Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28804 del 08/11/2019

Cassazione civile sez. III, 08/11/2019, (ud. 04/04/2019, dep. 08/11/2019), n.28804

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29767-2017 proposto da:

EPSON ITALIA SPA, in persona del suo Amministratore Delegato e legale

rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAN NICOLA

DE’ CESARINI 3, presso lo studio dell’avvocato LUCA VIANELLO,

rappresentata difesa dagli avvocati ROBERTO CORDINI, RICCARDO

GIORGIO CAJOLA;

– ricorrente –

contro

EULER HERMES S.A. (N. V.) già EULER HERMES EUROPE SA, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ATTILIO REGOLO, 12/D, presso lo studio dell’avvocato

RINALDO FAZI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI ZACA’;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5205/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 31/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI CORRADO che ha concluso per la parziale inammissibilità,

rigetto del 2 motivo;

udito l’Avvocato VIANELLO LUCA per delega;

udito l’Avvocato ZACA’ GIOVANNI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 31/7/2017 la Corte d’Appello di Roma ha respinto il gravame interposto dalla società Epson Italia s.p.a. in relazione alla pronunzia Trib. Roma n. 10481/2012, di parziale accoglimento della domanda nei suoi confronti in origine monitoriamente azionata dalla società EULER HERMES EUROPE s.a. di pagamento di somma, a titolo di indennizzo giusta stipulato contratto di assicurazione contro i rischi del credito commerciale, “per il mancato pagamento delle forniture effettuate dalla Epson spa in favore della società Opengate spa, successivamente dichiarata fallita”, all’esito di insinuazione tardiva da parte di quest’ultima “al passivo di quel fallimento per la somma versata a titolo di indennizzo”, essendosi essa “già insinuata al passivo per l’importo del proprio credito non oggetto di surroga”.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la società Epson Italia s.p.a. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso società EULER HERMES EUROPE s.a..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo la ricorrente denunzia “omesso esame” di fatto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole non essersi dalla corte di merito esaminata la circostanza che “con l’istanza di ammissione tardiva al passivo” controparte “manifestò ad Opengate la propria intenzione di agire al posto di Epson per il recupero dell’indennizzo a questa versato”, esautorandola “di fatto… per la parte della domanda relativa all’indennità, come confermato dalla modifica dello stato passivo successivo alla surroga (doc. 5 prodotto con l’atto di citazione in primo grado)”, sicchè “non aveva più la possibilità di ottenere in restituzione eventuali ulteriori recuperi relativi all’indennizzo”.

Lamenta non essersi dalla corte di merito considerato che la somma riconosciutale “dal concordato Opengate riguarda l’importo spettante “a titolo personale”, in quanto non coperto da indennizzo”, sicchè è nella specie rimasto sacrificato il suo diritto “all’integrale risarcimento”, in favore “di quello della compagnia assicuratrice”.

Con il 2 motivo denunziano “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 1916 e 1362 ss. c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole essersi dalla corte di merito erroneamente interpretate “le condizioni di polizza” prevedenti “espressamente che quanto ricevuto, sino alla concorrenza dell’indennizzo spetti ad Euler, mentre l’eccedenza sia di competenza di Epson (doc. 1 art. 6, lett. C) e lett. G), prodotto con l’atto di citazione di primo grado)”.

Con il 3 motivo denunzia “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 1916 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 4 motivo la ricorrente denunzia “omesso esame” di fatto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che l’importo “della franchigia imposta da Euler… e del 10% del capitale dovuto da Opengate… erano dichiaratamente esclusi dalla garanzia assicurativa” e dall'”indennità pagata dall’assicuratore”, sicchè “non potevano consentire la surrogazione dello stesso nei diritti dell’assicurato”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Va anzitutto osservato che essi risultano formulati in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che la ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, al “ricorso in data 26 gennaio 2011”, al “decreto n. 9162/11 di Ruolo e 6571/01 di Decreto del 31 marzo 2011, notificato… in data 23 aprile – 2 maggio 2011″, all'”atto di citazione in data 11 maggio 2011”, ai “documenti” prodotti, alla sentenza del giudice di 1 cure, all’atto di appello, al “contratto di assicurazione contro i rischi del credito commerciale n. (OMISSIS) (doc. 1 prodotto con il ricorso ingiuntivo)”, ai “doc. 2 – 3 prodotti con il ricorso per decreto ingiuntivo”, al “fallimento della Opengate s.p.a.”, alla “domanda di insinuazione al passivo fallimentare, in surroga ex art. 1916 c.c., per l’importo indennizzato… regolarmente ammesso al passivo del fallimento (doc. 4 – 5 prodotto con il ricorso per decreto ingiuntivo)”, alla “procedura di concordato fallimentare, approvato dai creditori”, all'”art. 6, lett. c), n. 2 delle condizioni generali di polizza”, alle “pattuizioni contrattuali”, alla “somma riconosciuta ad Epson dal concordato Opengate”, alle “condizioni di polizza… (doc. 1 art. 6, lett. c) e G), prodotto con l’atto di citazione di primo grado)”, al “comportamento dell’Esponente Società”, all’art. 6, lett. c), punto 2″, a “tutti i precedenti scritti difensivi”, alla “documentazione prodotta nel corso del giudizio di primo grado”, alla “pagina 13 dell’atto di appello in data 20 giugno 2012”, ai “crediti… nei confronti di Opengate completamente esclusi dal rapporto assicurativo”, al “doc. n. 2 prodotto con l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo”, alle “domande formulate nel corso dei primi due gradi di giudizio”, alle “varie forniture effettuate”, al “credito vantato dall’Esponente Società nei confronti di Opengate non coperto dalla polizza assicurativa” per “altre forniture”, alle “somme… incontestabilmente escluse dall’indennità pagata dall’assicuratore”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente (per la parte strettamente d’interesse in questa sede) riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

E’ al riguardo appena il caso di osservare che i requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c. vanno indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo.

Essi rilevano ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilità del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 5 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. ò 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).

A tale stregua, l’accertamento in fatto e la decisione dalla corte di merito adottata e nell’impugnata decisione rimangono invero dall’odierna ricorrente non idoneamente censurati.

Va per altro verso sottolineato, con particolare riferimento al 1 e al 5 motivo, come al di là della formale intestazione dei motivi la ricorrente deduca in realtà doglianze (anche) di vizio di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie l’omesso e a fortiori l’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312).

Quanto al merito va osservato che non risultano al riguardo dalla medesima invero nemmeno indicati quali criteri legali d’interpretazione ex art. 1362 ss. c.c. assuma dalla corte di merito essere stati nella specie invero violati per poter pervenire all’asseritamente erronea interpretazione delle clausole contrattuali in argomento (che non risultano invero dall’odierna ricorrente nemmeno riportate nel ricorso).

A tale stregua la ricorrente viola il principio affermato da questa Corte in base al quale l’interpretazione del contratto (nonchè giusta il combinato disposto di cui agli artt. 1324 e 1362 c.c. ss. degli atti unilaterali: v., Cass., 19/3/2018, n. 6675; Cass., 6/5/2015, n. 9006), riservata al giudice del merito, è in sede di legittimità censurabile solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione (v. Cass., 22/10/2014, n. 22343; Cass., 21/4/2005, n. 8296).

Il sindacato di legittimità può avere cioè ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti ma solamente l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (v. Cass., 22/10/2014, n. 22343; Cass., 29/7/2004, n. 14495).

Si è al riguardo posto in rilievo come risponda ad orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità (pur non mancando qualche pronunzia di segno diverso: v. Cass., 10/10/2003, n. 15100; Cass., 23/12/1993, n. 12758) che ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate.

Il rilievo da assegnare alla formulazione letterale va invero verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, le singole clausole dovendo essere considerate in correlazione tra loro procedendosi al relativo coordinamento ai sensi dell’art. 1363 c.c., giacchè per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (v. Cass., 28/8/2007, n. 828; Cass., 22/12/2005, n. 28479; 16/6/2003, n. 9626).

Pur assumendo l’elemento letterale funzione fondamentale nella ricerca della reale o effettiva volontà delle parti, il giudice deve a tal fine necessariamente riguardare tale criterio alla stregua degli ulteriori criteri legali di interpretazione, e in particolare di quelli (quali primari criteri d’interpretazione soggettiva, e non già oggettiva, del contratto: v. Cass., 6/12/2018, n. 31574; Cass., 13/11/2018, n. 29016; Cass., 30/10/2018, n. 27444; Cass., 12/6/2018, n. 15186; Cass., 19/3/2018, n. 6675. V. altresì Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 27/6/2011, n. 14079; Cass., 23/5/2011, n. 11295; Cass., 19/5/2011, n. 10998; con riferimento agli atti unilaterali v. Cass., 6/5/2015, n. 9006) dell’interpretazione funzionale ex art. 1369 c.c. e dell’interpretazione secondo buona fede o correttezza ex art. 1366 c.c., avendo riguardo allo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto e quindi alla relativa causa concreta (cfr. Cass., 23/5/2011, n. 11295).

Il primo di tali criteri (art. 1369 c.c.) consente di accertare il significato dell’accordo in coerenza appunto con la relativa ragione pratica o causa concreta (cfr. Cass., 13/11/2018, n. 29016).

L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza ex art. 1366 c.c. quale criterio d’interpretazione del contratto (fondato sull’esigenza definita in dottrina di “solidarietà contrattuale”) si specifica in particolare nel significato di lealtà, sostanziantesi nel non suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi, come pure nel non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nella controparte (v. Cass., 6/5/2015, n. 9006; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 25/5/2007, n. 12235; Cass., 20/5/2004, n. 9628).

A tale stregua esso non consente di dare ingresso ad interpretazioni cavillose delle espressioni letterali contenute nelle clausole contrattuali, non rispondenti alle intese raggiunte (v. Cass., 23/5/2011, n. 11295) e deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa concreta dell’accordo negoziale (cfr., con riferimento alla causa concreta del contratto autonomo di garanzia, Cass., Sez. Un., 18/2/2010, n. 3947).

Come questa Corte – anche a Sezioni Unite – ha già avuto modo di porre in rilievo (v. Cass., Sez. Un., 8/3/2019, n. 6882), assume dunque fondamentale rilievo che il contratto venga interpretato avuto riguardo alla sua ratio, alla sua ragione pratica, in coerenza con gli interessi che le parti hanno specificamente inteso tutelare mediante la stipulazione contrattuale (v. Cass., 22/11/2016, n. 23701), con convenzionale determinazione della regola volta a disciplinare il rapporto contrattuale (art. 1372 c.c.).

Per altro verso, quanto all’introduzione nel contratto di una clausola penale attribuente al concedente – per l’ipotesi dell’inadempimento dell’utilizzatore – l’intero importo del finanziamento e in più la proprietà del bene, va osservato come questa Corte abbia già avuto modo di affermarne la liceità, con la precisazione che al fine di accertare se essa sia manifestamente eccessiva occorre valutare se nel caso concreto la pattuizione venga in tal modo a garantire al concedente vantaggi maggiori di quelli conseguibili dalla regolare esecuzione del contratto, atteso che il risarcimento del danno al medesimo spettante deve essere tale da porlo nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l’utilizzatore avesse esattamente adempiuto (cfr. Cass., 7/1/2014, n. 888. In termini generali sulla possibilità di esercitare d’ufficio i poteri ex art. 1384 c.c. cfr., da ultimo, Cass., 25/10/2017, n. 25334).

A tale stregua, ove la liquidazione del bene non avvenga, non può il concedente in concreto conseguire una locupletazione eludente il suindicato limite ai vantaggi perseguiti e legittimamente dal medesimo conseguibili in forza del contratto (cfr. Cass., 12/06/2018, n. 15202, ove si sottolinea che la clausola non recante indicazioni in ordine alla collocazione del bene a prezzi di mercato va comunque in tali termini intesa, alla stregua del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto ex art. 1375 c.c.).

Orbene, dei suindicati principi la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero piena e corretta applicazione.

In particolare là dove, dopo aver fatto richiamo all’interpretazione del contratto e della quietanza operata dal giudice di prime cure (il quale si era fatto carico di “verificare, attraverso l’esame delle insinuazioni passive presentate, se – come sostiene la parte opponente – il credito vantato dalla Epson s.p.a sia diverso da quello garantito dalla Euler Hermes SIAC s.p.a. o sia parte di esso”, ritenendo il conteggio dalla medesima (ed odierna ricorrente) in tale sede presentato (e nell’odierno ricorso per cassazione riproposto) invero affetto da “inspiegabili inesattezze” deponenti per la non “esatta comprensibilità” del “dato di partenza”), ha rigettato le censure mosse dall’allora appellante ed odierna ricorrente, ponendo in rilievo come “le somme che a suo tempo la appellata aveva corrisposto alla appellante a titolo di indennizzo assicurativo” rappresentano “il limite massimo per agire in via di surroga nei confronti del soggetto “inadempiente” (la soc. Opengate s.p.a.), senza alcuna possibilità di potervi derogare quanto all’importo già erogato (ed oggetto della azione di recupero via surroga) ma senza alcun limite o divieto per l’assicuratore non solo di agire (dopo l’avvenuto pagamento dell’indennizzo) ma anche di scelta delle modalità tramite le quali aggredire il patrimonio del terzo responsabile (la inadempiente Opengate) per recuperare quelle somme”.

Ha ulteriormente sottolineato come ciò “in concreto” non avesse “altro significato se non quello di consentire alla Euler Hermes… di agire in surroga per recuperare l’importo totale erogato, mentre solo per le somme eccedenti quell’importo, la titolare del credito (la società appellante) rimaneva titolare anche delle azioni di recupero verso la sua debitrice (anche mediante insinuazione al passivo fallimentare od ad altra procedura concorsuale). Ed invero… non par dubbio che sino al limite della somma di Euro 1.880.017,68 l’unico soggetto legittimato ad agire verso il terzo era la sola Euler Hermes SIAC s.p.a. senza che avesse alcun rilievo la mera circostanza che la stessa Epson Italia avesse agito come ad essa dovute dalla sua debitrice (ed avesse ricevuto una percentuale del riparto concordatario). Ciò che rilevava, infatti, era che, sino alla somma di Euro 1.880.017,68, ogni somma recuperata nei confronti della debitrice/responsabile del danno spettava alla Euler Hermes che era succeduta alla Epson Italia quale titolare del credito “nei limiti dell’indennizzo versato”. E questo, e solo questo, era anche il significato letterale della specifica previsione dell’art. 6, lett. C (punto 2 seconda parte) della polizza assicurativa inter partes, dove era stato indicato che “dopo il pagamento dell’indennizzo i RECUPERI sono acquisiti ad EULER – SIAC sino alla concorrenza dell’importo indennizzato. I RECUPERI eccedenti tale importo spettano all’Assicurato”. La concorrenza dell’importo indennizzato altro non è che il sopra indicato “limite dell’indennizzo versato” che trova la sua giustificazione sia nella natura del diritto di surroga che nelle previsioni di polizza, all’evidente scopo di consentire di riversare sull’assicurazione il rischio di inadempimento nei limiti della copertura assicurativa (e quindi dell’indennizzo conseguito) con conseguente successione alla assicurata – in quei limiti – per poter agire verso la debitrice inadempiente per recuperare quanto “pagato/erogato” alla assicurata che, al contempo, sino a quel limite non ha più diritto di credito. Solo a recupero avvenuto dell’intero indennizzo versato, infatti, la Epson Italia aveva diritto ad incamerare altre somme provenienti dalla sua debitrice ad estinzione dell’originario credito, e ciò a prescindere dalla sede in cui quei recuperi erano stati realizzati (azioni individuali, concorsuali o concordatarie)”.

Orbene, a fronte della detta interpretazione della polizza assicurativa offerta dai giudici del merito nel doppio grado di giudizio l’odierna ricorrente invero si limita a riproporre (oltre che – come detto – in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) inammissibilmente in termini di mera contrapposizione la propria non accolta tesi difensiva, fondata su una lettura alternativa dell’accordo de quo.

Non può al riguardo d’altro canto sottacersi come risponda a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto ma una delle possibili e plausibili interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (v. Cass., 2/5/2006, n. 10131; Cass., 25/10/2006, n. 22899; e, da ultimo, Cass., 30/572019, n. 14755).

Emerge evidente, a tale stregua, come l’odierna ricorrente in realtà inammissibilmente prospetti invero una rivalutazione del merito della vicenda comportante accertamenti di fatto invero preclusi a questa Corte di legittimità, nonchè una rivalutazione delle emergenze probatorie, laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, non potendo in sede di legittimità riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, atteso il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi.

Per tale via in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi all’attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente società EULER HERMES EUROPE s.a., seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore della controricorrente società EULER HERMES EUROPE s.a..

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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