conclusioni si è già affermato allora che “la notificazione telematica della sentenza, mediante copia priva della regolare attestazione di conformità all’originale, ma la cui relata contenga l’indicazione della data di pubblicazione e l’attestazione che la stessa, originariamente, recava firma digitale, è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, salvo che il destinatario deduca e dimostri che tale irregolarità abbia arrecato un pregiudizio alla conoscenza dell’atto e al concreto esercizio del diritto di difesa” (Cass. ord. 16/08/2018, n. 20747).

8. Ne consegue che, non avendo dedotto la ricorrente che, e specificamente come1eventuali irritualità nella notifica della sentenza a mezzo p.e.c. abbiano menomato il suo diritto di difesa (ad esempio per incompletezza della copia, o, perfino, per materiale non conformità al suo originale), restando generica la sua deduzione di non conformità o irritualità anche come reiterata nella memoria, la notifica stessa deve reputarsi idonea a far decorrere il termine breve per ricorrere per cassazione: il quale è invano decorso essendo stato il ricorso notificato soltanto nel giugno 2018, elasso sessanta giorni (maggiorati dei trentuno di sospensione feriale) dopo quella notifica e cioè giovedì 26/10/2017.

9. Non giova alla ricorrente il richiamo a Cass. 19/06/2019, n. 16421, che effettivamente collega l’idoneità a far decorrere il termine breve di impugnazione della notifica di sentenza eseguita a mezzo p.e.c. quando articolata, tra l’altro, su trasmissione di copia analogica di quella con attestazione di conformità D.L. n. 179 del 2012, ex art. 16-undecies: invero, la carenza di consimili asseverazioni è stata seriamente ridimensionata dalle pronunce delle Sezioni Unite di questa Corte in tema di improcedibilità ed inammissibilità del ricorso (rispettivamente, da Cass. Sez. U. 22438/18 e 8312/19) e rapportata in concreto alla lesione del diritto di difesa della controparte e ad una specifica doglianza di questa sulle conseguenze di quelle irritualità.

10. Ne segue che, in forza di un generale principio di correttezza e leale collaborazione, se non di autoresponsabilità, tanto del notificante che del destinatario della notifica, l’idoneità suddetta non è elisa dalla carenza di quella asseverazione o attestazione, ove il destinatario della notificazione non deduca (e, se del caso, provi) se e quale specifico pregiudizio gli sia derivato dalla carenza e, in particolare, se e quale difformità rispetto all’originale, idoneamente comunque identificato, siano state in concreto e specificamente dovute a quella carenza.

11. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile per tardività. E tanto preclude il rilievo dell’inammissibilità del primo motivo, irrimediabilmente privo restando il ricorso – com’è noto, non integrabile con alcun altro atto successivo – di adeguati elementi sulla piena coincidenza dei fatti accertati nel procedimento penale conclusosi con l’assoluzione della C.C. e sulla sussistenza di tutti i presupposti per l’efficacia extrapenale, vale a dire quelli previsti dall’art. 652 (e non 352) c.p.p., u.p. comma 1, che il danneggiato dal reato si fosse costituito o fosse stato posto in condizione di costituirsi parte civile, salvo che quegli avesse esercitato l’azione in sede civile a norma dell’art. 75 c.p.p., comma 2.

12. La medesima conclusione di inammissibilità per tardività preclude pure il rilievo di come l’impianto motivazionale del secondo motivo, in disparte ogni questione sulla deducibilità della questione (ove potesse applicarsi alla fattispecie il principio generale di Cass. Sez. U. 16/02/2016, n. 2951, sull’utile contestabilità quale mera difesa della titolarità attiva o passiva del rapporto dedotto in giudizio, ovvero quello di Cass. Sez. U. 09/02/2012, n. 1912, in tema di rilevabilità ufficiosa in ogni stato e grado del difetto di legitimatio ad causam), si sarebbe infranto contro la chiara e limpida configurazione normativa dell’invalido come beneficiario, destinatario e titolare – e di conseguenza unico e solo attivamente legittimato a richiederla e a fruirne – dell’indennità di accompagnamento, nonostante la sua natura di misura di sostegno al nucleo familiare (tra molte: Cass. 03/02/1998, n. 1082; Cass. 09/09/2008, n. 22878), in base al tenore testuale della L. 11 febbraio 1980, n. 18, art. 1 (norma che, al suo comma 1, recita: “ai mutilati ed invalidi civili totalmente inabili per affezioni fisiche o psichiche di cui alla L. 30 marzo 1971, n. 118, artt. 2 e 12 nei cui confronti le apposite commissioni sanitarie, previste dall’art. 7 e seguenti della legge citata, abbiano accertato che si trovano nella impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognano di una assistenza continua, è concessa un’indennità di accompagnamento, non reversibile, al solo titolo della minorazione, a totale carico dello Stato, dell’importo di lire 120.000 mensili a partire dall’1 gennaio 1980, elevate a lire 180.000 mensili dall’1 gennaio 1981 e a lire 232.000 mensili con decorrenza 1 gennaio 1982”).

13. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna della soccombente ricorrente alle spese del giudizio di legittimità.

14. Infine, va dato atto – mancando la possibilità di valutazioni discrezionali (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da essa proposta, a norma del detto art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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