Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 288 del 10/01/2011

Cassazione civile sez. III, 10/01/2011, (ud. 04/11/2010, dep. 10/01/2011), n.288

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18897-2006 proposto da:

B.A., (OMISSIS), M.P.,

(OMISSIS), M.L., (OMISSIS), elettivamente

domiciliate in ROMA, presso CANCELLERIA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentate e difese dall’Avvocato SPINA GIOVANNI, con studio in

06123 Perugia, Via C. Caporali n. 39, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

ANAS SPA, Società con Socio unico, in persona del suo Procuratore

Speciale Avv. P.G.C., (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, P.ZZA MARTIRI DI BELFIORE 2, presso lo studio

dell’avvocato CILIBERTI GIUSEPPE, che la rappresenta e difende giusta

delega in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 715/2004 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

Sezione Seconda civile, emessa il 7/12/2004 e depositata il

07/07/2005; R.G.N. 1292/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/11/2010 dal Consigliere Dott. FULVIO UCCELLA;

udito l’Avvocato Giovanni SPINA; udito l’Avvocato Giuseppe CILIBERTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 7 dicembre 2004 la Corte di appello di Firenze ha confermato la omologa decisione del Tribunale di Montepulciano che il 16 marzo 2001 aveva respinto la domanda dispiegata da B.A., M.L. e M.P. nei confronti dell’A.N.A.S., Ente nazionale per le strade, volta ad ottenere il risarcimento dei danni dalle stesse asseritamene subiti e conseguenti alla morte del loro congiunto M.E., verificatosi sulla S.S. n. (OMISSIS) per essere il veicolo da lui condotto precipitato in una scarpata, non essendo state predisposte dall’Ente barriere di protezione.

Avverso siffatta decisione propongono ricorso le originarie attrici, affidandosi ad un unico articolato motivo.

Resiste con controricorso l’A.N.A.S s.p.a., che ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico articolato motivo, formulato sotto il profilo della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, le ricorrenti lamentano, in estrema sintesi, che, nell’interpretare l’art. 2043 c.c. nel suo significato sostanziale e letterale, il giudice dell’appello avrebbe dovuto, anche in ossequio all’art. 41 c.p., compiere una indagine sul rilievo causale dell’omissione dell’A.N.A.S., a cui sarebbe certamente riconducibile la morte del M.E..

Il motivo non coglie nel segno.

Di vero, dalla lettura della impugnata sentenza emerge con tutta chiarezza che non si rinviene alcuno dei profili denunciati.

Infatti, il giudice dell’appello ha affermato che la strada era rettilinea e la mancanza di barriera protettiva, attesa la condotta del M., che alla guida di un autocarro aveva perso il controllo del mezzo e precipitò nella scarpata, non configurava una circostanza straordinaria, qualificabile come caso fortuito, di cui, peraltro, le attuali ricorrenti non avevano fornito alcuna prova.

La motivazione è corredata da richiami di giurisprudenza ormai costante e consolidata, che viene citata, dopo che il giudice del merito si è fatto carico di esaminare le foto prodotte a corredo della espletata C.T.U., dalle quali, seppure relative ad una epoca in cui la barriera era installata, emergeva che non potevano esistere in quel luogo gli estremi di pericolo occulto, cd. insidia o trabecchetto, caratterizzata, come è noto, dal duplice e concorrente requisito dalla non visibilità oggettiva e della non prevedibilità soggettiva dei pericolo.

In effetti, dalle foto in atti emergeva che la mancanza della barriera era perfettamente visibile dall’utente della strada ed altrettanto percepibile era la circostanza, secondo la quale una fuoriuscita del veicolo in quel punto avrebbe potuto costituire un pericolo per la incolumità del guidatore.

Vi era, quindi, una situazione concreta che imponeva ad ogni utente della strada di adeguare la sua condotta di guida a tale situazione per evitare la situazione di pericolo, che senza dubbio era presente, ma non era nè occulta nè insidiosa.

Non solo, ma il giudice del merito ha posto in rilievo che l’incidente era avvenuto in un tratto di strada rettilineo prima di una curva, deducendo che questa circostanza in fatto avvalorasse di più l’ipotesi che il sinistro si fosse verificato per grave imprudenza del conducente o, quantomeno, per sua imperizia.

Non si tratta, quindi, come deducono le ricorrenti di una decisione ancorata ad elaborazioni giurisprudenziali che, muovendo da esigenze di limitazione delle ipotesi della responsabilità, finisce per risolversi in un ingiustificato privilegio per la P.A. (con richiamo a Cass. n. 3651/06 – p. 3 ricorso), quanto di una decisione che ricostruisce, in modo aderente allo stato dei luoghi, tutta la dolorosa vicenda in cui perse la vita il M., nei cui confronti, come riporta lo stesso ricorso, furono dai Carabinieri, accorsi sul posto, accertate sei infrazioni ex art. 141 C.d.S., commi 2 e 11, perchè aveva perso il controllo del veicolo nell’affrontare una curva volgente a destra, infrazione non contestata per morte del contravventore (p. 8 ricorso).

In altri termini, la fuoriuscita dell’autocarro dalla sede stradale e la sua caduta nella scarpata con la conseguente morte del M., il cui corpo fu trovato fuori della cabina del veicolo, si sarebbe comunque verificata, indipendentemente dalla esistenza della barriera, attesa la sua condotta.

Dalla decisione impugnata si evince, quindi, che la responsabilità da mera posizione del custode è stata esclusa anche nella sua eventuale natura di causa omissiva mediata, attesa la condotta assolutamente imprudente del M. (v. Cass. n. 15383/06).

Se, come ritiene la dottrina in merito all’art. 2051 c.c., chi subisce il danno è il “soggetto debole” e va ad ogni costo ristorato da qualcuno, a prescindere da come questo qualcuno abbia agito in relazione al verificarsi del danno ed il risarcimento del danno non deve più essere visto come una sanzione inflitta al danneggiaste che ha violato il dovere di non nuocere ai propri simili, ma come un “costo sociale” comportato dal puro fatto che ci si trova in una data relazione con le persone o i beni che sono la fonte immediata del danno del quale si risponde, non si può affermare, in merito al caso di specie, che la esclusione da ogni responsabilità dell’A.N.A.S sia avvenuta per una particolare attenzione al soggetto forte e tenuto ad osservare le regole che doveva osservare per evitare il danno, ma semplicemente perchè la omissione, che pure è stata riscontrata, in sede di merito, nemmeno in via mediata è stata ritenuta essere comunque rilevante nella causazione dell’evento dannoso.

Ne consegue che il ricorso va respinto, ma anche in questa sede la peculiarità del fatto concreta la sussistenza di giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 4 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2011

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