Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2879 del 09/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 09/02/2010, (ud. 16/12/2009, dep. 09/02/2010), n.2879

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– ricorrente –

contro

B.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 16/2006 della Commissione Tributaria Regionale

di VENEZIA del 5.5.06, depositata il 09/05/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/12/2 009 dal Consigliere Relatore Dott. DI IASI Camilla;

E’ presente il P.G. in persona del Dott. SORRENTINO Federico.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per Cassazione nei confronti di B.F. (che non risulta costituito) e avverso la sentenza con la quale la C.T.R. Veneto, in controversia concernente impugnazione di silenzio rifiuto su istanze di rimborso Irap, rigettava l’appello dell’Agenzia delle Entrate affermando che il contribuente non era assoggettabile all’Irap in quanto svolgeva la sua attivita’ utilizzando beni strumentali di non rilevante valore e senza avvalersi di dipendenti.

Il primo motivo di ricorso, col quale l’Agenzia deduce che il contribuente, quale agente di commercio, doveva essere considerato imprenditore ai sensi dell’art. 2195 c.c. e che il requisito dell’autonoma organizzazione deve ritenersi intrinseco alla natura stessa dell’attivita’ imprenditoriale, risulta manifestamente infondato alla luce della recente giurisprudenza delle SSUU di questa Corte, le quali, componendo un contrasto emerso sulla questione de qua nell’ambito della giurisprudenza della sezione tributaria della Corte, hanno affermato che, a norma del combinato disposto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, primo periodo e art. 3, comma 1, lett. c), l’esercizio dell’attivita’ di agente di commercio di cui alla L. 9 maggio 1985, n. 204, art. 1, e’ escluso dall’applicazione dell’Irap soltanto qualora si tratti di attivita’ non autonomamente organizzata, ulteriormente specificando che il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed e’ insindacabile in sede di legittimita’ se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilita’ ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attivita’ in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui, e che costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni (v. SSUU n. 12108 del 2009).

Il secondo motivo, col quale, deducendo violazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 2, 3, 4 e 8, l’Agenzia rileva che i giudici della C.T.R. avevano violato le predette disposizioni per aver ritenuto che il contribuente non fosse assoggettabile ad Irap, pur risultando che egli si era avvalso in modo non occasionale del lavoro di terzi, risulta inammissibile sotto diversi profili.

Giova infatti innanzitutto rilevare che dalla sentenza non emerge che il contribuente si avvalesse del lavoro di terzi (dipendenti o meno), specificandosi ivi soltanto che l’attivita’ si svolgeva senza dipendenti, onde, attesi gli elementi in fatto considerati dai giudici d’appello, non e’ configurabile la violazione di legge ipotizzata nella censura in esame; la mancata considerazione ai fini del decidere della circostanza (in ipotesi emergente dagli atti di causa) che il contribuente si avvaleva in modo non occasionale del lavoro di terzi avrebbe potuto essere stigmatizzata in questa sede solo censurando la sentenza impugnata per vizio di motivazione, ma (a differenza di quanto accaduto nella specie) la ricorrente avrebbe dovuto riportare in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, il testo dell’atto o del documento dal quale la suddetta circostanza emergeva, ai sensi dell’art. 366 c.p.c. avrebbe dovuto espressamente indicare a pena di inammissibilita’ tale documento, posto che su di esso e’ fondato il motivo in esame ed, infine, avrebbe dovuto depositare unitamente al ricorso tale atto, come previsto a pena di inammissibilita’ dall’art. 369 c.p.c., n. 4.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato. In assenza di attivita’ difensiva, nessuna decisione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio di legittimita’.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2010

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