Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28781 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 07/11/2019, (ud. 23/05/2019, dep. 07/11/2019), n.28781

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17034-2018 proposto da:

AGRIGEST SNC DI G.F., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato OSCAR MUSACCHIO;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL, in persona del Curatore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE XXI APRILE 11, presso lo

studio dell’avvocato CORRADO MORRONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato PIETRO GRECO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2139/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 29/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUAI,E

GIANNITI.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.La società Agrigest s.n.c. di G.F. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 2139/2017 della Corte di Appello di Catanzaro, che, respingendo la sua impugnazione, ha confermato la sentenza n. 33/2015 del Tribunale di Cosenza. Il giudice di primo grado, in accoglimento della domanda revocatoria proposta dal Fallimento (OMISSIS) srl, ritenuto che il prezzo di compravendita fosse inferiore di oltre un quarto al valore della controprestazione, aveva dichiarato inefficace nei confronti della massa dei creditori del fallimento l’atto pubblico 3/9/2008 (con il quale la società, successivamente fallita, aveva ad essa venduto un cespite immobiliare facente parte di un fabbricato sito in Cosenza alla via Barrio al prezzo di Euro 109.372,80 oltre iva).

2. Ha resistito con controricorso il Fallimento (OMISSIS) srl

3. Essendosi ritenute sussistenti dal relatore designato le condizioni per definire il ricorso con il procedimento ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata redatta proposta ai sensi di tale norma e ne è stata fatta notificazione ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

4. In vista dell’odierna adunanza entrambe le parti hanno presentato memorie a sostegno dei rispettivi assunti.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.II ricorso è affidato a 2 motivi.

1.1.Con il primo motivo la società ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67, comma 1, numero 1 nella parte in cui la Corte territoriale, nell’esaminare congiuntamente i 4 motivi di appello, dopo aver erroneamente affermato che il giudice di primo grado aveva implicitamente considerato non superata la presunzione di conoscenza dello stato di insolvenza, ha sempre erroneamente ritenuto non determinante la relativa eccezione da essa società formulata. Rileva che la stessa Corte di merito, pronunciandosi su un identico caso di revocatoria fallimentare vertente sempre tra la curatela e l’acquirente di altra unità immobiliare ubicata nel medesimo fabbricato, era pervenuta a conclusione opposta. Sottolinea che la Corte avrebbe dovuto considerare che: a) essa società, avendo ad oggetto una piccola impresa agricola, si era avvalsa dell’operato di ben tre note agenzie immobiliari per concludere l’acquisto; b) contro la società poi fallita non pendeva alcuna procedura esecutiva (immobiliare o mobiliare); c) tra le parti del contratto di compravendita non vi era mai stato in passato alcun rapporto di alcun tipo. In definitiva, avrebbe dovuto essere ritenuta provata la inscientia decoctionis, con conseguente rigetto della domanda revocatoria.

1.2. Con il secondo motivo, articolato sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 196 c.p.c., nella parte in cui la corte territoriale ha rigettato la richiesta di rinnovo della stessa, aderendo acriticamente alle conclusioni del c.t.u, nominato in primo grado. Rileva che nella recentissima perizia di stima, effettuata nella procedura esecutiva immobiliare pendente nei suoi confronti, è stato attribuito al bene oggetto di revocatoria un valore non eccedente la misura del quarto prevista nella L. Fall., art. 67, comma 1, n. 1.

2. Il ricorso è inammissibile.

2.1. Inammissibile è il primo motivo.

Si premette che la Corte territoriale ha ritenuto che alla data del 3/9/2008 di stipulazione dell’atto pubblico di vendita, la condizione di insolvibilità della società venditrice (successivamente dichiarata fallita) era desumibile dal fatto che: a) la società era gravata di numerosi protesti; b) era intervenuto licenziamento di personale; c) la società aveva sede nella stessa via in cui era posto l’immobile revocando; d) era apparsa sulla stampa la notizia circa la fuga all’estero di un “noto imprenditore edile” (e Agrigest non aveva contestato la riferibilità di tale notizia alla società (OMISSIS) s.r.l.).

Vero è che la Corte di merito avrebbe potuto anche valorizzare: l’inesistenza di procedure esecutive (mobiliari o immobiliari), l’inesistenza tra la società fallita e l’acquirente di rapporti sociali/economici ulteriori rispetto al negozio in esame ed il fatto che l’acquisto immobiliare era stato effettuato attraverso l’intermediazione di tre agenzie immobiliari. Senonchè la società ricorrente censura in concreto la valutazione di merito della Corte territoriale (che ha ritenuto gravi, precisi e concordati gli indizi dai quali ha desunto il mancato superamento della presunzione relativa di legge), ma tale valutazione sfugge al sindacato di questa Corte, alla quale non è consentita la revisione del ragionamento decisorio.

Parimenti vero è che la stessa Corte territoriale con sentenza n. 2088/2017 è intervenuta in fattispecie concreta analoga a quella sottesa al ricorso introduttivo del presente giudizio. Tuttavia, va rilevato che la Corte in quella sentenza ha sì rigettato l’azione revocatoria fallimentare avente ad oggetto altro rogito di vendita immobiliare di cespite ubicato nel medesimo fabbricato, ma tanto ha fatto: a) dopo aver accertato l’inesistenza della sproporzione tra prezzo/valore del cespite revocando; b) dopo aver ritenuto la levata dei protesti e le notizie di stampa apparse pochi mesi prima sui giornali elementi non sufficienti a dar prova del requisito del consilium fraudis dell’acquirente; c) e non senza aggiungere che “A diverse conclusioni si sarebbe potuto giungere laddove la vendita fosse avvenuta a condizioni inique per il venditore o con rilevante sproporzione tra le rispettive obbligazioni”, posto che, in tale ipotesi, i suddetti elementi indiziari “avrebbero obiettivamente messo l’acquirente nelle condizioni di percepire l’anomalia intrinseca dell’atto dispositivo”.

D’altronde, il motivo in esame è inammissibile anche perchè – oltre ad omettere di individuare in modo chiaro (sul requisito della chiarezza espositiva del motivo: Cass., Sez. Un., n. 8077 del 2012) la motivazione criticanda – viola del tutto l’art. 366 c.p.c., n. 6, atteso che si fonda – postulandone una rivalutazione che assegna, peraltro, al motivo stesso il valore di sollecitazione ad un diverso apprezzamento del fatto – su di una serie di risultanze istruttorie, delle quali non fornisce l’indicazione specifica, sia quoad contenuto sia (salvo per la sentenza della stessa corte catanzarese, che si indica prodotta in chiusura del ricorso), sia quoad localizzazione (per come necessario secondo un orientamento affermato da questa Corte con ordinanza n. 22303/2008 e confermato dalle Sezioni Unite con successiva sentenza n. 28547/2008 nonchè di secondo sempre ribadito.

2.2. Inammissibile e anche il secondo motivo.

Invero, anche tale motivo non rispetta il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto la società ricorrente: a) non ha trascritto i passaggi contestati della relazione peritale, b) non ha allegato e neppure trascritto i passaggi della consulenza tecnica di parte che non sarebbero stati presi in esame dal consulente d’ufficio, c) non ha riportato il contenuto dei mezzi istruttori richiesti, d) non ha riprodotto l’istanza di rinnovazione della c.t.u. e non ha precisato se detta istanza era stata reiterata in sede di precisazione delle conclusioni (tanto più che le conclusioni riportate in sentenza non fanno riferimento a detta richiesta); di talchè questa Corte, che non ha accesso al fascicolo di merito (Ndr. Testo originale non comprensibile) non è stata messa nelle condizioni di effettuare il sindacato di legittimità ad essa demandato.

Inoltre parte ricorrente deduce formalmente il vizio di violazione di legge, con la conseguenza che dovrebbe dedurre erronea interpretazione e ricognizione di una fattispecie astratta in rapporto alle norme denunciate, ma fornisce una lettura alternativa delle risultanze di cause, di cui sollecita una rivisitazione. La censura mossa dal ricorrente è stata erroneamente articolata anche nel caso in cui si volesse ritenere che il vizio evocato fosse in realtà quello di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto quest’ultimo è censurabile soltanto nel caso (che nella specie non ricorre) di anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente alla stessa esistenza della motivazione.

3.Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, nonchè al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna parte ricorrente al pagamento in favore di parte resistente delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 7.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019

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