Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28814 del 27/12/2011

Cassazione civile sez. un., 27/12/2011, (ud. 06/12/2011, dep. 27/12/2011), n.28814

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente di sez. –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – rel. Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21112/2011 proposto da:

R.P., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ZAGARESE Ettore, per delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, MINISTERO

DELLA GIUSTIZIA;

– intimati –

avverso l’ordinanza n. 103/2011 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 13/07/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/12/2011 dal Consigliere Dott. ALFONSO AMATUCCI;

udito l’Avvocato Ettore ZAGARESE;

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. CICCOLO

Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La Sezione disciplinare del Consiglio superiore della Magistratura, con ordinanza depositata il 13 luglio 2011, ha disposto, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 22, la sospensione cautelare facoltativa del Dott. R.P. (sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Rossano) dalle funzioni e dallo stipendio, con collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura e con corresponsione di un assegno alimentare nella misura indicata dall’art. 10, comma 2, del D.Lgs. citato.

Dall’ordinanza risulta che egli era incolpato “oltre che dei fatti di cui al procedimento disciplinare n. 134/08/D, dell’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 4, comma 1, lett. d), in relazione all’art. 600 quater c.p., per essere stato trovato in possesso di una ingente quantità di materiale pedopornografico procurato mediante connessione a siti pornografici effettuata anche dal computer dell’ufficio in sua dotazione. Per detti fatti risulta pendente presso la Procura della Repubblica di Salerno il procedimento penale 6329/10, tuttora in fase di indagini preliminari. Notizia circostanziata dei fatti acquisita in data (OMISSIS)”.

La Sezione disciplinare ha ritenuto:

a) in primo luogo, che il procedimento cautelare era stato promosso dal procuratore generale della Corte di cassazione anche in relazione al procedimento disciplinare n. 134/08/D, attualmente sospeso per la pregiudizialità del procedimento penale nel quale il Tribunale di Salerno aveva emesso, il 4.11.2010, sentenza penale di condanna non ancora definitiva in quanto impugnata dal Procuratore della Repubblica; sicchè, l’intervenuta sentenza di condanna, unitamente all’eccezionale gravità dei fatti che la sorreggono, rendono indubbia l’applicabilità della misura cautelare;

b) in secondo luogo che, quand’anche si ritenesse che la Procura generale abbia, “per mera svista”, richiesto la misura cautelare solo in relazione ai fatti di cui al secondo procedimento disciplinare, le conclusioni sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione della misura cautelare non muterebbero, ricorrendo certamente il fumus della colpevolezza dell’incolpato e la manifesta incompatibilità con l’esercizio della funzione giurisdizionale, attesa l’eccezionale gravità dei fatti stessi, oggetto di tre significative note dell’Interpol e della Polizia di Stato-Ufficio indagini pedofilia di Trento, la seconda delle quali aveva testualmente evidenziato che “gli accertamenti posti in essere nel caso in questione hanno fatto emergere che il sospettato ha scaricato materiale pornografico realizzato mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto, utilizzando tre diverse connessioni”, una delle quali realizzata mediante l’account personale che il Dott. R. ha presso il Ministero della giustizia.

2.- Avverso l’ordinanza ricorre per cassazione il Dott. R. P., affidandosi a sei motivi.

Non è stata svolta attività difensiva da parte del Ministero.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Il primo motivo investe la decisione per avere la Sezione disciplinare inammissibilmente integrato l’incolpazione, rispetto a quella contenuta nella richiesta di sospensione cautelare del P.G., mediante l’aggiunta dell’inciso iniziale “oltre che dei fatti di cui al procedimento disciplinare n. 13/08/D”; il che integra violazione, tra gli altri, del D.Lgs. n. 109 del 2006, che attribuisce l’esercizio dell’azione disciplinare al Procuratore Generale.

Si sostiene che, se tanto non fosse accaduto, per un verso la revocabilità della misura sarebbe stata correlata alla sorte del solo procedimento disciplinare in relazione al quale era stata richiesta; per altro verso, che il provvedimento era stato adottato in relazione ai fatti di entrambi i procedimenti (uno dei quali sospeso per pregiudizialità) e che non lo sarebbe stata se fossero stati considerati solo i fatti del secondo procedimento.

Col secondo motivo si prospetta l’apoditticità della qualificazione dei fatti di cui al procedimento penale (e di quello disciplinare sospeso) come di “eccezionale gravità”, essendo stata irrogata la pena di trenta giorni di reclusione per un reato (art. 604 quater c.p.) la cui pena edittale era all’epoca della reclusione fino a tre anni, in alternativa alla multa non inferiore ad Euro 1.549,00.

2.- Gli altri quattro motivi attengono al secondo procedimento disciplinare, per il quale sono in corso le indagini preliminari.

Vengono in particolare dedotti:

– col terzo motivo, vizi di motivazione in punto di possesso da parte dell’indagato di ingenti quantità di materiale pedopornografico, essendo stata solo sequestrata una gran quantità di materiale informatico, allo stato oggetto di indagini tramite consulenza tecnica volta appunto “a verificare la presenza di materiale illecito nei supporti informatici”;

– col quarto, inosservanza della legge penale e vizio di motivazione per non essere stato considerato che dei telefoni cellulari e delle sim cards sequestrate era stata disposta la restituzione all’indagato con decreto del P.M. del 18.2.2011, “non essendo necessari a fini probatori, essendo stati oggetto di accertamenti tecnici”;

– col quinto, inosservanza della legge penale e vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle risultanze del procedimento penale in fase di indagini preliminari, essendo travisato il senso delle informative della polizia giudiziaria e non essendosi considerato che i collegamenti all’unico sito informatico erano stati del tutto casuali, sporadici ed occasionali (solo sette collegamenti nel periodo 16.2.-19.4.2009) e che avevano riguardato solo 10 immagini, visionate e non scaricate;

– col sesto, difetto di motivazione sulla sussistenza delle ragioni che rendevano inopportuna la permanenza in servizio del magistrato, la cui immagine non poteva considerarsi lesa da collegamenti del tutto sporadici, che dunque non erano con certezza qualificabili come volontari.

3.- Il ricorso è infondato.

3.1.- Sul primo motivo va rilevata l’inconferenza dei rilievi del ricorrente sull’esercizio dell’azione disciplinare, alla quale soltanto è correlabile la formulazione di un vero e proprio capo di incolpazione, certamente formulabile ed integrabile solo dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione (al quale il D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 14, comma 3, assegna l’esercizio obbligatorio dell’azione disciplinare, anche su richiesta del Ministro della giustizia).

La sospensione cautelare facoltativa di cui all’art. 22 del citato D.Lgs., può essere invece domandata e dal Ministro e dal Procuratore generale anche prima dell’inizio dell’azione disciplinare. E ciò quando il magistrato è sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo punibile, anche in via alternativa, con pena detentiva, o quando al medesimo possono essere ascritti fatti rilevanti sotto il profilo disciplinare che, per la loro gravità, siano incompatibili con l’esercizio delle funzioni.

E’ stato in particolare chiarito che la misura cautelare non ha natura di sanzione disciplinare e che non è richiesto l’accertamento della sussistenza degli addebiti, riservato al giudizio penale o a quello di merito sull’illecito disciplinare (così, da ultimo, in linea con un costante indirizzo giurisprudenziale, Cass., sez. un., n. 1337 del 2010, in motivazione).

A tanto consegue che ciò che rileva ai fini dell’esercizio del diritto di difesa da parte del magistrato fatto oggetto di una richiesta di sospensione cautelare da parte del Procuratore generale o del Ministro della giustizia non è la formulazione di un’incolpazione in senso tecnico, ma l’enunciazione dei fatti ai quali è correlato il potere di domandarne la sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio.

Nella specie la Sezione disciplinare ha ritenuto – come s’è sopra rilevato – che il puntuale riferimento nella nota del Procuratore generale del 20.5.2011 al procedimento disciplinare (n. 134/08/D), sospeso per pregiudizialità del procedimento penale nel quale era intervenuta sentenza penale di condanna impugnata dal Procuratore della Repubblica, autorizzasse senz’altro la conclusione che la misura cautelare era stata richiesta anche in relazione ai fatti di cui al citato procedimento disciplinare. Ed ha concluso che, su tale base, l’intervenuta sentenza di condanna e l’eccezionale gravità dei fatti rendessero indubbia l’applicabilità della misura cautelare.

In tale quadro, l’enunciazione nell’epigrafe dell’ordinanza che il Dott. R. era incolpato anche dei fatti di cui al procedimento disciplinare n. 134/08/D, lungi dall’avere operato un’integrazione dell’incolpazione – come sostenuto dal ricorrente – ha assunto valenza meramente esplicativa delle ragioni, già individuate dal Procuratore generale nella citata nota, per le quali la misura cautelare era dal medesimo domandata.

In ordine al secondo motivo (lamentata insufficienza della motivazione in ordine alla qualificazione dei fatti posti a base della condanna penale, ritenuti di “eccezionale gravità” dalla Sezione disciplinare) deve rilevarsi che il ricorrente non chiarisce in alcun modo quali essi fossero. E sarebbe stato necessario che lo facesse nel rispetto del principio di autosufficienza, giacchè l’apprezzamento della affermata apoditticità di una qualificazione presuppone che, in sede di giudizio sulla congruità della motivazione, alla Corte siano offerti elementi idonei ad escludere che fosse in ipotesi sufficiente un’affermazione inesplicata. Il che è senz’altro possibile che accada quante volte res ipsa loquitur. La censura è dunque inammissibile.

3.2.- I motivi dal terzo al sesto sono infondati per le ragioni seguenti: – il terzo, poichè la Sezione disciplinare non afferma che sia stato sequestrato un ingente quantitativo di materiale pedopornografico ma, invece, che materiale pedopornografico sia stato “scaricato”, giusta la seconda informativa della Polizia di Stato e che le connessioni a siti di tal genere da utenze fisse e mobili intestate a Dott. R. sono state poste a base dei decreto di perquisizione e “sequestro di un ingente quantitativo di materiale informatico, allo stato oggetto di consulenza tecnica”;

– il quarto, poichè l’avvenuta restituzione di cellulari e sim-cards all’indagato non è univocamente significativa del fatto che l’oggetto del download non sia stato archiviato altrove;

– il quinto, poichè l’affermato travisamento del senso delle informative di Interpol e Polizia è apodittico, mentre l’affermazione della prospettata casualità dei collegamenti è, per un verso, espressiva di un’opinione, per altro verso non agevolmente conciliabile con l’avvenuto “scarico”;

– il sesto, poichè la valutazione di “inaudita gravità” dei fatti ascritti al Dott. R. e sufficientemente decritti dalla Sezione disciplinare, tali da imporre la sospensione cautelare, integra un apprezzamento di fatto non suscettibile di rivalutazione in questa sede. Va soggiunto che la misura cautelare, non concretando l’irrogazione di una sanzione disciplinare, non richiede un completo accertamento in ordine alla sussistenza degli addebiti, riservato al giudizio di merito sull’illecito disciplinare, ma presuppone esclusivamente una valutazione della rilevanza dei fatti contestati, astrattamente considerati, e la delibazione della possibile sussistenza degli stessi (così Cass., sez. un., n. 28046/2008).

3.2.1.- Con memoria integrativa del 29.11.2011 il ricorrente rappresenta il fatto nuovo e sopravvenuto, costituito dalla circostanza che, “in data 24.11.2011 è stata data esecuzione, da parte della Polizia postale, sezione di Salerno, al decreto di restituzione di cose sequestrate emesso in data 18.11.2011 dalla Procura della Repubblica di Salerno nell’ambito del procedimento penale n. 6329/2010 RGNR Mod. 21 pendente, nella fase delle indagini preliminari, nei confronti del Dott. R.P., odierno ricorrente”. Si afferma che la restituzione di tutto il materiale inizialmente sequestrato con verbale del 6.10.2010, già agli atti del giudizio, “dimostra e corrobora la piena fondatezza di quanto sostenuto”, in particolare, nel terzo motivo di ricorso.

Ebbene, dal citato verbale di restituzione di cose sequestrate, pedissequamente riportato in memoria, risulta che non risultano restituiti “nr. 5 supporti CD/DVD meglio indicati nel citato decreto di restituzione”, sicchè l’affermazione dell’avvenuta restituzione di tutto il materiale sequestrato non è oggettivamente vera.

Resta il fatto che l’art. 600 quater c.p., per il quale secondo l’ordinanza impugnata sono in corso le indagini preliminari, contempla la condotta di chiunque “consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto” e che a pagina 3, terzo capoverso, dell’ordinanza impugnata è detto che la Polizia di Stato-Ufficio indagini pedofilia di Trento aveva testualmente evidenziato che “gli accertamenti posti in essere nel caso in questione hanno fatto emergere che il sospettato ha scaricato materiale pedopornografico realizzato mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto, utilizzando tre diverse connessioni”, una delle quali realizzata mediante l’account personale che il Dott. R. ha presso il Ministero della giustizia. E non sembra dubitabile che, a seguito dello “scarico” (download), il materiale informatico sia detenuto da chi lo scarico abbia realizzato.

4.- Il ricorso è respinto.

Non sussistono i presupposti per provvedere sulle spese.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE A SEZIONI UNITE rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2011

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