Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28782 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 07/11/2019, (ud. 20/06/2019, dep. 07/11/2019), n.28782

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26276-2017 proposto da:

B.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DEI

PARIOLI 40, presso lo studio dell’avvocato MATTEO RONGA,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO NICOLA CALZONE;

– ricorrente –

contro

A.R., P.C., P.M., coniuge

superstite la prima e figlie le altre due, eredi di P.S.,

elettivamente domiciliate in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 36 presso

l’avvocato MARIA IDA OREFICE (STUDIO LEGALE VADALA’), rappresentate

e difese dall’avvocato SAVERIO CHIAPPALONE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1607/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 19/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Nel 2011, B.C. conveniva in giudizio, innanzi alla Corte di appello di Catanzaro P.S. per la riforma della sentenza del Tribunale di Vibo Valentia che con sentenza 795/2016 rigettava le domande dell’attore in quanto i danni non erano stati provati e lo condannava al pagamento in favore del convenuto delle spese del giudizio.

2. Con sentenza n. 1607/2017 del 19/09/2017, la Corte di Appello di Catanzaro, sezione prima civile, rigettava l’appello proposto da B.C. confermando la sentenza del Tribunale e condannando l’appellante al pagamento delle spese del giudizio di appello nei confronti di P.S..

3. B.C. ricorre per Cassazione sulla base di due motivi. A.R., P.C. e P.M., rispettivamente coniuge superstite e figlie del defunto P.S., resistono con controricorso.

4. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio, con le seguenti precisazioni di condividere la proposta del relatore.

6.1 Con il primo motivo parte ricorrente lamenta “l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” avendo omesso la Corte ogni tipo di valutazione e pronuncia delle deduzioni prospettate dal ricorrente e ritenute fondamentali ai fini della decisione, come la privazione in primo grado della possibilità di provare i fatti lamentati in giudizio attraverso la prova testimoniale e l’espletamento della CTU tecnica.

6.2 Con il secondo motivo di ricorso parte ricorrente si duole della “violazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c. comma 1, n. 3″.

La Corte avrebbe violato l’art. 24 Cost., l’art. 112 c.p.c. e l’art. 111 Cost., comma 6.

7. Il ricorso è inammissibile in primo luogo per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3, in quanto l’esposizione del fatto in esso contenuta è del tutto inidonea allo scopo.

Infatti, parte ricorrente ha inteso assolvere all’onere di cui a detta norma in questi termini: Con atto di citazione in appello ritualmente notificato il Signor B.C. conveniva in giudizio dinanzi alla Corte di Appello di Catanzaro il signor P.S. affinchè l’on. Giudice riformasse la sentenza emessa dal Tribunale di Vibo Valentia, la quale è illegittima ed ingiusta nei confronti del ricorrente. Il Tribunale di Vibo Valentia, infatti, con sentenza n. 795/2016 ha rigettato la richiesta del B.C. di risarcimento dei danni e lo ha condannato al pagamento delle spese di giudizio poichè riteneva che i danni lamentati dal B.C. con la sua domanda, fossero stati indicati genericamente e non fossero stati provati.

Avverso tale sentenza veniva proposto gravame affinchè venisse riformata la sentenza emessa in primo grado in quanto ingiusta e venissero riconosciuti i diritti del signor B.C. il quale è stato privato dei mezzi attraverso cui provare i fatti posti a fondamento delle sue domande. La Corte di Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Vibo Valentia e decideva la causa come da dispositivo sopra descritto4?

Il Collegio rileva che il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1 n. 3, che, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. 11653 del 2006). La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. sez. un. 2602 del 2003). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.

Il ricorso, nell’esposizione del fatto, non rispetta tali contenuti ed è pertanto inammissibile.

Peraltro, se si passasse a leggere l’esposizione dei due motivi, fermo che essa resta impossibile in ragione della mancanza di conoscenza del fatto sostanziale e processuale, si dovrebbe rilevare che essi si sostanziano – al di là dei paradigmi invocati, quelli del secondo motivo in modo del tutto generico – in un’accusa alla sentenza impugnata di avere motivato per condivisione della sentenza di primo grado, ma del contenuto di essa nessuna indicazione si fornisce.

Sicchè, indipendentemente dal se la motivazione della sentenza impugnata abbia effettivamente solo tale contenuto, verrebbe comunque in rilievo il principio di diritto secondo cui: ” In tema di ricorso per cassazione, ove la sentenza di appello sia motivata “per relationem” alla pronuncia di primo grado, al fine ritenere assolto l’onere ex art. 366 c.p.c., n. 6, occorre che la censura identifichi il tenore della motivazione del primo giudice specificamente condivisa dal giudice di appello, nonchè le critiche ad essa mosse con l’atto di gravame, che è necessario individuare per evidenziare che, con la resa motivazione, il giudice di secondo grado ha, in realtà, eluso i suoi doveri motivazionali” (Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017).

Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile sia per violazione dell’art. 366, n. 3, sia – gradatamente – per quella dell’art. 366 c.p.c., n. 6, oltre che per la genericità dei motivi di ricorso.

8. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controticorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019

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