Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28799 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 07/11/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 07/11/2019), n.28799

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9342-2018 proposto da:

IMMOBILIARE FINANZIARIA MONTE GRAPPA SRL, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

REGINA MARGHERITA 22, presso lo studio dell’avvocato SERGIO

LEONARDI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

STEFANO CAVIGLIOLI, LUIGI DE FINIS;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del Curatore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati ANDREA

SERAGLIO FORTI, LUCA PERUSI;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRENTO, depositato il 28/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DOLMETTA

ALDO ANGELO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Nel novembre 2016, la s.r.l. Immobiliare Finanziaria Monte Grappa ha presentato domanda di ammissione in prededuzione al passivo fallimentare della s.r.l. (OMISSIS), per crediti da indennità o corrispettivo maturati in relazione a dati immobili dopo la sentenza dichiarativa di fallimento (dal marzo 2007 all’aprile 2009, la sentenza dichiarativa risalendo al febbraio 2007).

Il giudice delegato ha respinto la domanda, rilevando che “l’istante non allega le ragioni del ritardo nella presentazione della domanda”; “del resto la corrispondenza intercorsa con la curatela e la circostanza che l’istante si fosse già insinuato allo stato passivo comprovano che essa era a conoscenza del fallimento”.

2.- Avverso tale provvedimento l’Immobiliare Monte Grappa ha presentato reclamo L. Fall. ex art. 26, avanti al Tribunale di Trento. Il quale – dopo avere osservato che l’atto processuale introduttivo del giudizio, “al di là della sua intestazione, presenta tutti i requisiti di forma e di sostanza dell’opposizione e, nonostante le difformità procedurali, ha raggiunto lo scopo, senza che sia peraltro dato ravvedere la violazione di forme sanzionata dalla legge con la nullità (art. 156 c.p.c.)” e così entrando nel “merito della questione” – ha confermato il provvedimento del giudice delegato.

3.- In proposito, il Tribunale ha riscontrato, anzitutto, essere pacifico che la “domanda di insinuazione è stata proposta decorsi dodici mesi dal decreto di esecutività dello stato passivo del 18 luglio 2008”, come pure essere “agevolmente accertabile che nessuna causa non imputabile giustifica il ritardo dell’odierna opponente, atteso che la medesima già aveva presentato istanza di insinuazione per altro credito nel giugno 2007 e che dunque era a conoscenza del fallimento”.

Ha rilevato, inoltre, che “deve ritenersi ingiustificabile lo stesso lasso di tempo trascorso dal rilascio dell’aprile 2009 sino alla domanda di insinuazione di credito in prededuzione del 2 novembre 2016, trattandosi di un tempo sproporzionato e irragionevole”.

Pure ha aggiunto, per quest’ultimo riguardo, che “non merita seguito alcuno la tesi della opponente secondo cui il ritardo sarebbe giustificato dal fatto che la domanda di insinuazione del credito in prededuzione subiva la pregiudizialità della precedente domanda di insinuazione per occupazione degli stessi immobili nel periodo anteriore al fallimento”: “non si ravvede alcuna pregiudizialità, trattandosi di rapporti giuridici diversi”; “il tempo trascorso dal passaggio in giudicato della supposta decisione pregiudicante è comunque eccessivo”; “in ogni caso, quand’anche vi fosse pregiudizialità… ciò non esime il titolare del diritto di azione a presentare la seconda domanda nei termini di legge, trattandosi semmai di sospendere il giudizio instaurato sulla seconda domanda”.

4.- Avverso questo provvedimento la s.r.l. Immobiliare Monte Grappa ha presentato ricorso, affidandosi a due motivi di cassazione.

Ha resistito, con controricorso, il Fallimento.

Il ricorrente ha anche presentato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5.- I motivi di ricorso denunziano i vizi che qui di seguito vengono richiamati.

Primo motivo: “violazione e falsa applicazione della L. Fall., R.D. n. 267 del 1942, art. 101, commi 1 e u.c., (art. 30 c.p.c., n. 3) – Nullità del provvedimento per motivazione insufficiente e illogica (art. 360 c.p.c., n. 4)”. Con questo motivo, il ricorrente nega in sostanza che alla fattispecie in esame – come caratterizzata dalla presenza di un credito sopravvenuto alla dichiarazione di fallimento – si possano applicare le disposizioni della L. Fall., art. 101, “che invece si riferiscono ai crediti verso il fallito, già esistenti alla data dell’apertura del fallimento”.

Secondo motivo: “violazione e falsa applicazione del R.D. n. 267 del 1942, art. 101, u.c. (art. 30 c.p.c., n. 3) – Nullità del provvedimento per motivazione insufficiente e illogica (art. 360 c.p.c., n. 4)”. In proposito il ricorrente richiama il “principio di diritto della c.d. pregiudizialità tecnica (o necessaria)”, che “sussiste quando una controversia (pregiudiziale) costituisce l’indispensabile antecedente giuridico dal quale dipende la decisione della causa pregiudicata”. La sussistenza nel caso di tale rapporto comporta – “unitamente al fatto che il curatore durante la pendenza del primo contenzioso ha dichiarato alla Monte Grappa che “tra le prededuzioni si inseriranno anche le somme che la procedura intenderà riconoscere alla Monte Grappa per l’utilizzo del deposito di (OMISSIS)”” – comporta, ad avviso del ricorrente, l’insussistenza di un “interesse concreto” della Monte Grappa all’insinuazione di quel credito prima della definizione del giudizio pregiudicante.

6.- Il ricorso non merita di essere accolto.

Per avviare l’esposizione della motivazione della soluzione così accolta, è opportuno sottolineare che la decisione del Tribunale di Trento si fonda su due distinte e autonome rationes decidendi: l’applicazione al credito in questione, che è sopravvenuto al fallimento (e cioè credito che, per una ragione o per altra, viene a maturare le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare dopo la sentenza dichiarativa di fallimentare), della norma della L. Fall., art. 101, scritta per le insinuazioni tardive (di crediti preesistenti alla dichiarazione), da un lato; dall’altro, la “sproporzione” e “irragionevolezza” del tempo in concreto trascorso tra il decreto di esecutività dello stato passivo (luglio 2008) e la presentazione della domanda di insinuazione (novembre 2016).

Ora, se il ricorrente censura efficacemente la prima delle dette rationes (con il primo motivo di ricorso), non altrettanto può ritenersi per la seconda.

7.- In più occasioni, la giurisprudenza di questa Corte si è espressa nel senso di escludere l’applicazione del “termine decadenziale” di dodici (o sino a diciotto) mesi dal deposito di esecutività dello stato passivo, di cui alla L. Fall., art. 101, commi 1 e 4, nei confronti dei crediti sopravvenuti.

In questa prospettiva va segnalata, prima di tutto, la pronuncia di Cass., 31 luglio 2015, n. 16218, relativa a una fattispecie concreta del tutto prossima a quella qui in analisi (credito al rimborso dell’acconto sul prezzo di un acquisto immobiliare versato a seguito di preliminare poi sciolto dal curatore). A questa decisione hanno poi fatto seguito quella di Cass., 31 luglio 2018, n. 20310 (credito in prededuzione per canoni e per indennizzi per occupazione maturati tra la sentenza dichiarativa e la riconsegna dell’immobile), nonchè quella di Cass., 18 gennaio 2019, n. 1391 (credito da inadempimento di un contratto di fornitura stipulato nell’ambito di una procedura di amministrazione straordinaria). Nonchè, ancor più di recente, la sentenza di Cass., 20 giugno 2019, n. 18544 (relativa a un credito legato allo scioglimento di un contratto immobiliare di trasferimento stabilito dal curatore L. Fall. ex art. 72).

8.- Tutto questo non implica, però, che la possibilità di insinuazione del creditore sopravvenuto non incontri limiti temporali di sorta (se non quello indiretto rappresentato dalla sopravvenuta chiusura della procedura fallimentare).

Secondo quanto rilevato dalla già citata pronuncia di Cass., n. 18544/2019, infatti, la posizione di questi crediti va letta incoerenza e armonia con l’intero sistema di insinuazione che è attualmente in essere e sulla scorta dei principi costituzionali di guida della materia: quali, appunto, il principio di parità di trattamento di cui all’art. 3 Cost. e il diritto di azione in giudizio di cui all’art. 24 Cost.

Alla luce di questi principi, lo spazio dell’anno – che è fissato come regola per le domande tardive dalla L. Fall., art. 101 – si mostra come la misura temporale espressiva dell’attuale sistema in materia. Con la conseguenza che le domande dei crediti sopravvenuti debbono essere presentate nel termine di un anno dal momento in cui si verificano le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare.

9.- Ciò posto, è ancora da aggiungere che non può comunque essere ragione idonea per spostare in là nel tempo il dies a quo della detta decorrenza annuale la circostanza messa in evidenza dal ricorrente con il secondo motivo.

Facendo ricorso al criterio della ragione più liquida, è invero da segnalare, in proposito, che la (ipotetica) presenza di una situazione di pregiudizialità c.d. tecnica non giustifica l’inerzia dell’interessato sino alla compiuta definizione della questione pregiudicante. Secondo l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, invero, la presenza di una simile situazione dà piuttosto luogo (come correttamente rilevato già dal provvedimento impugnato) a un caso di sospensione del giudizio instaurato con la seconda domanda (Cass., 16 marzo 2016, n. 5219; Cass., 15 maggio 2019, n. 12999).

10. Le spese seguono il regime della soccombenza e sì liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 5.100,00 (oltre a Euro 100,00 per esborsi), oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019

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