Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28798 del 09/11/2018

Cassazione civile sez. I, 09/11/2018, (ud. 20/09/2018, dep. 09/11/2018), n.28798

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7605/2014 proposto da:

O.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Francesco Denza

n.15, presso lo studio dell’avvocato Pagnotta Nicola, rappresentato

e difeso dall’avvocato Carratelli Benedetto, giusta procura a

margine del ricorsa;

– ricorrente –

contro

Comune di Rossano (CS), in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via F. S. Nitti n.72, presso lo

studio dell’avvocato Rossi Valentina, rappresentato e difeso

dall’avvocato Sacchi Francesco, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 142/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

pubblicata il 28/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/09/2018 dal cons. IOFRIDA GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza n. 142/2014, pronunciata in un giudizio promosso da O.M. nei confronti del Comune di Rossano per sentire condannare il convenuto al risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima riduzione, in un provvedimento di concessione edilizia, rilasciato nel 1989 in relazione ad un terreno di sua proprietà, della maggiore volumetria consentita per costruzioni, – ha, in riforma della decisione di primo grado, respinto le domande attoree.

Il Tribunale di Rossano, ritenuta la propria giurisdizione in relazione ad azione risarcitoria per la lesione di interessi legittimi pretensivi, aveva accolto la domanda risarcitoria, ritenendo arbitraria ed ingiustificata l’esclusione a fini volumetrici della superficie della particella “(OMISSIS)”” asseritamente demaniale, essendo vincolata a sede stradale, in difetto di un formale decreto di esproprio.

La Corte d’appello ha, invece, escluso la sussistenza di colpa della RA. nel diniego di concessione edilizia all’ O. per l’intera volumetria richiesta, con riguardo specifico alla particella “(OMISSIS)”, rilevando che, alla data di emanazione del provvedimento comunale, asseritamente lesivo degli interessi dell’ O., nell’agosto 1989, vi era una sentenza, del dicembre 1987, del Tribunale di Rossano (in un giudizio promosso dal Comune di Rossano nei confronti dell’ O. e del suo dante causa, S.C.), che aveva accertato, in via incidentale, l’acquisto da parte del Comune, per accessione invertita, stante la realizzazione del prolungamento di una strada, della proprietà dell’area in questione e l’inadempimento dello S. (il quale aveva alienato il terreno, nel 1983, all’ O.) agli obblighi derivanti dalla licenza edilizia n. 203/1977, che ne imponevano la destinazione a strada e la cessione al Comune, nonchè un’altra sentenza, del 1985, del Tribunale Superiore delle Acque pubbliche, che aveva accertato, del pari, la natura demaniale del terreno in oggetto; in presenza di tali pronunce (la prima delle quali era stata riformata in appello soltanto sei anni dopo) e stante la pendenza di contenziosi tra le parti, neppure risultando evidente il fatto che il terreno venduto all’ O. fosse libero dal vincolo, perchè le opere di urbanizzazione di cui all’atto di sottomissione erano state già realizzate, il Sindaco del Comune non era in colpa per avere rilasciato la concessione edilizia, nel 1989, per una volumetria minore di quella richiesta. Inoltre, ad avviso della Corte d’appello, nel 1989, la particella in oggetto era occupata per l’esecuzione di avori relativi ad opere pubbliche, che, ultimati nel marzo 1988, avevano comportato, in assenza di decreto di esproprio, l’irreversibile trasformazione del suolo per quasi tutta la superficie “(OMISSIS)”. Non decisivi, poi, ai fini dell’accertamento della colpa dell’amministrazione nel diniego di concessione per le maggiori volumetrie richieste, erano la Relazione dell’Ufficio Tecnico ed il parere della Commissione edilizia, favorevoli alla concessione edilizia senza riduzioni di volumetrie, trattandosi in ogni caso di atti non vincolanti.

Avverso la suddetta sentenza, O.M. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti del comune di Rossano (che resiste con controricorso). Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, sia la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, dell’art. 112 c.p.c., in relazione al principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, sia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2909 c.c., artt. 324 e 342 c.p.c., avendo la Corte d’appello, a fronte di un gravame del Comune basato esclusivamente sull’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario (al cui solo fine era stata dedotta l’esclusione di profili colpa in capo all’Ente pubblico) e sulla contestazione del quantum dei danno liquidato in primo grado, rimesso in discussione il fondamento, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, della pretesa risarcitoria avanzata in primo grado, con ultrapetizione e violazione dei giudicato interno; infine, con il secondo motivo, si lamenta sia la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, dell’art. 112 c.p.c., in relazione al principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, sia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 2043 e 832 c.c., sia l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in ordine alla ritenuta insussistenza di colpa dell’amministrazione comunale nel rilascio della concessione edilizia, con diniego dell’intera volumetria richiesta.

2. Le censure, implicanti plurime doglianze, da esaminare congiuntamente, sono infondate.

Va premesso che il principio secondo cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.) od a quello del “tantum devolutum quantum appellatum”, trattandosi in tal caso della denuncia di un “error in procedendo” che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e deduzioni delle parti (Cass.21856/2004; Cass. 17109/2009; Cass. 21421/2014).

Ora, il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall’art. 112 cod. proc. civ. – che implica il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda – deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (petitum e causa petendi), attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell’ambito dei “petitum”, rilevi d’ufficio un’eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall’attore, può essere sollevata soltanto dall’interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo (“causa petendi”) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda (Cass. 919/1999; Cass. 6945/2007). Tale violazione, invece, non ricorre quando il giudice non interferisca nel potere dispositivo delle parti e non alteri nessuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione.

Nella specie, la Corte d’appello ha ritenuto che l’atto di appello del Comune investisse sia la questione della giurisdizione sia la richiesta di riforma della sentenza di primo grado, nel merito, nella sua interezza, con riguardo all’an ed al quantum della pretesa risarcitoria. All’esito dell’esame degli atti, deve concludersi che la Corte d’appello non è incorsa in vizio di ultrapetizione nell’esaminare la ricorrenza anche del profilo soggettivo della colpa della pubblica amministrazione. Invero, nell’atto di appello, il Comune chiedeva l’integrale riforma della decisione impugnata, rilevando che, salva la questione della c.d. pregiudiziale amministrativa (vale a dire la necessità del previo annullamento dell’atto amministrativo ad opera del giudice competente), al giudice ordinario, adito per il risarcimento del danno derivato dalla lesione di interessi legittimi “pretensivi”, era demandata una complessa indagine, che includeva anche la necessaria verifica dell’imputabilità dell’evento dannoso a dolo o colpa della P.A.; l’appellante ribadiva che, nella specie, doveva essere escluso ogni profilo di colpa del Sindaco.

Quanto poi alle violazioni di diritto sostanziale, va rammentato che, all’esito della pronuncia delle S.U. di questa Corte n. 500/1999, con la quale si è riconosciuto che la lesione di un interesse legittimo, ai pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse giuridicamente rilevante, può essere fonte di responsabilità aquiliana, e, quindi, dar luogo a risarcimento del danno ingiusto, a condizione che risulti danneggiato, per effetto dell’attività illegittima della P.A., l’interesse al bene della vita al quale il primo si correla, e che detto interesse risulti meritevole di tutela alla stregua del diritto positivo, questa Corte (Cass. 6199/2004), ha chiarito che “in caso di domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti della P.a. al fine di stabilire se la fattispecie concreta integra un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ. il giudice deve procedere, in ordine successivo, a svolgere le seguenti indagini: a) accertare la sussistenza di un evento dannoso; b) stabilire se l’accertato danno sia qualificabile come danno ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento, tale essendo l’interesse indifferentemente tutelato nelle forme del diritto soggettivo (assoluto o relativo), dell’interesse legittimo (funzionale alla protezione di un determinato bene della vita, la cui lesione rileva ai fini in esame) o dell’interesse di altro tipo, pur se non immediato oggetto di tutela in quanto dall’ordinamento preso in considerazione a fini diversi da quelli risarcitori (e quindi comunque non qualificabile come interesse di mero fatto); c) accertare sotto il profilo causale, facendo applicazione dei noti criteri generali, se l’evento dannoso sia riferibile ad una condotta (positiva od omissiva) della P.a.; d) stabilire se l’evento dannoso sia imputabile a dolo o colpa della P.a., non trovando al riguardo applicazione il principio secondo cui la colpa della struttura pubblica dovrebbe considerarsi sussistente in re ipsa in caso di esecuzione volontaria di atto amministrativo illegittimo” (conf. Cass. 6005/2007; Cass. 12282/2009; Cass. 4326/2010; Cass. 22508/2011; Cass. 5ì4172/2012; Cass. 27800/2017; Cass. 16196/2018).

La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi di diritto.

Nel giudizio instaurato nei confronti della P.A. per l’accertamento della responsabilità per lesione degli interessi legittimi pretensivi, infatti, occorre procedere all’autonoma verifica della ricorrenza degli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria azionata e, segnatamente, all’accertamento, in concreto ed “ex ante”, della colpa della P.A.. Nella specie, nella sentenza impugnata, si è negato il diritto al risarcimento del danno in capo al Comune, per il diniego di maggiore volumetria nella concessione edilizia, avendo i giudici di merito escluso, con motivazione non illogica e plausibile, l’illiceità dei diniego amministrativo.

I vizi motivazionali, formulati in relazione a tutti i motivi, sono inammissibili, alla luce della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per mancata individuazione degli specifici fatti storici decisivi, oggetto di discussione tra le parti, non esaminati dalla Corte d’appello.

3. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate, ire favore del Comune controricorrente, in complessivi Euro 8.000,00, a titolo di compensi, oltre 200,00 per esborsi, rimborso forfetario spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018

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