Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28787 del 09/11/2018

Cassazione civile sez. II, 09/11/2018, (ud. 18/07/2018, dep. 09/11/2018), n.28787

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1893-2014 proposto da:

Z.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SISTINA n.

42, presso lo studio dell’avvocato PIERGIORGIO SPOSATO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VINCENZO SALVO;

– ricorrente –

contro

N.S., B.V., C.F., V.P.

e COMUNE DI PARTANNA;

– intimati –

avverso la sentenza n.1504/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 08/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/07/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

viste le conclusioni del P.G. dott. TRONCONE FULVIO, che ha concluso

per l’improcedibilità del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 3.10.2003 Z.M. conveniva in giudizio innanzi il Tribunale di Marsala N.S., B.V., V.P. e C.F. per sentir dichiarare la nullità o l’annullamento della Delib. 30 luglio 2003, con la quale era stato revocato quanto in precedenza deciso dall’assemblea condominiale nella sessione del 14.4.2003. L’attore esponeva di essere proprietario di parte di un edificio sito in (OMISSIS); che detto stabile, un tempo di proprietà di suo nonno, era stato poi diviso con atto del 19.4.1949 tra i tre figli Z.N., Z.R. e Z.G.; che in detto atto di divisione i tre fratelli avevano stabilito di non lasciare alcuna parte dell’edificio in comune tra loro; che di conseguenza ciascuno di loro si era comportato, per oltre 50 anni, come proprietario esclusivo della propria porzione, senza che mai vi fosse stata alcuna riunione condominiale, alcuna tabella millesimale, alcuna spesa ripartita, onde non era mai esistito, di fatto, alcun condominio; che nel 2000 B.V. aveva acquistato parte del primo piano ed aveva tentato, insieme al marito N., di ripartire tra tutti i proprietari di immobili compresi nell’edificio la spesa da loro effettuata nel 2008-2009 per ristrutturare la porzione predetta e per la realizzazione di un secondo piano; che vi era stata una prima assemblea condominiale del 14.4.2003, in occasione della quale si era deciso il riparto della spesa di Euro 32.247 ed era stato nominato amministratore del condominio il N.; che a tale riunione aveva preso parte anche il Comune di Partanna; che detta prima delibera era stata impugnata dall’odierno ricorrente; che con la Delib. 30 luglio 2003, oggetto della presente impugnazione, quella prima decisione era stata revocata. Su tali premesse, l’attore deduceva di avere comunque interesse ad ottenere la declaratoria di nullità della Delib. 30 luglio 2003 per asserita inesistenza del condominio.

Con sentenza n. 99/2008 il Tribunale respingeva la domanda per carenza di interesse ad agire dell’attore.

Interponeva appello Z.M. e la Corte di Appello di Palermo, con la sentenza oggi impugnata n. 1504/2013 confermava la decisione di prime cure condannando l’appellante alle spese del grado.

La Corte territoriale riteneva, in particolare, che il Tribunale avesse correttamente ravvisato la carenza di interesse ad agire dell’attore, posto che con la Delib. impugnata era stata revocata e posta nel nulla la precedente del 14.4.2003, con la quale erano stati deliberati lavori di manutenzione straordinaria ed era stato approvato il relativo riparto di spesa; che la doglianza relativa al difetto di legittimazione ad causam del Comune di Partanna fosse infondata in quanto esso risultava proprietario di un vano al piano terreno dell’edificio; che la circostanza che il N. fosse sposato in comunione legale dei beni con la moglie B.V. non fosse sufficiente ad escludere la qualità di condomino in capo al primo; che comunque la B. fosse autonomamente proprietaria di altre unità immobiliari nello stesso edificio; che con l’impugnazione della Delib. 30 luglio 2003 lo Z. non avesse proposto questioni inerenti la sussistenza del condominio e -quindi- del diritto dei partecipanti a riunirsi in assemblea per discutere ed approvare mozioni nel comune interesse, ma soltanto vizi inerenti la regolarità formale della convocazione e costituzione della sessione assembleare, nonchè delle deliberazioni in essa assunte; di talchè l’appellante non poteva vantare, in relazione alla domanda in concreto svolta, alcun interesse alla decisione nel merito della causa.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione Z.G., in qualità di amministratore di sostegno di Z.M., affidandosi ad otto motivi. Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva in questo grado di giudizio. Il P.G. ha concluso per l’improcedibilità del ricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente esclusa l’improcedibilità del ricorso. A seguito della memoria depositata dal ricorrente e delle indagini disposte da questa Corte prima dell’udienza, infatti, è stato accertato che la dizione contenuta nella prima pagina del ricorso, secondo la quale la sentenza della Corte di Appello di Palermo sarebbe stata “notificata il 17 ottobre 2013” contiene un errore materiale. In quella data infatti la decisione è stata piuttosto comunicata alle parti, a cura della cancelleria della Corte territoriale, mediante messaggio di posta elettronica certificata, come risulta dalle attestazioni telematiche allegate in copia alla memoria di parte ricorrente, la cui autenticità è stata direttamente riscontrata dal collegio mediante il confronto con la documentazione inviata in copia, su specifica richiesta, dalla cancelleria del giudice a quo alla cancelleria di questa sezione. Di conseguenza, il ricorso è procedibile e vanno disattese le conclusioni rese dal P.G.

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., artt. 1418,1421 e 1423 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Ad avviso del ricorrente, la Corte di Appello avrebbe dovuto ravvisare la sussistenza dell’interesse del ricorrente ad impugnare la Delib. 30 luglio 2003, ancorchè avente ad oggetto esclusivamente la revoca della precedente del 14.4.2003, in quanto si trattava di atti – entrambi – affetti da radicale nullità. Posto che non potrebbe configurarsi la revoca di un atto nullo, il ricorrente aveva interesse ad ottenere una pronuncia che accertasse l’inesistenza giuridica del condominio, e quindi tanto della prima che della seconda Delib. (cfr. pag. 6 ricorso).

La doglianza è infondata.

Va premesso innanzitutto che, come questa Corte ha affermato in materia di società a responsabilità limitata, “… l’assemblea, nella sua autonomia, può revocare una Delib…. e, così rimossa la prima, può adottarne una nuova, non coincidente con l’altra. In tale ipotesi, non si pone la questione della rinnovazione sanante con effetti retroattivi ai sensi dell’art. 2377 c.c., giacchè, ove la società revochi la Delib. impugnata… e ne adotti un’altra non coincidente… alla prima delibera non è più ricollegabile alcun effetto e gli effetti della seconda decorrono soltanto da quando essa è stata assunta” (Cass. Sez. 1, Sentenza n.22762 del 12/12/2012, Rv.624392). Ne deriva che non è corretto affermare che non sia possibile la revoca di una Delib. nulla, in quanto sino alla pronuncia che accerta la sussistenza della causa di nullità l’atto rimane efficace e l’organo assembleare conserva il potere di rimuoverlo, anche per rendere superflua l’eventuale azione giudiziaria proposta dagli aventi diritto per ottenere l’accertamento della nullità, com’è accaduto nel caso di specie. Inoltre, va ribadito che “L’interesse ad agire richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice poichè il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per l’attore senza che siano ammissibili questioni di interpretazioni di norme, se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto ed alla prospettazione del risultato utile e concreto che la parte in tal modo intende perseguire” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28405 del 28/11/2008; Rv. 605612; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 15355 del 28/06/2010, Rv. 613874; Cass. Sez.6-L, Ordinanza n. 2051 del 27/01/2011, Rv. 616029; Cass. Sez. L, Sentenza n. 6749 del 04/05/2012, Rv.622515). Infatti “… il processo non può essere utilizzato solo in previsione della soluzione in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche” (Cass. Sez. L, Sentenza n. 27151 del 23/12/2009, Rv. 611498). Nel caso di specie, il ricorrente ha proposto azione per ottenere la declaratoria della nullità, o dell’annullamento, di una deliberazione dell’assemblea condominiale (quella del 30.7.2003) con la quale, in concreto, non era stata adottata alcuna statuizione in suo danno, posto che – al contrario – con la Delib. in esame era stata – come già detto, correttamente -revocata la precedente Delib. 14 aprile 2003, con la quale invece erano stati approvati un intervento di manutenzione straordinaria interessante l’edificio condominiale ed il riparto della relativa spesa.

Nessun pregiudizio concreto, quindi, il ricorrente ha ricevuto dalla Delib. 30 luglio 2003, oggetto del presente giudizio (quella precedente del 14 aprile 2003 essendo invece oggetto di diversa impugnazione) onde nessun vantaggio potrebbe trarre da un’eventuale declaratoria della sua nullità.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 100 e 91 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè la Corte di Appello non avrebbe potuto, in assenza di soccombenza, condannarlo alla refusione delle spese del grado.

La doglianza è infondata, posto che la Corte territoriale ha respinto il gravame interposto dallo Z. avverso la decisione del Tribunale di Marsala, onde vi era soccombenza con riferimento al grado di appello.

In ogni caso, la regolamentazione delle spese adottata dalla Corte panormitana non infrange il divieto di accollo delle spese a carico della parte vittoriosa, e quindi si sottrae al sindacato di questa Corte.

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost. e artt. 91,100,105,115,153,166,167,180,183 e 268 c.p.c., nonchè l’omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Ad avviso del ricorrente, la Corte di Appello avrebbe errato nel rilevare la tardività dell’eccezione di carenza del diritto di proprietà in capo al Comune di Partanna, che era stata sollevata dal ricorrente in prime cure con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5. Considerato infatti che il Comune era intervenuto in giudizio ex art. 105 c.p.c., l’eccezione sarebbe stata proposta dal ricorrente nella prima difesa utile. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè la Corte territoriale avrebbe comunque errato nel ritenere infondata la predetta eccezione di carenza del diritto di proprietà in capo al Comune di Partanna, sul presupposto che l’Ente locale fosse proprietario di un locale situato al piano terreno dell’edificio.

Delle due censure, tra loro evidentemente connesse, occorre in ordine logico esaminare prima la seconda (quarto motivo), che va dichiarata inammissibile in quanto essa si risolve in una istanza di riesame del merito della controversia – con riferimento, in particolare, alla ritenuta legittimazione del Comune – che è precluso in questa sede. In proposito, va ribadito che il motivo di ricorso non può mai risolversi “in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione” (Cass. Sez. U, Sentenza n.24148 del 25/10/2013, Rv.627790).

Da quanto precede consegue l’inammissibilità anche della terza censura per carenza di interesse in concreto all’impugnazione, posto che comunque l’eccezione in esame è stata respinta nel merito dalla Corte territoriale.

Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 180 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte di Appello non avrebbe ravvisato che la rappresentanza dei coniugi N. e B. avrebbe dovuto essere congiunta, posto che l’oggetto della controversia concerneva atti eccedenti l’ordinaria amministrazione. Di conseguenza, marito e moglie avrebbero dovuto essere considerati come un’unica parte, anche ai fini della liquidazione delle spese di lite.

La doglianza va dichiarata inammissibile per difetto di specificità, posto che il ricorrente non chiarisce da quale atto o documento acquisito nel corso dei gradi di merito emergerebbe la prova del fatto che i beni esistenti nel condominio fossero di proprietà dei due coniugi e ricadessero nella comunione legale tra di essi, nè indica in quale momento del predetto giudizio di merito detta circostanza sarebbe stata dedotta e dimostrata. Dalla sentenza impugnata, invero (cfr. pag.7), emerge soltanto che il N. è coniuge in comunione legale con la moglie B. e che questa è proprietaria di alcune unità immobiliari site all’interno dello stabile di (OMISSIS), ma le due affermazioni non comportano che i beni appartenenti alla moglie debbano necessariamente essere compresi nella comunione legale tra i coniugi.

Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 96 c.p.c. e del D.M. n. 140 del 2012, art. 11 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Ad avviso del ricorrente: (a) vi sarebbe una contraddizione tra motivazione e dispositivo, poichè nella prima si afferma che sulle spese del grado sono dovute i.v.a. e contributo cassa avvocati, mentre nel secondo non vengono ripetuti detti accessori; (b) sarebbero stati violati i massimi previsti dal D.M. n. 140 del 2012, posto che il valore della controversia dichiarato in atto di appello era pari ad Euro 5.000; (c) sarebbero state liquidate le spese sia in favore del N. che in favore della B., senza considerare che si tratterebbe in realtà di una parte unica; (d) non si sarebbe tenuto conto del fatto che gli scritti difensivi depositati, rispettivamente, dal N. e dalla B. avevano contenuto identico; (e) sarebbero state erroneamente liquidate le spese in favore di quattro parti, senza considerare che le proprietà immobiliari comprese nello stabile erano soltanto due, oltre a quella del ricorrente; (f) la Corte di Appello avrebbe dichiarato nella sentenza impugnata di aver deciso la causa sulla base degli atti di costituzione delle parti, senza tener conto delle comparse conclusionali e delle repliche, ed avrebbe pertanto dovuto liquidare le spese non già in base al D.M. n. 55 del 2014, bensì al D.M. n. 127 del 2004, vigente nel 2009, al momento del deposito dei predetti atti di costituzione in secondo grado; (g) infine, la Corte territoriale avrebbe errato nel riconoscere la maggiorazione di i.v.a. e contributo cassa avvocati a favore di soggetti non titolari di partita iva e di avvocati non iscritti alla cassa forense.

La doglianza è infondata con riferimento a tutti i profili dedotti dal ricorrente.

Ed invero, quanto a quello sub (a), la mancata ripetizione nel dispositivo della maggiorazione per i.v.a. e contributo cassa avvocati non rileva, trattandosi comunque di voci accessorie previste per legge. Inoltre, essa può al massimo costituire un errore materiale, che come tale non è deducibile come motivo di ricorso in cassazione.

Quanto al valore della controversia – profilo sub (b) – esso non è quello di Euro 5.000 dichiarato dal ricorrente nell’atto di appello ma quello indeterminato applicato correttamente dal giudice di merito, onde la liquidazione delle spese operata dalla Corte territoriale è corretta.

Quanto invece alle doglianze di cui alle lettere (c), (d) ed (e), relative alla considerazione dei coniugi N. e B., ai fini della liquidazione delle spese di lite, come due parti distinte anzichè come una parte unica, ed alla liquidazione delle spese in favore di quattro controparti pur in presenza di due sole unità immobiliari comprese nel fabbricato di cui è causa, esse vanno disattese per gli stessi argomenti già indicati a confutazione del terzo, quarto e quinto motivo di ricorso. Inoltre, si tratta di doglianze che attengono al merito della questione e sono – come tali – inammissibili.

La censura di cui sub (f) è invece infondata in quanto in nessuna parte della sentenza di secondo grado si rinviene l’affermazione secondo cui la Corte territoriale avrebbe deciso la causa tenendo conto solo degli atti di costituzione delle parti, e non anche delle comparse conclusionali e delle repliche. Inoltre, pur ammettendo l’ipotesi, da ciò non consegue affatto l’applicazione della tariffa in vigore nel 2009, posto che la liquidazione delle spese è avvenuta con la sentenza impugnata e quindi va regolata in base alla tariffa vigente all’epoca del deposito della decisione, che segna l’esaurimento dell’attività professionale (in argomento, cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n.17405 del 12/10/2012, Rv.623533 e Cass. Sez. 6-2, Sentenza n.2748 del 11/02/2016, Rv. 638855).

Infine, la doglianza sub (g) è infondata in quanto sia l’i.v.a. che il contributo cassa avvocati costituiscono – come già detto – accessori ai compensi liquidati dal giudice che sono previsti per legge. L’eventuale loro spettanza, in concreto, va ovviamente accertata con riferimento al regime previdenziale e fiscale del soggetto percipiente, ma ciò non si riflette in un vizio della statuizione del giudice.

Con il settimo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè la Corte di Appello non si sarebbe pronunciata in merito al titolo di legittimazione in base al quale il Comune di Partanna aveva potuto prendere parte all’assemblea del 30.7.2003 ed alla relativa votazione, posto che l’Ente locale non era titolare di immobili compresi nel condominio. Inoltre, la Corte palermitana non si sarebbe pronunciata neanche sul titolo in base al quale il N. era stato ammesso a partecipare alla predetta sessione assembleare, ed alla relativa deliberazione, per conto della moglie B..

La doglianza non è ammissibile posto che il ricorrente non deduce, neanche nel corpo del motivo, la nullità della sentenza o del procedimento. Sul punto, va ribadito il principio secondo cui “Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge” (Cass. Sez. U, Sentenza n.17931 del 24/07/2013, Rv.627268).

In ogni caso, essa è infondata in quanto la Corte territoriale ha implicitamente pronunciato su ambedue i punti indicati dal ricorrente. La sentenza impugnata dà infatti atto che il Comune era proprietario di un immobile sito al piano terreno dell’edificio e quindi legittimato a partecipare all’assemblea condominiale (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata). Ed inoltre, quanto alla posizione del N., la Corte di merito afferma (sempre a pag. 7) che la B. era legittimata a revocare la Delib. assunta con il consenso del marito, con ciò evidentemente riconoscendo che in occasione della prima Delib. vi era stata una delega dalla moglie al marito, implicitamente confermata poi dalla delibera di revoca assunta dalla prima.

Infine, con l’ottavo motivo, il ricorrente lamenta la nullità del procedimento, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, operando un generico richiamo a tutte le precedenti doglianze.

La censura è inammissibile perchè essa non contiene alcuna censura specifica diretta ad una parte individuata della sentenza. In argomento, va ribadito il principio secondo cui “… il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati” (Cass. Sez. U, Sentenza n.9100 del 06/05/2015, Rv.635452).

Nel caso di specie, il ricorrente si è limitato al richiamo delle doglianze proposte con i primi sette motivi di ricorso, senza tuttavia operare alcun riferimento alla sentenza impugnata ed alle sue parti attinte dalla specifica censura, nè specificare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della dedotta violazione della norma processuale (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9888 del 13/05/2016, Rv.639725). In definitiva, il ricorso va rigettato. Nulla per le spese del grado, in assenza di attività difensiva svolta dagli intimati.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto dopo il 30 gennaio 2013 ed è rigettato, si ravvisano le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, che ha aggiunto il comma 1-quater al Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 18 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018

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