Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28804 del 27/12/2011

Cassazione civile sez. un., 27/12/2011, (ud. 22/11/2011, dep. 27/12/2011), n.28804

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Pres.te f.f. –

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente Sez. –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8467-2011 proposto da:

ELECA S.P.A., ELECACHIARI S.R.L., in persona dei rispettivi legali

rappresentanti pro-tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA

DEL MASCHERINO 72, presso lo studio dell’avvocato ZOPPOLATO MAURIZIO,

che le rappresenta e difende, per deleghe a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI CHIARI, in persona del Sindaco pro-tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 290, presso lo studio

dell’avvocato CARBONE PAOLO, che lo rappresenta e difende per delega

a margine del controricorso;

HELVETIA COMPAGNIA SVIZZERA DI ASSICURAZIONI RAPPRESENTANZA GENERALE

E DIREZIONE PER L’ITALIA, in persona del legale rappresentante pro-

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMANUELE GIANTURCO 6,

presso lo studio degli avvocati SCIUTO FILIPPO, BARILE RUGGERO, che

la rappresentano e difendono, per delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 591/2011 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il

26/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/11/11 dal Cons. Dott. SALVATORE SALVAGO;

uditi gli avvocati Maurizio ZOPPOLATO, Paolo CARBONE, Filippo SCIUTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso,

A.G.O..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Consiglio di Stato con sentenza 26 gennaio 2011 ha confermato la decisione 3953/2010 con cui il TAR Lombardia, sez. Brescia aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e la giurisdizione di quello ordinario sulla impugnazione da parte della soc. Elecachiari dell’atto 9 luglio 2010 del comune di Chiari di risoluzione della convenzione stipulata tra dette parti attributiva alla società dei lavori di costruzione e di gestione di un edificio comunale da adibire a cinema con i relativi parcheggi. Ha osservato che trattavasi di concessione di lavori originata da una procedura di finanza di progetto, perciò disciplinata dall’art. 142 codice dei contratti e, per il rinvio contenuto in quest’ultima norma, dall’art. 244 del codice, confluito nell’art. 133 codice processo amministrativo, che devolvono alla giurisdizione esclusiva la sola fase di scelta del contraente privato: perciò riservando a quella ordinaria la fase esecutiva del rapporto.

Per la cassazione della sentenza l’Elecachiari ha proposto ricorso per 3 motivi, illustrati da memoria; cui resistono con controricorso il comune di Chiari e la soc. Helvetia Compagnia svizzera di assicurazioni.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

e Con il primo motivo del ricorso la soc. Elecachiari deducendo violazione degli artt. 3, 142 e 143 cod. contratti pubblici, nonchè art. 133 cod. proc. amm. censura la sentenza impugnata per avere applicato il criterio di ripartizione delle giurisdizioni previsto dai codice per i pubblici appalti senza considerare: a) la natura concessoria del rapporto con il comune, che aveva indotto la giurisprudenza di legittimità nella vigenza della L. n. 109 del 1994 a distinguere le concessioni di soli lavori equiparate agli appalti da quelle di costruzione e di gestione riservate dalla L. n. 1034 del 1971, art. 5 alla giurisdizione esclusiva; b) che detta giurisprudenza fino a quella più recente aveva inequivocabilmente escluso ogni possibilità di equiparazione fra appalti e concessioni di lavori specificandone le ragioni; c) che i caratteri della concessione dei lavori non erano mutati nella più recente legislazione nè dalla stessa erano stati modificati, così come conferma il codice del processo amministrativo che tali concessioni ha mantenuto alla giurisdizione esclusiva.

Con il secondo motivo, deducendo altra violazione delle medesime disposizioni, si duole che il Consiglio di Stato non abbia considerato che la concessione in esame rientra tra quelle di beni pubblici, per il suo oggetto costituito da un bene patrimoniale indisponibile: perciò espressamente devoluta dall’art. 133 codice processo amministrativo alla giurisdizione esclusiva.

Con il terzo insiste nell’assunto suddetto, rilevando che per la menzionata disposizione del nuovo codice amministrativo tutte le concessioni indicate sono soggette alla medesima disciplina processuale, che esclude dalla giurisdizione esclusiva soltanto le controversie relative a canoni ed indennità (L. n. 1034 del 1971, art. 5, comma 2): non senza considerare sul piano logico che la costruzione del bene dovrebbe rientrare nelle relative concessioni e la successiva gestione in quelle di servizi, devolute entrambe alla giurisdizione amministrativa.

Il ricorso non ha fondamento.

Lo stesso, infatti, ha recepito i principi ricavati dalla normativa antecedente al D.Lgs. n. 163 del 2006, che aveva suddiviso i sistemi di esecuzione delle opere pubbliche in due categorie a seconda che venissero compiute direttamente dalla P.A. o indirettamente con il ricorso al sistema della concessione;e nell’ambito di quest’ultima, a seguito del D.L.L. n. 107 del 1919 (art. 16), poi ripristinato dal R.D.L. 1657 del 1926 e dal R.D.L. n. 1137 del 1929 (quest’ultimo modificato ed integrato dalla L. n. 34 del 1951) aveva distinto le concessioni di sola costruzione da quelle di costruzione e di gestione dell’opera. Ed ha recepito conseguentemente la giurisprudenza ad essi relativa che aveva indotto le Sezioni Unite a mantenere ferma la suddetta distinzione anche ai fini del riparto delle giurisdizioni pur dopo che le concessioni dei lavori sono stati equiparati agli appalti di opera pubblica (devoluti alla giurisdizione ordinaria). Mentre quelle di costruzione e di gestione dell’opera sono rimaste nell’ambito della generale categoria dei provvedimenti concessori; e come tali devoluti con una interpretazione estensiva della formula della L. n. 1034 del 1971, art. 5, comma 1, alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Sennonchè tale quadro normativo è stato modificato dalla legislazione europea, la quale da ultimo con la Direttiva 18 del 2004, nell’ambito della categoria degli appalti pubblici ha mantenuto ferma la tradizionale tripartizione tra appalti di lavori, servizi e forniture; ma ha suddiviso le concessioni in due tipologie, la prima delle quali, denominata “concessione di lavori pubblici”, è definita “un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di lavori, ad eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo” (art. 1, sub 3). Mentre la seconda denominata “concessione di servizi” comprende i contratti che “presentano le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo” (art. 1, sub 4).

Siffatta ripartizione è stata interamente recepita dal codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture appr. con D.Lgs. n. 163 del 2006, il quale:

a) ha fatto riferimento, anzitutto, “all’affidamento ed all’esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture” (art. 2, comma 1), in esso includendo tutti i relativi contratti pubblici definiti dal 3 comma “i contratti di appalto o di concessione aventi per oggetto l’acquisizione di servizi, o di forniture, ovvero l’esecuzione di opere o lavori, posti in essere dalle stazioni appaltanti, dagli enti aggiudicatori, dai soggetti aggiudicatori”;

b) ha inglobato negli appalti pubblici di lavori ogni genere di progettazione costruzione ed esecuzione di lavori, specificamente elencati nei commi 7 ed 8 ed ormai comprendenti anche la categoria già denominata concessioni dei lavori o di opera o di sola costruzione (già peraltro in passato equiparata all’appalto), che ha perduto la precedente autonomia sostanziale e processuale: e, quindi, la sua stessa ragion d’essere;

c) ha, per converso, recepito la concezione comunitaria di “concessione dei lavori”, includendo nella relativa categoria ormai unitaria tutti i “contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta, aventi ad oggetto, in conformità al presente codice, l’esecuzione, ovvero la progettazione esecutiva e l’esecuzione, ovvero la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e l’esecuzione di lavori pubblici o di pubblica utilità, e di lavori ad essi strutturalmente e direttamente collegati, nonchè “la loro gestione funzionale ed economica”, che presentano le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di lavori, ad eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo, in conformità al presente codice”;

d) ha mantenuto la diversificazione tra quest’ultima categoria e quella della “concessione di servizi” definita “un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo, in conformità all’art. 30” (cfr. Corte Giustizia CE, Sez. 3^, 15 ottobre 2009, n. 196, caso Acoset).

A seguito della nuova legislazione comunitaria e nazionale non è più consentita dunque la precedente distinzione tra concessione di sola costruzione e concessione di gestione dell’opera (ovvero di costruzione e di gestione congiunte) nella quale prevaleva il profilo concessorio ed autoritativo riguardante in particolare la vicenda traslativa delle pubbliche funzioni inerenti all’attività organizzativa e direttiva dell’opera pubblica, con le conseguenti implicazioni in tema di riparto di giurisdizioni; ma sussiste l’unica categoria di “concessione di lavori pubblici” che ha recepito e completato un lungo percorso legislativo e giurisprudenziale iniziato con la limitazione della nozione alle concessioni relative esclusivamente all’esecuzione materiale dell’opera; proseguito con l’ampliamento della categoria ad ogni genere e fase di lavori pubblici, e non delle sole concessioni di costruzione di opere pubbliche; comprendenti anche quelle con le quali erano commesse al concessionario, insieme alla realizzazione dell’opera, attività tecniche e/o amministrative preparatorie, accessorie e connesse o comunque funzionali rispetto a detta realizzazione, come la programmazione, la progettazione, l’acquisizione delle aree e delle autorizzazioni, l’espletamento delle procedure espropriative, la stipulazione degli appalti, la vigilanza sull’andamento dei lavori, nonchè i collaudi. E concluso dall’acquisizione alla fattispecie della necessaria “gestione funzionale ed economica dell’opera”; la quale come risulta dall’art. 143 del codice, che in tali termini ne ha confermato contenuto e funzione non costituisce più un accessorio (eventuale) della concessione di costruzione, ma la controprestazione principale e tipica a favore del concessionario, che di regola unicamente consiste “nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente tutti i lavori realizzati” (comma 3); salva restando la possibilità di aggiungervi un prezzo nell’ipotesi in cui ricorrano le condizioni previste dal successivo comma.

Sicchè l’istituto rientra ora unitamente agli appalti nel novero dell’affidamento dei lavori pubblici, differenziandosi dall’appalto di lavori pubblici per il fatto appena evidenziato, che il corrispettivo dei lavori consiste nel diritto di gestire l’opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo; è interamente disciplinato dalle norme del codice dei contratti pubblici (art. 142, comma 3) ed accomunato all’appalto anche per il regime processuale di cui alla parte 4^ del codice, nonchè per il sistema di riparto delle giurisdizioni recepito dall’art. 244 e correttamente applicato dalla sentenza impugnata. Il quale, come è noto, attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative alle procedure di affidamento di lavori che si concludono con l’aggiudicazione della gara; mantenendo per converso alla giurisdizione ordinaria la successiva fase relativa alla esecuzione del rapporto in cui deve peraltro trovare applicazione la normativa positiva delle regole attraverso cui i contraenti hanno disciplinato i loro contrapposti interessi e delle relative condotte attuative (Cass. sez. un. 14958/2011; 19049/2010; 6068/2009;

29425/2008).

La conferma di detto criterio di riparto proviene dall’art. 133 nuovo codice processo amministrativo il quale ha devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 1) le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, (con esclusione delle controversie su canoni ed indennità rimaste come già disposto dalla L. n. 1034 del 1971, art. 5, comma 2 alla giurisdizione ordinaria: comma 1, sub b) non comprese dagli artt. 1 e 3 del codice dei contratti nel suo ambito di applicazione (Cass. sez. un. 22625/2010; 1848/2009); 2) le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi (con la medesima eccezione: comma 1, sub c) dall’art. 30 del codice dei contratti escluse dalla disciplina sostanziale in esso contenuta. Mentre le concessioni di lavori pubblici, incluse per quanto si è detto, unitamente agli appalti di lavori pubblici nella nozione di “affidamento dei lavori pubblici”, sono disciplinate dalla successiva lett. e) dello stesso comma 1 che nel n. 1 ribadisce la formula dell’art. 244 codice dei contratti, attribuendo alla giurisdizione esclusiva le sole controversie “relative a procedure di affidamento di pubblici lavori… svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria….”: in tal modo smentendo l’inclusione prospettata dal ricorrente della categoria delle concessioni di lavori pubblici in quella delle concessioni di beni pubblici per il solo fatto che l’immobile su cui vengono eseguiti è comunque un bene pubblico, nel caso appartenente a quelli “indisponibili” destinati ad un pubblico servizio dall’art. 826 c.c., comma 3. La quale finirebbe per eliminare ogni autonomia delle prime in contrasto non soltanto con la menzionata disposizione dell’art. 143 che ne dispone la soggezione alla specifica disciplina del codice dei contratti, ma anche con la normativa comunitaria che l’ha istituita inducendo il legislatore nazionale a recepirne la categoria (L. n. 406 del 1991, art. 4) già in attuazione della direttiva 89/440/CEE. Siffatta autonomia è d’altra parte, evidente proprio nelle procedure di finanza di progetto (project financing), nella specie intercorsa tra le parti, la quale, come rilevato dalla più qualificata dottrina e dalla giurisprudenza amministrativa, prevede una fase pubblicistica volta all’individuazione della scelta del promotore che si conclude con l’affidamento della concessione al soggetto vincitore dell’apposita sequenza di evidenza pubblica; ed una di natura prettamente privatistica per la quale viene sottoscritta una convenzione con la quale si stabiliscono le contrapposte obbligazioni e si individuano le ragioni per contestare inadempimenti, diffidare all’esecuzione di prestazioni e dare corso alla eventuale risoluzione della convenzione qualora gli inadempimenti siano particolarmente gravi (Cons. St. 843/2011; 8554/2010).

Per cui, siccome non vi è contestazione sul fatto che la controversia verte proprio su quest’ultima fase, avendo per oggetto la denuncia da parte dell’impresa di sopravvenuti costi aggiuntivi, con la necessità di rivedere il piano economico e finanziario, nonchè di sospendere i lavori, ed infine la contestazione della legittimità dell’atto di risoluzione 9 luglio 2010 della convenzione adottato dal comune, anche sotto questo profilo, il collegio deve confermare la sentenza impugnata che ha declinato la giurisdizione dell’AGA, attribuendo la relativa disamina alla cognizione del giudice ordinario.

Sussistono giusti motivi atteso il susseguirsi delle ricordate disposizioni legislative, per dichiarare interamente compensate tra le parti le spese processuali.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario ed interamente compensate tra le parti le spese processuali.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2011

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