Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28792 del 16/12/2020

Cassazione civile sez. VI, 16/12/2020, (ud. 17/11/2020, dep. 16/12/2020), n.28792

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1802-2019 proposto da:

DE FRANCESCHI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato MAGNABOSCO GIANFRANCO;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1386/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 23/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE

EDUARDO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ordinanza ex art. 702-ter c.p.c. del 20 luglio/16 settembre 2016, il Tribunale di Verona accolse la domanda L. fall. ex art. 67, comma 2, della curatela del (OMISSIS) s.r.l. avente ad oggetto i pagamenti effettuati il 19 dicembre 2011 dalla medesima società in bonis in favore della De Franceschi s.r.l. e condannò quest’ultima al pagamento, in favore della prima, di Euro 9.475,35, oltre interessi dal 30 giugno 2015.

1.1. Il gravame promosso dalla De Franceschi s.r.l. contro la suddetta ordinanza è stato respinto dalla Corte di appello di Venezia, con sentenza del 23 maggio 2018.

1.2. Per quanto qui ancora di interesse, la corte lagunare ha pienamente condiviso “… le lineari motivazioni del tribunale, alla luce di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, a sostegno della tesi della piena conoscenza da parte della creditrice De Franceschi – la quale aveva iscritto ipoteca per il recupero di un modesto credito su beni già gravati da precedente ipoteca giudiziale e da un pignoramento immobiliare, essendo risultato vano il ricorso a procedure esecutive (avendo ottenuto un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, sulla base dell’allegazione del “pericolo di grave pregiudizio nel ritardo”, in presenta di credito rimasto insoluto benchè mai contestato) – dell’eclatante stato di decozione della debitrice (ormai da molto tempo non in grado di far fronte anche ad un modesto debito) al momento del pagamento, “forzatamente” avvenuto nelle circostanze sopra descritte, pochi mesi prima della sentenza di falliment o…”.

2. Avverso questa sentenza la De Franceschi s.r.l. ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis c.p.c.. La curatela fallimentare è rimasta solo intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Illegittimità della sentenza impugnata nel punto in cui dichiara infondato il secondo motivo di appello. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – Omesso esame circa la validità di prova degli elementi presuntivi presentati dal (OMISSIS) s.r.l. quali elementi di conoscibilità dello stato di insolvenza da parte di De Franceschi s.r.l.”. Si ascrive alla corte distrettuale di aver omesso l’esame sui singoli elementi utilizzati quali prove della conoscenza in capo alla odierna ricorrente dello stato di decozione di (OMISSIS) s.r.l. e, conseguentemente, di aver errato nel ritenere sussistente detto requisito;

II) “Illegittimità della sentenza impugnata nel punto in cui dichiara infondato il secondo motivo di appello. Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – Violazione e/o falsa applicazione delle norme di cui alla L. fall. art. 67, comma 2, e violazione /o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod., civ.”. Si critica la sentenza impugnata per aver ritenuto sufficienti gli elementi indiziari presentati dalla curatela a sostegno della presunta conoscenza dello stato di insolvenza della poi fallita (OMISSIS) s.r.l. da parte della De Franceschi s.r.l..

2. Le descritte censure, scrutinabili congiuntamente perchè chiaramente connesse, sono complessivamente inammissibili.

2.1. Giova premettere, con riguardo al primo motivo, che, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 23 maggio 2018), oggetto del vizio di cui alla citata norma è oggi esclusivamente l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

2.1.1. Costituisce, poi, un “fatto”, agli effetti della menzionata norma, non una “questione” o un “punto”, ma: i) un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017); it) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass., SU, n. 5745 del 2015); un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014); iv) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014).

2.1.2. Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tra gli altri: i) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n.

21152 del 2015); gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014); iz5) una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” Cass. n. 21439 del 2015).

2.1.3. Il “fatto” il cui esame sia stato omesso deve, inoltre: i) avere carattere “decisivo”, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia; essere stato “oggetto di discussione tra le parti”: deve trattarsi, quindi, necessariamente di un fatto “controverso”, contestato, non dato per pacifico tra le parti.

2.1.4. E’ utile rammentare, poi, che Cass., SU, n. 8053 del 2014, ha chiarito che “la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti”.

2.2. E’ parimenti opportuno ricordare, in relazione al secondo motivo, che questa Corte ha, ancora recentemente Cass. n. 4343 del 2020; Cass. n. 27457 del 2019; Cass. n. 27686 del 2018), chiarito che: a) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto (intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente perchè, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro, ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua, pur corretta, interpretazione. Cfr. Cass. n. 8782 del 2005); b) non integra invece violazione, nè falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretativo ed applicativo della norma di legge; c) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass. n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); d) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015)

2.3. Le censure in esame si risolvono, invece, affatto inammissibilmente (cfr. Cass., SU, n. 34476 del 2019), in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui la ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge, una diversa valutazione, totalmente obliterando, però, da un lato, il descritto, limitato perimetro sancito per il vizio motivazionale dalla novellata formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; dall’altro, che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), ma deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. Cass. n. 16700 del 2020).

2.4. Va sottolineato, infine, che, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr., ex abis, Cass. n. 27457 del 2019, in motivazione; Cass. n. 8976 del 2019, in motivazione; Cass. n. 526 del 2016, Cass. n. 10209 del 2009) in materia di revocatoria fallimentare, se la conoscenza, da parte del terzo contraente, dello stato d’insolvenza dell’imprenditore deve essere effettiva e non meramente potenziale, assumendo rilievo la concreta situazione psicologica della parte nel momento dell’atto impugnato e non pure la semplice conoscibilità oggettiva ed astratta delle condizioni economiche della controparte, tuttavia, poichè la legge non pone limiti in ordine ai mezzi cui può essere affidato l’assolvimento dell’onere della prova da parte del curatore, gli elementi nei quali si traduce la conoscibilità possono essere anche indiziari, da cui legittimamente desumere la scientia decoctionis. In altri termini, l’onere di chi agisce in revocatoria fallimentare di dimostrare la scientia decoctionis investe la conoscenza concreta, non già la mera conoscibilità dello stato di insolvenza, ma è ammissibile che detta conoscenza concreta venga desunta da elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, e che, in quanto tali, possano giustificare un giudizio di fondatezza della domanda (cfr. ex multis, Cass. n. 10886 del 1996; Cass. n. 7064 del 1999; Cass. n. 656 del 2000; Cass. n. 3336 del 2015; Cass. n. 25635 del 2017; Cass. n. 27457 del 2019).

2.5. Nella specie, la corte distrettuale – con una motivazione che non integra affatto violazione dei principi dettati in tema di onere della prova e di prova presuntiva, oltre che scevra da vizi logici, siccome basata sulla puntuale e dettagliata descrizione e ponderazione di indici concreti – è giunta alla conclusione che il quadro indiziario desumibile dalla documentazione prodotta in atti fosse idoneo a far ritenere raggiunta la prova della sussistenza del predetto requisito soggettivo in capo alla odierna ricorrente; nè potrebbe sostenersi, fondatamente, che l’argomentare del giudice d’appello abbia trascurato alcuni dati dedotti da quest’ultima per la semplice ragione di averli ritenuti, esplicitamente o implicitamente, irrilevanti.

2.5.1. In particolare, come si è già anticipato nel precedente p. 1.2. dei “Fatti di causa”, quella corte ha ritenuto di desumere la sussistenza della scientia decoctionis in capo alla De Franceschi s.r.l. dai medesimi elementi presuntivi già valorizzati dal giudice di prime cure e compiutamente descritti (cfr. amplius, pag. 7 della sentenza impugnata, da leggersi, peraltro, tenendo ben presente anche quanto la medesima corte aveva già riferito circa il complessivo iter che aveva condotto ai pagamenti oggetto della successiva domanda L. fall., ex art. 67, comma 2, della curatela).

2.5.2. E’ noto che la scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione ed il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l’esistenza del fatto ignoto costituiscono un apprezzamento di fatto che, se, come nella specie, adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimità (cfr. Cass. n. 3336 del 2015; Cass. n. 27457 del 2019), ed altrettanto dicasi quanto all’apprezzamento del giudice di merito circa il ricorso a tale mezzo di prova ed alla valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di produzione (cfr. Cass. n. 3845 del 2018, in motivazione): invero, l’unico sindacato in proposito riservato al giudice di legittimità investe la coerenza della relativa motivazione (cfr. Cass. n. 2431 del 2004).

2.5.3. Si aggiunga, poi, che, come puntualizzato da Cass. n. 3845 del 2018 (cfr. in motivazione), al fine di controllare la validità del ragionamento presuntivo, da un lato, non è necessario che tutti gli elementi noti siano convergenti verso un unico risultato, in quanto il giudice deve svolgere una valutazione globale degli indizi, alla luce del complessivo contesto sostanziale e processuale (cfr. Cass. n. 26022 del 2011); dall’altro, in tale tipo di prova, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità: occorre, al riguardo, che il rapporto di dipendenza logica tra il fatto noto e quello ignoto sia accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza (cfr. Cass. n. 3845 del 2018; Cass. n. 22656 del 2011).

2.6. Posto, dunque, che l’accertamento di fatto circa la sussistenza, o meno, del requisito della scientia decoctionis compete al giudice del merito, cui spetta, peraltro, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (r., in motivazione, Cass. n. 8976 del 2019 e Cass. n. 27457 del 2019), gli odierni assunti della ricorrente, riportati in entrambi i formulati motivi, si risolvono, essenzialmente, nel tentativo, da parte sua, di opporre alla ricostruzione dei fatti definitivamente sancita nella decisione impugnata una propria alternativa loro interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 ed, in motivazione, Cass. n. 8976 del 2019. In senso sostanzialmente conforme, si veda anche Cass., SU, n. 34476 del 2019).

2.7. Per mera completezza, infine, va evidenziato che i fatti e/o elementi di cui oggi la ricorrente lamenta l’errata “valutazione” o l’omesso esame, lungi dall’essere, di per sè,” decisivi”, al più potrebbero rappresentare elementi indiziari da porre a fondamento di un ragionamento presuntivo volto a giungere a conclusioni magari diverse da quelle esposte dalla corte veneziana, così procedendosi, però, a valutazioni che, impingendo nel merito, sono inammissibili nel giudi7io di legittimità.

3. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudi7io di legittimità, essendo la curatela rimasta solo intimata, altresì dandosi atto – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “speterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2020

 

 

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