Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28799 del 27/12/2011

Cassazione civile sez. un., 27/12/2011, (ud. 27/09/2011, dep. 27/12/2011), n.28799

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Primo Pres.te f.f. –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10191-2011 proposto da:

P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RUGGERO

FAURO 102, presso lo studio dell’avvocato COSTANTINI ALESSIO, che lo

rappresenta e difende, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 164/2010 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 04/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/09/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito l’Avvocato Alessio COSTANTINI;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. CENICCOLA

Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Il magistrato dr. P.L., con ricorso del 20-21 aprile 2011, ha impugnato per cassazione – deducendo quattro motivi di censura -, nei confronti del Ministro della giustizia e del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, la sentenza della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura n. 164/2010 del 15 ottobre-8 novembre 2010, con la quale la Sezione disciplinare – a seguito del rinvio delle sezioni unite della Corte di cassazione, di cui alla sentenza n. 14695/10 del 18 giugno 2010 -, pronunciando sull’azione disciplinare promossa dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione nei confronti del dr. P., incolpato della violazione di cui al R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18, sulle conclusioni del Procuratore generale – il quale aveva concluso, chiedendo “la condanna alla pena di mesi uno di perdita di anzianità per il capo a) del proc. n. 76/2005, che va cumulata con quella di mesi undici di perdita di anzianità per il capo di incolpazione di cui al proc. n. 21/2005, per una sanzione complessiva di anni uno di perdita di anzianità” – e del difensore dell’incolpato – il quale aveva chiesto l’assoluzione o, in subordine, l’irrogazione della sanzione disciplinare minima di legge -, ha dichiarato il dr. P. responsabile della violazione ascrittagli, infliggendogli la sanzione disciplinare della perdita di anzianità di un anno.

1.1. – Il Ministro della giustizia, benchè ritualmente intimato, non si è costituito nè ha svolto attività difensiva.

1.2. – Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

2. – Con sentenza n. 123/2009, depositata il 14 ottobre 2009, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, dichiarato il dr. P. “responsabile delle incolpazioni ascrittegli con esclusione del punto b) quanto al procedimento n. 76/05”, gli inflisse la sanzione disciplinare della “perdita di anzianità per il periodo di un anno”.

Tali incolpazioni erano così formulate:

1) procedimento disciplinare n. 21 del 2005 R.G.: “illecito di cui al R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18 per aver violato i doveri di diligenza e di operosità: in particolare: benchè già sottoposto in precedenza (nel 1999 e nel 2001) a procedimenti disciplinari per fatti analoghi risalenti al periodo (omesso), nel successivo periodo dall'(omesso) ai (omesso) per ritardi accumulati presso il Tribunale di Crema, ove attualmente presta servizio in qualità di giudice ed ancora, quale giudice del Tribunale di Monza nel periodo dal 15.4.98 (data di inizio della precedente ispezione ordinaria presso il Tribunale di Monza) al 21.7.99 (data di cessazione del suo servizio presso il Tribunale di Monza), ripetutamente seguitava a non rispettare i termini di deposito delle motivazioni di 74 sentenze in materia civile. Ritardati depositi superiori alla soglia di rilevamento ispettivo di 120 giorni (decorrente dalla data dell’udienza di discussione o dalla scadenza del termine per il deposito di memorie di replica) e specificamente consistenti in ritardi: superiori ai 500 giorni in due casi (595 e 560 giorni), compresi tra 400 e 500 giorni in sette casi, compresi tra 300 e 400 giorni in sei casi, compresi tra 200 e 300 giorni in quindici casi, compresi tra 100 e 200 giorni in diciannove casi, inferiori a 100 giorni nei residui casi. Ritardi qualificati da sistematicità (perchè estendentisi per l’intero periodo del servizio prestato dai magistrato presso il Tribunale di Monza), non giustificati da un peculiare carico di lavoro o da speciale complessità dei casi giudiziari trattati (lavoro scandito, per altro, come da parere parziale 31 maggio 2001 del Presidente del Tribunale di Monza, da modesti livelli qualitativi) e sintomatici, quindi, di inadeguata capacità di organizzazione del proprio lavoro”;

2) procedimento disciplinare n. 76 del 2005 R.G.: “violazione del R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18, per aver gravemente mancato ai propri doveri di diligenza, correttezza e riservatezza, rendendosi immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere il magistrato: in particolare il predetto magistrato, già più volte sottoposto a procedimenti disciplinari per sistematici ritardi nel deposito di sentenze, risulta attualmente sottoposto ad indagini preliminari presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Venezia, competente ai sensi dell’art. 11 c.p.p., per i reati di abuso di ufficio (art. 323 c.p.) e rivelazione di segreti d’ufficio (art. 326 c.p.), in relazione alla circostanza di aver deciso in data 23/30.04.2003 una sentenza nella causa civile n. 512/00 R.G. vertente fra A..B., G. P. G. ed altri, sentenza con la quale fra l’altro si affermava la responsabilità per colpa professionale dell’avv. G. che veniva condannato a corrispondere agli attori, anche a titolo di danni esistenziali, la somma di Euro 500.000,00; malgrado la delicatezza della materia da giudicare e la qualità personale delle parti, la detta sentenza: a) risultava per un complesso di 55 pagine sulle 11 che la formavano, costituita dall’integrale riproduzione della comparsa conclusionale della parte attrice (ivi compresi commenti e giudizi della parte) (…)”.

2.1. – Investite dal ricorso del dr. P., supportato con quattro motivi di censura, le sezioni unite della Corte di cassazione, con la su richiamata sentenza n. 14695/10 dei 18 giugno 2010, accolsero il primo motivo di ricorso – con il quale il ricorrente aveva denunciato che nella motivazione della decisione impugnata non era dato rinvenire alcun pur minimo accenno alla incolpazione di cui al predetto punto a) del procedimento n. 76 del 2005 -, rigettò tutti gli altri motivi e cassò la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, rinviando la causa al Consiglio superiore della magistratura.

In particolare, per quanto in questa sede rileva, la Corte ha osservato: a) “Nella sentenza impugnata, (…), come denunziato dal ricorrente, effettivamente non si rinviene alcun cenno, neppure indiretto (salvo l’omnicomprensivo riferimento alla sussistenza di prova documentale delle “circostanze contestate e comunque…rilevanti nella prospettiva delle due incolpazioni”, proprio, peraltro, della sola fase di accertamento dei fatti materiali e non pure della razionale esplicazione della rilevanza disciplinare degli stessi), alla specifica contestazione oggetto del detto punto a) del “proc. n. 76/2005 RG”: il giudice disciplinare, infatti, ha concentrato tutte le sue osservazioni esclusivamente sui “ritardi” contestati nell’altro procedimento disciplinare ma, pur avendo affermato la responsabilità anche per la stessa, non ha addotto nessuna ragione in ordine alla rilevanza disciplinare (e, di necessaria conseguenza, alla sua incidenza ai fini della determinazione sia della specie che della durata della sanzione inflitta) del fatto (quand’anche provato documentalmente) oggetto di quella contestazione. La decisione impugnata, quindi, deve essere cassata per totale mancanza di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità disciplinare anche per l’incolpazione indicata al punto a) del “proc. n. 76/2005 RG””; b) “4. La sentenza impugnata, quindi, deve essere cassata solo per la censura oggetto del primo motivo di ricorso e la causa, siccome bisognevole del relativo giudizio, deve essere rinviata al medesimo organo giudicante che ha emesso la decisione cassata affinchè lo stesso valuti (dando congrua motivazione, anche quanto alla specie e/o alla entità della pena), la rilevanza disciplinare della specifica incolpazione ascritta al punto a) del “proc. n. 76/2005 R.G.” (sentenza da lui depositata il 30 aprile 2003 nella “causa civile n. 512/00 R.G., vertente fra A. B., G. G. P. ed altri”)”.

2.2. – A seguito di tale rinvio, con la su richiamata sentenza n. 164/2010 del 15 ottobre-8 novembre 2010, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha dichiarato il dr. P. responsabile della sanzione ascrittagli, infliggendogli la sanzione disciplinare della perdita di anzianità di un anno.

In particolare, la Sezione disciplinare: a) ha preliminarmente chiarito che l’oggetto del giudizio è costituito soltanto dalla incolpazione di cui alla lett. a) del procedimento disciplinare n. 76 del 2005, perchè “L’addebito contestato nel procedimento n. 21/2005 R.G. è coperto da giudicato quanto all’affermazione della responsabilità dell’incolpato e viene in rilievo esclusivamente per la eventuale rideterminazione della sanzione da irrogare”; b) richiamati alcuni precedenti della stessa Sezione, ha affermato la responsabilità dell’incolpato per l’illecito oggetto del giudizio di rinvio, osservando: “(…) sussiste certamente nel caso in esame l’illecito disciplinare contestato al dott. P.L., in quanto la riproduzione integrale della comparsa di parte non fu limitata a brani meramente descrittivi. Nè ha rilievo la riconosciuta validità processuale della motivazione qui controversa, perchè anche una decisione validamente motivata per relationem può risultare censurabile sul piano disciplinare. Infatti sul piano del diritto processuale è sufficiente che la decisione risulti giustificata in modo che ne sia comprensibile la ratio; sul piano del diritto disciplinare è necessario che la motivazione non sia redatta con modalità tali da ledere l’immagine del magistrato”; c) quanto alla determinazione della sanzione per i due illeciti disciplinari, ha affermato: “(…) può essere ribadita l’applicazione della sanzione già irrogata anche con riferimento all’addebito contestato nel procedimento n. 21/2005 R.G., considerata la gravità degli illeciti accertati. Secondo quanto prevede il D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 5, comma 2, “quando per il concorso di più illeciti disciplinari si debbono irrogare più sanzioni di diversa gravità, si applica la sanzione prevista per l’infrazione più grave”. Il dott. P.L. va dichiarato colpevole dell’illecito disciplinare contestatogli nel procedimento disciplinare n. 76/2005, e gli va applicata, anche per il già giudicato illecito contestatogli nel procedimento n. 21/2005 R.G. la sanzione disciplinare della perdita di un anno di anzianità”.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (con cui deduce: “Contraddittorietà ed insufficienza della motivazione in ordine alla ravvisabilità di responsabilità disciplinare in capo al dr. P.L. – art. 360 c.p.c., n. 5”), il ricorrente critica la sentenza impugnata sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus: a) non hanno sufficientemente motivato l’affermazione “la riproduzione integrale della comparsa di parte non fu limitata a brani meramente descrittivi”, in quanto avrebbero dovuto porre a comparazione la sentenza motivata per relationem e la comparsa conclusionale della parte vittoriosa; b) hanno omesso di considerare che: b1) la riproduzione nella sentenza civile di detta comparsa conclusionale non fu “pedissequa”, essendo invece preceduta ed intercalata da autonome considerazioni che giustificavano tale riproduzione per ampi stralci; b2) la parte vittoriosa in primo grado aveva proposto appello incidentale avverso la sentenza, ciò dimostrando che il magistrato non aveva trasferito nella sentenza, in modo acriticamente favorevole alla stessa parte, il contenuto della comparsa conclusionale; b3) la parte soccombente in primo grado aveva proposto appello eccependo la nullità della sentenza proprio per la letterale trasposizione nella decisione di detta comparsa conclusionale ed il giudice del gravame aveva respinto tale eccezione, affermando che, sia pure mediante il copioso richiamo alle tesi difensive di parte, il tribunale aveva indicato i presupposti di fatto e di diritto in base ai quali aveva fondato la propria pronuncia, dichiarando di fare proprie soltanto alcune delle tesi della stessa parte ed esplicitando le ragioni di dissenso rispetto alle altre tesi difensive.

1.2. – Tale motivo è inammissibile.

La ratio decidendi della sentenza impugnata, nella parte in cui afferma la responsabilità disciplinare dell’odierno ricorrente per l’illecito di cui al su menzionato capo a) del procedimento n. 76 del 2005, sta in ciò, che la condotta illecita contestata sussiste in ragione del fatto che la “riproduzione integrale” nella sentenza della comparsa conclusionale, depositata dalla parte poi risultata vittoriosa, “non fu limitata a brani meramente descrittivi”, e che tale condotta illecita non è esclusa dalla eventuale ritenuta validità in sede di impugnazione (come nella specie), quindi sul piano strettamente processuale, della cosiddetta motivazione per relationem, in quanto – posto che “sul piano del diritto processuale è sufficiente che la decisione risulti giustificata in modo che ne sia comprensibile la ratio (mentre) sul piano del diritto disciplinare è necessario che la motivazione non sia redatta con modalità tali da ledere l’immagine del magistrato” – “anche una decisione validamente motivata per relationem può risultare censurabile sul piano disciplinare”.

Orbene, i vari profili di censura de motivo in esame sono generici, privi di autosufficienza e, a ben vedere, non criticano realmente tale ratio decidendi.

Innanzitutto, non è esatto che i Giudici a quibus hanno omesso di considerare le vicende processuali successive alla sentenza di primo grado redatta dall’incolpato (cioè: l’appello incidentale della parte risultata vittoriosa; l’appello principale della parte soccombente anche in punto nullità della sentenza impugnata per la letterale trasposizione nella decisione di detta comparsa conclusionale; il rigetto di tale motivo d’appello da parte del giudice del gravame): infatti, la Sezione disciplinare – quanto alla fattispecie disciplinare in esame, della motivazione della sentenza meramente riproduttiva delle tesi difensive della parte poi risultata vittoriosa – ha nettamente distinto gli effetti di una motivazione siffatta sul piano processuale (eventuale invalidità della sentenza denunciabile con i mezzi di impugnazione) da quelli rilevanti sul piano disciplinare, osservando “Nè ha rilievo la riconosciuta validità processuale della motivazione qui controversa” e così mostrando chiaramente di aver preso in considerazione le argomentazioni difensive svolte dall’incolpato in sede disciplinare.

Inoltre – quanto alla critica di insufficiente motivazione per non aver posto a comparazione la sentenza motivata per relationem e la comparsa conclusionale della parte vittoriosa -, tale censura, a tacer d’altro, è priva di autosufficienza, in quanto il ricorrente avrebbe dovuto riprodurre testualmente, quantomeno, la comparsa conclusionale e le parti di motivazione ritenute “originali” rispetto a tale comparsa, porle a comparazione ed evidenziare i denunciati vizi di motivazione della sentenza impugnata, al fine di consentire a questa Corte il sindacato sulla sussistenza di tali vizi, senza contare poi che la stessa censura, così come formulata, finisce con il riconoscere che la motivazione “non fu limitata a brani meramente descrittivi”, come motivatamente affermato dalla Sezione disciplinare.

In definitiva, il ricorrente lungi dal censurare la su individuata ratio deciderteli, si è limitato a criticare inammissibilmente le valutazioni motivatamente argomentate al riguardo dalla Sezione disciplinare ed a contestare genericamente la sussistenza dell’affermato carattere della motivazione come meramente “riproduttivo” della comparsa conclusionale di parte.

2. – Con il secondo (con cui deduce: “Omessa o comunque insufficiente motivazione in ordine alla “specie e/o entità della pena “in relazione al punto a del proc. n. 76/2005 R.G., – art. 360 c.p.c., n. 5”), con il terzo (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 5, comma 2 – art. 360 c.p.c., n. 3”) e con il quarto motivo del ricorso (con cui deduce: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 5, comma 2 ed omessa e comunque insufficiente motivazione in ordine alla individuazione della “sanzione immediatamente più grave” prevista dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 5, comma 2, e circa le ragioni per le quali si è ritenuto di applicare la “sanzione immediatamente più grave” in luogo di quella “meno grave””) – i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione – il ricorrente critica la sentenza impugnata, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus: a) hanno omesso di motivare in modo chiaro e sufficiente in ordine alla specie ed alla misura della sanzione inflitta per ciascuno degli illeciti disciplinari, cioè di procedere ad una valutazione della rilevanza disciplinare, quoad poenam, dell’illecito di cui al procedimento n. 21 del 2005, nonchè di stabilire l’entità della sanzione imputabile, rispettivamente, a tale illecito ed a quello del ritardo nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali; b) hanno omesso di precisare quale sarebbe, nella specie, la violazione “più grave”; c) hanno erroneamente applicato alla fattispecie il D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 5, comma 2, sia perchè nella specie non è ipotizzarle alcun “concorso” – nè formale nè materiale – degli illeciti disciplinari contestati, ontologicamente differenti, sia perchè, ai sensi dello stesso D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 32-bis, le disposizioni di tale decreto legislativo si applicano ai procedimenti disciplinari promossi a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, mentre i procedimenti disciplinari in questione sono stati entrambi promossi nel 2005; d) anche a voler ritenere che alla specie sono applicabili, quoad poenam, le nuove disposizioni sanzionatorie perchè più favorevoli all’incolpato, hanno omesso di specificare le ragioni per le quali tale applicazione sarebbe nella specie più favorevole al dr. P..

2.1. – Tutti i motivi sono complessivamente infondati.

Quanto alle censure dianzi riassunte sub c) e sub d), deve immediatamente rilevarsi che la fattispecie disciplinare in esame è regolata esclusivamente dal R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 511, in quanto la condotta oggetto di incolpazione si è esaurita, ed i relativi procedimenti disciplinari sono stati promossi, anteriormente all’entrata in vigore del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 (19 giugno 2006: cfr., ex plurimis, le sentenze di queste sezioni unite nn. 1821 del 2007 e 28871 del 2008), e che – contrariamente a quanto opinato dal ricorrente – il richiamo dello stesso D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 5, comma 2, effettuato dai Giudici a quibus, va inteso non già come applicazione della disposizione richiamata ma come mera esplicazione e giustificazione della ratio decidendi adottata.

Al riguardo, si può innanzitutto ritenere che la Sezione disciplinare si è conformata al compito affidatole dalle sezioni unite di questa Corte con la menzionata sentenza n. 14695 del 2010 (cfr., supra, Svolgimento del processo, n. 2.1.), laddove è detto che: a) “(…) il giudice disciplinare, infatti, ha concentrato tutte le sue osservazioni esclusivamente sui “ritardi” contestati nell’altro procedimento disciplinare ma, pur avendo affermato la responsabilità anche per la stessa (contestazione in esame), non ha addotto nessuna ragione in ordine alla rilevanza disciplinare (e, di necessaria conseguenza, alla sua incidenza ai fini della determinazione sia della specie che della durata della sanzione inflitta) del fatto (quand’anche provato documentalmente) oggetto di quella contestazione”; b) “La sentenza impugnata, quindi, deve essere cassata solo per la censura oggetto del primo motivo di ricorso e fa causa, siccome bisognevole del relativo giudizio, deve essere rinviata al medesimo organo giudicante che ha emesso la decisione cassata affinchè lo stesso valuti (dando congrua motivazione, anche quanto alla specie e/o alla entità della pena), la rilevanza disciplinare della specifica incolpazione ascritta al P. al punto a) del “proc. n. 76/2005 R.G.” (…))”.

La Sezione disciplinare, infatti, ha ritenuto i due illeciti oggetto dei distinti procedimenti disciplinari nn. 21 e 76 del 2005 (ritardi nel deposito di numerosi provvedimenti ed integrale riproduzione in una sentenza della comparsa conclusionale della parte risultata poi vittoriosa), rispetto ai quali doveva rideterminare complessivamente la sanzione – entrambi commessi in violazione del R.D.Lgs. n. 511 del 1946, art. 18, con diverse omissioni ed azioni, in tempi diversi -, di differente gravità; ha inoltre ritenuto più grave l’illecito concernente i ritardi nel deposito dei provvedimenti, laddove – affermando che “(…) può essere ribadita l’applicazione della sanzione già irrogata anche con riferimento all’addebito contestato nel procedimento n. 21/2005 R.G., considerata la gravità degli illeciti accertati” – ha appunto fatto riferimento agli illeciti dei ritardi perseguiti con tale distinto procedimento; ha infine ritenuto la sanzione della perdita dell’anzianità di un anno complessivamente congrua anche in relazione all’altro illecito, meno grave, della integrale riproduzione in una sentenza della comparsa conclusionale della parte risultata poi vittoriosa. E’, dunque, evidente che il richiamo del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 5, comma 2, e delle regole con esso dettate in tema di concorso di illeciti disciplinari per i quali siano previste sanzioni di diversa gravità o la medesima sanzione, vale soltanto a spiegare ed a giustificare l’argomentazione logico-giuridica svolta nella specie per la scelta della sanzione da applicare, la quale era prevista dal combinato disposto dello stesso R.D.Lgs. n. 511 del 1946, art. 19, comma 1, n. 3 e art. 21, comma 4.

Quanto poi alle censure dianzi riassunte sub a) e sub b), deve considerarsi, da un lato, che, nel sistema disciplinare della magistratura di cui al R.D.Lgs, n. 511 del 1946, non erano previsti nè l’istituto penalistico della “continuazione” (cfr., la sentenza n. 7035 del 1988), nè l’istituto del concorso di illeciti (previsto, invece, dal D.Lgs. n. 109 del 2006, menzionato art. 5, comma 2) e, dall’altro, che, secondo il costante orientamento di queste Sezioni Unite, in tema di procedimento disciplinare a carico di magistrati, la valutazione della gravità della infrazione disciplinare commessa dall’incolpato – anche in ordine al riflesso del fatto addebitato sulla stima del magistrato, sul prestigio della funzione esercitata e sulla fiducia nell’istituzione – e la determinazione della sanzione adeguata rientrano tra gli apprezzamenti di merito affidati alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, il cui giudizio è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 10313 del 2006, 7102 e 16625 del 2007, 8615 e 26825 del 2009). E, nella specie – come già dianzi rilevato con la ricostruzione dell’iter logico-giuridico seguito dai Giudici disciplinari -, questi hanno ampiamente e correttamente dato conto della scelta e della determinazione in concreto della sanzione applicata.

3. – Non sussistono i presupposti per provvedere sulle spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 27 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2011

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