Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28815 del 16/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 16/12/2020, (ud. 29/09/2020, dep. 16/12/2020), n.28815

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22450-2017 proposto da:

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONINO SACCA’;

– ricorrente –

contro

M.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 575/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/03/2017 R.G.N. 7861/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/09/2020 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Il Tribunale Civitavecchia accolse la domanda di M.A. e accertò la nullità delle clausole di durata apposte ai contratti di arruolamento intercorsi con Rete Feroviaria Italiana s.p.a. avendo constatato che gli stessi erano privi dell’indicazione di un termine finale certo e non erano neppure precisati i viaggi per i quali erano stati stipulati.

1.1. In particolare il giudice di primo grado ritenne che la formulazione della causale apposta ai contratti non consentiva di stabilirne l’effettiva durata e che, per conseguenza, il termine finale era indeterminato.

1.2. Per l’effetto dispose la conversione del rapporto, ai sensi dell’art. 332 c.n., comma 2, in uno a tempo indeterminato; respinse l’eccezione di risoluzione per mutuo consenso ed in applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5 condannò la società convenuta al pagamento di un’indennità risarcitoria quantificata in sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita di Euro 1925,40.

2. La Corte di appello di Roma, investita del gravame da entrambe le parti, ha respinto l’appello principale proposto da Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. mentre ha accolto in parte l’appello incidentale del M. ed ha accertato che la retribuzione globale di fatto mensile alla quale commisurare l’indennità risarcitoria era di Euro 2.399,00.

3. Il giudice di appello ha ritenuto che dovesse essere confermata l’illegittimità del termine apposto al primo dei contratti intercorsi tra le parti.

3.1. Ha accertato poi che nella fattispecie, che vedeva una serie di contratti a termine tra le parti, era ravvisabile una frode alla legge che ne determinava la nullità. Confermò la conversione dal 1 luglio 1997.

3.2. ha rigettato la censura con la quale era stata denunciata l’omessa pronuncia sull’eccezione di prescrizione con riferimento all’art. 373 c.n., evidenziandone comunque l’infondatezza sul rilievo che l’azione di nullità era imprescrittibile.

3.3. Ha ritenuto infondata la censura che investiva la statuizione con la quale si era esclusa la risoluzione per mutuo consenso del rapporto ed ha osservato che le allegazioni della società al riguardo (tempo trascorso, percezione del trattamento di fine rapporto e reperimento di una nuova occupazione) pur complessivamente valutate non erano decisive per ritenere dimostrata una volontà di risolvere il rapporto.

3.4. Quanto all’indennità risarcitoria ne ha confermato la misura già stabilita utilizzando, L. n. 604 del 1966, ex art. 8 i parametri dell’anzianità di servizio, della durata del rapporto, del tempo trascorso tra la sua cessazione e la costituzione in mora del datore di lavoro ed infine avendo riguardo alle dimensioni dell’impresa.

3.5. In accoglimento del secondo motivo di appello incidentale invece ha incluso nella retribuzione da prendere a riferimento l’indennità di presenza a bordo che era risultata continuativamente erogata.

4. Per la cassazione ha proposto ricorso Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. affidato a sei motivi ai quali il M. non ha opposto difese restando intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

5. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 332 c.n., comma 2, artt. 325 e 373 c.n..

5.1. Sostiene la società che erroneamente la Corte territoriale avrebbe ritenuto che il contratto del 19.7.1997, stipulato per “più viaggi” sulla tratta (OMISSIS), andasse inquadrato nella tipologia del contratto a termine. Al contrario si trattava di un contratto a viaggio, o a più viaggi, disciplinato dall’art. 325 c.n., lett. a), tipico del lavoro nautico e diverso da quello a termine previsto dal cit. art. 325, ex art. 8.

5.2. Osserva la ricorrente che in base all’art. 332 c.n. il contratto di arruolamento deve indicare il viaggio o i viaggi da compiere e il giorno di assunzione del servizio. Se invece concluso a termine deve essere indicata la decorrenza del termine a la sua durata.

5.3. Sottolinea che per viaggio si intende il complesso di traversate da porto di partenza a quello di destinazione e rileva che l’indicazione “più viaggi sulla rotta (OMISSIS)” sarebbe sufficiente a definirne il contenuto.

5.4. Evidenzia allora che l’unico rilievo opponibile sarebbe stato quello, mai sollevato, dell’avvenuto superamento dell’anno che l’art. 326 c.n. prevede come limite esterno dei contratti a viaggio.

6. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione degli artt. 112,345 e 346 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

6.1. Ad avviso della società nel ricorso introduttivo del giudizio era stata denunciata in maniera estremamente generica l’esistenza di una frode alla legge e tale genericità era stata evidenziata sin dalle prime difese. Per l’effetto la Corte sarebbe incorsa nella denunciata violazione di legge avendo pronunciato su una domanda mai formulata in primo grado.

7. Il terzo motivo di ricorso investe il capo della decisione con il quale è stata accertata l’esistenza di un comportamento in frode alla legge e denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 326 c.n. e art. 1344 c.c. oltre che l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

7.1. Nel richiamare i principi affermati da questa Corte e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sui contratti di arruolamento a tempo determinato, la società ricorrente ritiene che la sentenza sia incorsa nella denunciata violazione nel ritenere sussistente un abuso qualificato del ricorso ai contratti a termine e dunque una frode alla legge avendo riguardo alla circostanza che i contratti erano numerosi, ripetuti e concentrati in un breve arco temporale e lo ha fatto ponendo a fondamento della sua decisione elementi estranei alla controversia.

7.2. Sottolinea infatti che i contratti intercorsi tra le parti erano diciotto e non dodici; che il rapporto si era sviluppato per un periodo complessivo di quattordici anni e non di sei anni e mezzo; che era decorso dal 1 settembre 1997 e non dal 31 dicembre 2002.

7.3. Insiste nel ritenere che comunque la reiterazione di contratti a termine, la loro contiguità e concentrazione in un determinato arco temporale non sono indici rivelatori di un intento fraudolento. Nè lo è il fatto che gli stessi siano stati reiterati per le stesse mansioni e sulle stesse navi. Tali circostanze infatti risultano connesse alle modalità di avviamento al lavoro della gente di mare che avviene tramite convenzioni di arruolamento ai sensi dell’art. 125 c.n., attraverso graduatorie ed a fronte di mera richiesta numerica, con la conseguenza che l’armatore non può scegliere il lavoratore da arruolare.

In sostanza la Corte di merito avrebbe ritenuto sussistente la frode alla legge senza accertare l’esistenza di quel quid pluris dal quale desumere l’esistenza, nell’ambito della stipula di plurimi contratti leciti, di un intento fraudolento elusivo.

8. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 373 c.n. in tema di prescrizione.

8.1. La ricorrente, nel ribadire che nessuna nullità per violazione del 1344 c.c. era stata mai denunciata dal ricorrente, evidenzia che era stata invece eccepita l’intervenuta prescrizione di tutti i diritti derivanti dai contratti di arruolamento antecedenti quello dell’8 maggio 2008 per essere decorso il termine biennale previsto dall’art. 373 c.n., prescrizione che non era stata mai interrotta.

9. Il quinto motivo ha ad oggetto la statuizione della sentenza che ha escluso che il rapporto si fosse risolto per mutuo consenso e denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c..

9.1. La ricorrente – nel ribadire che era trascorso un considerevole lasso di tempo tra la conclusione dei singoli contratti e la denuncia della nullità e che nel frattempo il lavoratore aveva percepito tutte le spettanze ivi comprese quelle di fine rapporto senza nulla obiettare ed aveva, anzi, intrattenuto rapporti di lavoro con altri armatori – osserva che la giurisprudenza di merito ha in più occasioni ritenuto che tali circostanze dimostrassero una volontà risolutoria del rapporto.

10. Con l’ultimo motivo, infine, è denunciata la violazione della L. n. 183 del 2010, art. 32 e viene censurata la sentenza nella parte in cui quantificando l’indennità risarcitoria non mostra di tenere conto dell’effettiva anzianità del lavoratore, non particolarmente significativa tenuto conto della discontinuità del rapporto protrattosi in un arco temporale di quattordici anni per complessivi quattro anni.

11. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che attingono una delle due autonome rationes decidendi della sentenza, possono essere esaminati congiuntamente e sono in parte inammissibili ed in parte infondati, restandone così assorbito l’esame del primo motivo.

11.1. E’ inammissibile, infatti, la censura con la quale si denuncia nella sostanza una errata interpretazione della domanda avanzata dal ricorrente a cagione della estrema genericità delle allegazioni circa l’esistenza di una frode alla legge. Come è noto la rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito ed è sindacabile: a) ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del petitum, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la “qualificazione giuridica” dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un “fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo”, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di error in judicando, in base all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, o al vizio di error facti, nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. 10/06/2020 n. 11103). Con riguardo a tale ultima ipotesi, ricorrente nella specie, è necessario che il ricorso per cassazione sia adeguatamente specifico e riporti il contenuto del ricorso di primo grado, quanto meno nella parte che il giudice di appello ha interpretato come proposizione di denuncia di violazione dell’art. 1344 c.c., per consentire alla Corte di verificare la correttezza dell’interpretazione data alle allegazioni delle parti. Nel caso in esame il ricorso è carente sotto tale profilo e non pone la Corte nella condizione di verificare ex actis se nell’interpretazione della domanda sia stato colto o meno, al di là delle espressioni letterali utilizzate, il contenuto sostanziale della stessa, desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dallo scopo pratico perseguito dall’istante con il ricorso all’autorità giudiziaria (cfr. Cass. sez. U. 13/02/2007 n. 3041).

11.2. Quanto alle deduzioni contenute nel terzo motivo di ricorso va rilevato che, da un canto, la Corte territoriale non si è discostata nell’accertamento della frode alla legge dai principi affermati dalla giurisprudenza che l’odierna ricorrente riporta. La censura si risolve piuttosto nella denuncia di una errata percezione di alcune circostanze il numero di contratti effettivamente intercorsi tra le parti (18 e non 12), la durata complessiva del rapporto (14 anni e non 6 anni e mezzo), la decorrenza accertata (1.9.1997 e non 31.12.2002) – che avrebbe dovuto essere fatta valere semmai quale presupposto per la revocazione della sentenza di appello ed il rilievo in questa sede è inammissibile.

12. Del pari non può essere accolto il quarto motivo che ha ad oggetto l’intervenuta prescrizione delle pretese azionate poichè correttamente si è ritenuto che l’azione di nullità esercitata è imprescrittibile. Ciò che si prescrive, eventualmente sono i diritti medio tempore maturati ma nella specie al di là dell’indennità risarcitoria è stata dichiarata solo l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

13. Quanto alla denunciata violazione dell’art. 1372 c.c. la censura si risolve in una inammissibile rivisitazione dei fatti tutti presi in esame dalla Corte territoriale sebbene con una ricostruzione diversa da quella prospettata dalla ricorrente. Va qui ribadito che l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito che, se immune da vizi logici, giuridici e adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità, secondo le rigorose regole sui motivi che possono essere fatti valere al fine di incrinare la ricostruzione di ogni vicenda storica antecedente al contenzioso giudiziale, previste dall’art. 360 c.p.c., n. 5, tempo per tempo vigente (cfr. Cass. per tutte 12/12/2017 n. 29781).

14. Infine è inammissibile la censura che investe la quantificazione dell’indennità risarcitoria L. n. 183 del 2010, ex art. 32. Il sindacato della Corte di cassazione sulla misura dell’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, operata dal giudice di merito, tra il minimo ed il massimo è censurabile – al pari dell’analoga valutazione per la determinazione dell’indennità di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 8 – solo nel caso, nella specie insussistente, di motivazione assente, illogica o contraddittoria (cfr. Cass. 10/10/2019 n. 25484).

15. In conclusione per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Non occorre provvedere sulle spese del giudizio poichè il lavoratore è rimasto intimato. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 29 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2020

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