Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28815 del 27/12/2011

Cassazione civile sez. un., 27/12/2011, (ud. 06/12/2011, dep. 27/12/2011), n.28815

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente di sez. –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20724/2011 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTI

PARIOLI 8/A/10, presso lo studio dell’avvocato BOSCAGLI Adriana, che

lo rappresenta e difende, per delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso l’ordinanza n. 106/2011 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 18/07/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/12/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE BUCCIANTE;

udito l’Avvocato Adriana BOSCAGLI;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. CICCOLO

Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con l’ordinanza indicata in epigrafe la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha applicato al Dott. M.F. la misura cautelare del trasferimento provvisorio ad altra sede e con diverse funzioni, in accoglimento della richiesta formulata in tal senso il 20 maggio 2011 dal Ministro della giustizia, il quale aveva segnalato di aver contestualmente promosso azione disciplinare nei confronti del magistrato, all’esito di una inchiesta amministrativa da cui era emersa:

la “violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. d), perchè, nell’esercizio delle sue funzioni, nella qualità di giudice ordinario del Tribunale per i minorenni di Bologna, mancando ai doveri di convenienza, educazione, lealtà, rispetto, solidarietà, equilibrio, riserbo, teneva comportamenti abitualmente e gravemente scorretti nei confronti del Capo dell’ufficio e degli altri magistrati del Tribunale e della Procura per i minorenni di Bologna, nonchè di altri soggetti aventi rapporti con il medesimo nell’ambito dell’ufficio giudiziario, quali i componenti esperti – giudici onorari ed il personale dei servizi sociali che collaborano con l’ufficio, in particolare:

– in occasione di una riunione tenutasi ne luglio 2010 con i colleghi dell’ufficio, battendo fogli e pugni sul tavolo ed alzando la voce offendeva i magistrati del Tribunale e della Procura presso il Tribunale per i minorenni di Bologna dicendo loro di essere membri di “un Tribunale da Corea del nord” e di armare “con pistole e distintivo” il personale dei servizi sociali, alludendo a presunte prassi invalse presso l’ufficio di attribuire eccessivi poteri ai servizi sociali con enorme intromissione nella vita delle famiglie e violazione dei diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti;

– comunicando con i giudici onorari del Tribunale ripetutamente offendeva l’onore e la reputazione del Presidente del Tribunale per i minorenni di Bologna, Dr. Mi.Ma., definendolo “fascista”, “zarista” e bisognoso di “visita psichiatrica” ed usava analoghe espressioni nei confronti dei magistrati della Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Bologna;

– utilizzava toni irriguardosi sia per contenuto che per la forma nei confronti del Dr. Mi. in una nota in data 1.3.2011 al medesimo inviata e trasmessa per conoscenza agli altri giudici togati ed onorari del Tribunale, con cui contestando una disposizione di servizio emanata dal Capo dell’ufficio usava espressioni quali “lo scambio di opinioni per mio solo merito ricondotto a pacatezza”, “non intendo consentire che in modo indebito e per nulla motivato si formuli tale ipotesi, ancorchè con carattere di astrattezza”, “una simile interpretazione, prima ancora che ingiuriosa, appare sorprendentemente superficiale ed implausibile”, “tanto mi sono permesso di osservare non perchè mi aspetti ormai un qualche utile intervento organizzativo rispondente alle esigenze di corretto, efficace ed autonomo esercizio della funzione giurisdizionale”;

– assumeva atteggiamenti maleducati, di indifferenza, nonchè svalutativi e di spregio per il lavoro svolto nei confronti del personale dei servizi sociali, pure innanzi ad altre persone e durante le Camere di consiglio”.

Contro il provvedimento il Dott. M.F. ha proposto ricorso per cassazione, in base a tre motivi. Il Ministro della giustizia non ha svolto attività difensive in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i tre motivi addotti a sostegno del ricorso il Dott. M. F. deduce che l’ordinanza impugnata è affetta da:

– “inosservanza od erronea applicazione dell’art. 107 Cost., del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett. d, art. 13, comma 2, art. 22, comma 1 e successive modificazioni, anche in relazione all’art. 417 cod. proc. pen., comma 1, lett. b, e agli artt. 291 e 292 cod. proc. pen., in quanto è stata applicata la misura cautelare del trasferimento d’ufficio pur riguardando la contestazione fatti non qualificabili nè qualificati come illecito disciplinare e fatti indeterminati”;

– “inosservanza de principio di correlazione tra incolpazione e provvedimento, ai sensi del cit. D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 13 e art. 22, comma 1, e degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., nonchè inosservanza o erronea applicazione del cit. D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d e art. 13, comma 2, in quanto con l’ordinanza impugnata, esclusa la rilevanza degli addebiti di cui ai primi tre punti dell’incolpazione, si dispone l’applicazione di misura cautelare in relazione a fatti diversi da quelli costituenti oggetto dell’incolpazione ed in relazione altresì ad un fatto che, seppure parzialmente corrispondente con il quarto punto del capo di incolpazione, non è configurabile nè è configurato come illecito disciplinare”;

– “mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo dell’ordinanza impugnata e dall’omesso esame di atti processuali specificamente indicati, in quanto la misura cautelare è stata applicata con omissione o illogicità della delibazione sull’illiceità e sulla sussistenza dei fatti di cui a ciascun punto dell’incolpazione e con omissione dell’esame di atti acquisiti al compendio processuale, decisivi e tali da escludere l’esito decisorio accolto dal provvedimento impugnato e la sussistenza del fumus consistente nell’individuazione di gravi indizi di commissione degli illeciti ascritti (art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e, in relazione al cit. D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 13 e art. 22, comma 1”.

Le prime due censure vanno disattese.

Risulta dagli atti del giudizio a quo – che questa Corte può direttamente prendere in esame, dato il carattere di errores in procedendo dei vizi denunciati – che l’incolpato, nell’udienza camerale tenuta dalla sezione disciplinare per la trattazione della richiesta del Ministro della giustizia, ha avuto modo di esporre le proprie difese in ordine all’addebito che gli era stato mosso, in tutte le sue articolazioni. Il che era necessario, ma anche sufficiente, perchè sulla richiesta stessa si potesse provvedere.

Stante poi il carattere “abituale” dell’illecito in questione, consistente nella ripetizione di omogenei comportamenti, non occorreva che essi fossero tutti singolarmente, specificamente e analiticamente menzionati nel capo di incolpazione, in aggiunta a quelli che in via esemplificativa vi erano stati “in particolare” descritti, come denotanti in maniera significativa quel complessivo atteggiamento di continuo contrasto verso colleghi e ausiliari e di denigrazione del loro operato, nel quale risiede il nucleo essenziale dell’unitaria contestazione rivolta al Dott. M.F..

Infatti, anche nel procedimento disciplinare a cognizione piena – e a maggior ragione in quello cautelare, che può essere attivato anche prima dell’esercizio dell’azione – “ove venga contestata una condotta di tipo continuativo, articolantesi in una pluralità di episodi, l’enunciazione dell’addebito in termini sintetici, senza a specificazione di ciascuno di detti episodi, non spiega effetti invalidanti, qualora non manchi l’indicazione di elementi e circostanze idonei a porre l’incolpato in grado di conoscere con completezza le accuse e quindi di svolgere ogni opportuna difesa:

tanto più che per fatto contestato, in relazione alla detta ratio deve intendersi non solo quello indicato specificamente nel capo di incolpazione ma quanto risulta da tutto il complesso degli elementi portati a conoscenza dell’incolpato e sui quali lo stesso è stato messo in grado di difendersi” (Cass. s.u. 28 settembre 2009 n. 230730).

Non sono pertanto condivisibili gli assunti del ricorrente, secondo cui gli erano stati attribuiti (segnatamente nel primo e nel terzo punto del capo di incolpazione) comportamenti del tutto indeterminati, mentre i fatti dei quali era stato chiamato a rispondere erano in gran parte diversi da quelli tenuti in considerazione nell’ordinanza impugnata (essendovi parziale coincidenza soltanto con la condotta indicata nel quarto punto del capo di incolpazione). Tutti, invece, erano compresi nella contestazione, costituendo manifestazioni del sistematico contegno conflittuale e denigratorio di cui si è detto e tutti avevano formato oggetto dell’inchiesta ministeriale e delle difese che già in quella sede l’interessato aveva fatto valere.

Neppure è fondata la doglianza formulata dal ricorrente a proposito dell’incoerenza a suo dire ravvisabile nell’ordinanza impugnata, per essere stata applicata la misura cautelare, pur essendosi almeno implicitamente esclusa la rilevanza disciplinare di tutti gli addebiti contestati, salvo quello genericamente indicato nel quarto punto del capo di incolpazione, che tuttavia di tale rilevanza è ugualmente privo.

La deduzione si basa su una lettura frammentaria del provvedimento, dal cui complessivo contesto sono state estrapolate alcune singole espressioni ed è stato loro attribuito un senso che palesemente non hanno: l’avere la sezione disciplinare parlato di “utilizzo di espressioni forti” e di “cortesia solo formale con i colleghi”, l’aver preso in considerazione gli epiteti riferiti al presidente nell’ambito della valutazione relativa alla “continua contestazione” del dirigente dell’ufficio, il non aver fatto particolare cenno della nota inviata allo stesso presidente dal Dott. M.F., non comportano che sia stata negata – ma anzi è stata espressamente affermata – la qualificabilità come violazione deontologica del comportamento ascritto all’incolpato.

Deve invece essere accolto, nei limiti di cui si dirà, il terzo motivo di ricorso, poichè in effetti la motivazione dell’ordinanza impugnata presenta in alcuni punti i vizi di motivazione che il ricorrente lamenta.

Il D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, artt. 13 e 26, hanno innovato l’istituto del trasferimento d’ufficio per “incompatibilità ambientale”, per l’ipotesi che essa derivi da “fatti astrattamente riconducibili alle fattispecie disciplinari”: in tali ipotesi l’adozione della misura non è più demandata al Consiglio superiore con un provvedimento di natura amministrativa – come nella previsione del testo originario del R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 511, art. 2, che la consentiva nei confronti dei magistrati “per qualsiasi causa anche indipendente da loro colpa” – ma alla sezione disciplinare in via giurisdizionale, previo controllo della ricorrenza sia di “gravi elementi di fondatezza dell’azione disciplinare”, sia di “motivi di particolare urgenza”, sia del contrasto della permanenza nella stessa sede o nello stesso ufficio “con il buon andamento dell’amministrazione della giustizia”.

Alla situazione effettuale di incompatibilità ambientale, pertanto, è ora possibile dare risposta con la misura cautelare giurisdizionale o con quella amministrativa, rispettivamente, secondo che essa dipenda o non da “colpa” del magistrato. Ne consegue che nel primo caso l’adozione del provvedimento comporta la necessità di un’approfondita valutazione delle cause che hanno dato luogo all’impossibilità, senza nocumento per il buon andamento dell’amministrazione della giustizia, della permanenza del magistrato nella sede o nell’ufficio, per verificare se siano a lui addebitabili sotto il profilo disciplinare, in base a “gravi elementi”.

Il relativo accertamento è stato compiuto con esito positivo nell’ordinanza impugnata, nella quale però la sezione disciplinare non ha dato adeguatamente conto – sia pure nei limiti consentiti dalia delibazione necessariamente sommaria che è propria dei procedimenti cautelari – delle ragioni della conclusione cui è pervenuta a proposito della “situazione di continua tensione determinata dal Dott. M.”, eliminabile soltanto con il suo trasferimento ad altra sede e con diverse funzioni: situazione che è stata considerata “determinata” dall’incolpato, senza alcuna verifica circa l’eventualità che i suoi comportamenti ne fossero l’effetto, anzichè la causa, come egli aveva sostenuto a propria discolpa, affermando di aver contrastato illegittime prassi in atto nel Tribunale per i minorenni di Bologna, che a suo dire avevano dato luogo anche a eventi tragici, soprattutto per l’abuso di provvedimenti di allontanamento dei figli dai genitori, ingiustificatamente adottati inaudita altera parte in accoglimento di immotivate richieste della Procura, formalmente provvisori ma reiterati anche per anni, nonchè per l’indebito conferimento ai servizi sociali di penetranti poteri sia di interferenza sulla vita delle famiglie sia di scelta di soluzioni riservate agli organi giudiziari. A queste deduzioni dell’interessato nessuna risposta è stata data dalla sezione disciplinare, che le ha completamente ignorate, mentre avrebbero potuto in ipotesi condurre a una diversa valutazione degli atteggiamenti tenuti dal Dott. M. F., che sono stati implicitamente reputati, in sostanza, soltanto come gratuite espressioni di egocentrismo, superbia, arroganza, protervia, puntiglio, insofferenza e disprezzo per le altrui opinioni. Non è stata affatto presa in considerazione la possibilità, prospettata dall’incolpato come principale ed essenziale argomento a sua difesa, che si fosse trattato invece di legittime e anzi doverose contestazioni di quelle condizioni di sostanziale illegalità, che egli stesso aveva segnalato ai titolari dell’azione disciplinare, prima che essa fosse esercitata nei suoi confronti a seguito di un’iniziativa presa successivamente proprio dal magistrato che egli aveva indicato come responsabile della situazione creatasi nell’ufficio. Anche in questa prospettiva avrebbero dovuto dunque essere vagliate sia le espressioni icastiche che il Dott. M.F. ha ammesso di aver usato una volta, paragonando a “un Tribunale della Corea del nord” il proprio ufficio, corrivo nell'”armare con pistole e distintivo” gli addetti ai servizi sociali, sia le critiche rivolte all’operato di questi ausiliari.

Ugualmente del tutto trascurate sono state altresì le giustificazioni esposte dall’incolpato in merito ai sistemi da lui adottati per la tenuta dei fascicoli dei procedimenti assegnatigli come relatore e per il loro esame da parte dei magistrati della Procura: sistemi che la sezione disciplinare ha reputato entrambi forieri di inconvenienti e disfunzioni, senza tenere conto di quanto era stato dedotto a proposito della convenienza pratica dell’uno e della conformità a legge dell’altro.

Infine, quanto agli epiteti offensivi di “fascista”, “zarista” e bisognoso di “visita psichiatrica” nei confronti del Presidente del Tribunale, attribuiti al Dott. M.F., egli ha decisamente negato di averli pronunciati, rilevando che il giudice onorario che ne aveva parlato in occasione dell’inchiesta amministrativa, in realtà, non aveva riferito che fosse stato lui a usare quelle espressioni diffamatorie; ma anche di questa deduzione la sezione disciplinare non ha tenuto alcun conto.

Accolto pertanto il ricorso nei limiti che risultano da quanto si è esposto in ordine al terzo motivo, l’ordinanza impugnata va cassata con rinvio alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura diversamente composta.

Le spese di giudizio vengono compensate, data la natura del procedimento.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa l’ordinanza impugnata con rinvio alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura diversamente composta;

compensa le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2011

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