Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28782 del 19/10/2021

Cassazione civile sez. trib., 19/10/2021, (ud. 15/07/2021, dep. 19/10/2021), n.28782

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRISCARI Giancarlo – Presidente –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4968-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

T.M.J., elettivamente domiciliata in ROMA, 2021 VIALE

REGINA MARGHERITA 262, presso lo studio dell’avvocato ANNA

STEFANINI, rappresentata e difesa dall’avvocato SALVATORE TAVERNA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4445/2014 della COMM. TRIB. REG. LAZIO,

depositata il 03/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/02/2021 dal Consigliere Dott. Francesco Mele; e a seguito di

riconvocazione nella camera di consiglio del 15.7.2021;

Per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Lazio n. 4445/2014 depositata il 3 luglio 2014, non

notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26 febbraio 2021 dal relatore, cons. Francesco Mele e a seguito di

riconvocazione del 15 luglio 2021.

 

Fatto

RILEVATO

che:

A conclusione di una verifica generale, l’Agenzia delle Entrate formava processo verbale di constatazione nei confronti di parte contribuente individuata nella sentenza impugnata come segue “…. G. srl rappresentata pro-tempore da T.F…..subentrata alla G. successori della ditta D. C. srl (già G. successori della D.C. sas) composta dai soci G.M. e G.P., entrambi deceduti, ai quali è subentrata in qualità di erede T.M.J. nonché la Adam investimenti srl, in persona del legale rappresentante T.F., quale partecipante della G. srl per una quota pari all’80%”.

Con il menzionato PVC erano mossi alla società -esercente vendita al dettaglio di orologi Rolex, di cui era concessionaria; attività grazie alla quale la stessa aveva asseritamente maturato credito di imposta in forza del quale aveva chiesto un consistente rimborso d’IVA, richiesta che aveva indotto l’Ufficio ad avviare la verifica de qua- due rilievi: il primo relativo al mancato assoggettamento ad IVA di vendite a clienti extracomunitari per le quali non risultava il visto doganale sulle fatture emesse né la bolletta doganale di esportazione attestante l’effettiva uscita della merce dal territorio comunitario; il secondo relativo alla omessa dichiarazione di ricavi sostenendo come non veritiera la percentuale di ricarico applicata dalla società sulla merce venduta pari al 27,46% piuttosto che (come avrebbe dovuto) del 60%.

In conseguenza di quanto esposto, l’Ufficio procedeva a recuperare la maggiore IVA dovuta per le annualità 2003 e 2004 e alla ricostruzione induttiva del reddito determinando la misura degli omessi ricavi per le medesime annualità mediante la emissione di complessivi dodici avvisi di accertamento riguardanti società e singoli soci.

Avverso tali atti impositivi proponevano altrettanti ricorsi sia le società che i singoli soci; i giudizi – così instaurati dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma – facevano registrare esiti differenti.

Con riguardo all’odierno contenzioso, la CTP di Roma accoglieva i ricorsi proposti da T.M.J. avverso tre avvisi di accertamento in tema di Irpef relativamente all’anno 2004, riducendo l’imponibile accertato e, considerando che la maggiore determinazione dei ricavi si era basata esclusivamente su presunzioni, annullava gli accertamenti.

Entrambe le parti proponevano appello.

La CTR pronunciava la sentenza sopra menzionata recante il seguente testuale dispositivo: “Accoglie l’appello come in motivazione. Spese compensate”.

La CTR decretava l’annullamento di “tutti gli avvisi di accertamento relativi agli anni di imposta 2003-2004 per quanto concerne la contestazione dell’omessa indicazione dei ricavi ai fini Irpef” e affermava la legittimità del recupero IVA “ad eccezione della fattura n. 6 del 5 febbraio 2004 per un importo di Euro 93.595,00”.

La CTR, dopo avere premesso alcune considerazioni attinenti alla peculiarità della merce trattata dalla contribuente (orologi Rolex, beni di lusso, con diversi modelli e per ciascun modello, di frequente, con diverse tipologie con conseguente diversità dei prezzi, oscillante tra il 30% e il 220%) ha rilevato che “…l’Ufficio imposte per determinare la percentuale di ricarico degli orologi venduti, pari al 60%, ha utilizzato: un listino prezzi fornito dalla stessa società durante la verifica che si riferisce ai prezzi dell’anno 2007 mentre gli accertamenti si riferiscono agli anni 2003-2004 e nel corso dei predetti anni si è verificata una fortissima oscillazione al rialzo dei prezzi; la percentuale di ricarico derivante dal calcolo sui risultati delle scritture contabili che ammonta al 24,27%; infine le indicazioni statistiche sulla base degli studi di settore per vendita degli orologi che indicano un’oscillazione della percentuale di ricarico tra il 40% e l’80%. Ad avviso del collegio, tali criteri di calcolo non sono conformi alle vigenti disposizioni di legge e non possono essere ritenuti validi nel caso concreto. In materia di percentuali di ricarico presunte dagli uffici, secondo criteri statistici ricavati da dati assai disomogenei tra di loro, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico diversa da quella mediamente riscontrabile nel settore non configura estremo di una prova per presunzione ma occorre che essa risulti da elementi ulteriori, dovendosi ritenere il recupero alla tassazione dei presunti maggiori ricavi sulla scorta di siffatte presunzioni illegittimo”.

Per la cassazione di tale sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso affidato a tre motivi; resiste con controricorso, illustrato da memoria, parte contribuente.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorso consta di tre motivi che recano: 1) “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, e dell’art. 112 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4”; 2) “Omesso esame di fatto decisivo e contestato, ex art. 360 c.p.c., n. 5”; 3) “Nullità per difetto di motivazione, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, n. 4, e dell’art. 132 c.p.c., n. 4, ex art. 360 c.p.c., n. 4”.

Prima di passare all’esame dei trascritti motivi di ricorso, occorre vagliare la duplice eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata da parte controricorrente.

Sono entrambe infondate. Quanto alla prima avente ad oggetto la (asserita) genericità dei motivi, la articolata riscontrata (per come meglio si esporrà, a seguire, con il commento del motivo) specificità delle censure mosse alla sentenza impugnata rende palese la infondatezza della eccezione. Quanto alla seconda eccezione, concernente la (asserita) valutazione in fatto da parte dei secondi giudici, valutazione sottratta al giudizio di legittimità, se ne rileva la infondatezza a ragione del fatto che la CTR ha deciso la questione in punto di diritto e il ricorso dell’Ufficio si duole della decisione così assunta.

Può ora esaminarsi il contenuto del ricorso.

Con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza per avere la CTR sulla premessa della non conformità a legge del metodo di computo della percentuale di ricarico utilizzato – disposto tout court l’annullamento dei disposti recuperi.

Avrebbe dovuto la CTR – una volta ritenuto di non condividere il metodo seguito dall’Ufficio – individuare il calcolo corretto, dal momento che incombe sul giudice tributario l’onere di pronunciarsi sull’effettivo contenuto dell’obbligazione gravante sul contribuente.

Il motivo non è fondato.

Osserva il collegio che la possibilità, per il giudice tributario, di porre in essere un accertamento nel merito, si fonda sulla considerazione che la pretesa fiscale sia sì legittima, ma non sia corretto il calcolo del quantum. Nella fattispecie in esame, tuttavia, il giudice tributario ha ritenuto la illegittimità in toto dell’accertamento induttivo, atteso che tale tipo di accertamento non può fondarsi, in via esclusiva, sullo scostamento rispetto alla percentuale media del settore cui la merce appartiene, essendo necessario il concorso di altri elementi presuntivi.

Con il secondo motivo, la ricorrente si duole della omessa considerazione, da parte della CTR, della circostanza che la ricostruzione per via induttiva non era stata ancorata dall’Ufficio al solo riscontro della percentuale di ricarico inferiore alla media del settore, ma ad altri riscontrati elementi di irregolarità, tutti orientati a rendere verosimile l’esistenza di ricavi non dichiarati: si tratta -conclude la ricorrente- di fatto decisivo ai fini della affermazione o meno della legittimità dell’accertamento analitico-induttivo.

Con riguardo al motivo in commento, va vagliata, preliminarmente la eccezione di inammissibilità -avanzata dalla resistente- per violazione del principio della c.d. “doppia conforme” ex art. 348 ter c.p.c.

L’eccezione è infondata e va pertanto rigettata, atteso che la CTR non ha effettuato alcun accertamento in fatto, ma ha deciso esclusivamente in diritto in ordine alla pretesa erariale in contestazione.

– Il motivo è fondato.

– Dall’avviso di accertamento risulta quanto segue: la società, di cui la resistente era socia, era stata giudicata non congrua e coerente con gli studi settore; le fatture di vendita non erano rispettose delle indicazioni obbligatorie; la società è incorsa in omissione quanto alla specifica delle rimanenze iniziali/finali della merce. L’accertamento, dunque, non si è basato solo sugli studi di settore – che sono stati tenuti in conto al solo fine di determinare il maggior reddito non dichiarato – ma su una pluralità di elementi presuntivi (uno solo dei quali costituito dagli studi in parola, su cui “anche” – per come emergente dagli atti – si è basato l’avviso), sui quali, appunto, si è fondata la pretesa erariale. Il collegio ritiene di non discostarsi da una consolidata interpretazione della Corte in materia, secondo la quale “…un accertamento tributario può dirsi fondato su uno studio di settore solo nel caso in cui trovi in esso il suo fondamento prevalente. Ciò non ci verifica quando, mediante l’utilizzo degli studi di settore siano emerse incongruenze nella contabilità di impresa che abbiano indotto l’Ente accertatore ad approfondire l’analisi, scoprendo altri, e prevalenti indici rivelatori dell’esistenza di una operatività economica non dichiarata, raccogliendo l’Amministrazione finanziaria elementi gravi, precisi e concordanti, posti a fondamento dell’accertamento tributario” (Cass. n. 895 del 2020). Gli elementi esposti e la idoneità degli stessi – e dunque la misura della loro rilevanza – a conferire legittimità all’accertamento analitico-induttivo non sono stati presi, nella fattispecie per cui è causa, in considerazione dalla CTR.

– Con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza per avere la stessa, con riferimento alla ripresa IVA, omesso di motivare in ordine alla sussistenza dei requisiti di legge all’interno della fattura n. 6.

– Il motivo non è fondato.

– La CTR, all’esito dell’esame della documentazione prodotta, ha spiegato che solo tale fattura, a differenza delle altre, aveva i requisiti in parola.

In conclusione, è fondato il secondo motivo, infondati i restanti, con conseguente cassazione della sentenza per il motivo accolto e rinvio alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il secondo motivo, rigettati i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il giorno 26 febbraio 2021 e, a seguito di riconvocazione, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2021

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