Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28780 del 16/12/2020

Cassazione civile sez. I, 16/12/2020, (ud. 09/10/2020, dep. 16/12/2020), n.28780

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10068/19 proposto da:

Y.Z., elettivamente domiciliato a Roma, v.le Angelico n. 38,

presso l’avvocato Roberto Maiorana, che lo difende in virtù di

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del ministro pro tempore,

rappresentato ex lege dall’Avvocatura dello Stato e domiciliato a

Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Roma 21.2.2019 n. 4031;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 9

ottobre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Y.Z., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

A fondamento della domanda dedusse di avere lasciato il proprio Paese in quanto era stato costretto dal padre a divenire assistente di uno stregone, il quale nel celebrare un esorcismo provocò la morte di un giovane. Per paura della polizia e della vendetta dei familiari della vittima lasciò il Benin.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

2. Avverso tale provvedimento Y.Z. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Roma, che la rigettò con decreto 21 febbraio 2019.

Il Tribunale ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non potessero essere concessi perchè il racconto del richiedente non evidenziava alcuna “persecuzione” ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, nè il richiedente correva il rischio di essere condannato a morte o sottoposto a trattamenti degradanti; inoltre il richiedente “non aveva mai rappresentato” l’impossibilità di ottenere tutela dallo Stato contro le vendette dei familiari dell’ucciso;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa, perchè nel Paese di provenienza del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non potesse essere concessa in quanto il richiedente non aveva allegato nè dimostrato l’esistenza di specifiche circostanze idonee a qualificarlo come “persona vulnerabile” in caso di rimpatrio.

3. Tale decreto è stato impugnato per cassazione da Y.Z. con ricorso fondato su quattro motivi.

Ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. E’ superfluo dar conto del contenuto dei motivi del ricorso, in quanto quest’ultimo va dichiarato inammissibile, per due indipendenti ed evidenti ragioni.

2. La prima ragione è che il ricorrente ha assolto in modo solo formale l’onere di esposizione sommaria dei fatti di causa, richiesto dall’art. 366 c.p.c., n. 3, a pena di inammissibilità.

Non solo, infatti, il ricorso non riferisce quali fatti vennero dedotti a fondamento delle domande proposte nel giudizio di primo grado, ma addirittura dichiara che dovrebbero ritenersi “per trascritte le dichiarazioni rese in commissione e ripresentate dinanzi al giudice di prime cure”, in chiara violazione della norma appena indicata.

Nè i fatti costitutivi della pretesa azionata nel presente giudizio sono desumibili, in modo inequivoco, dalla illustrazione dei motivi di ricorso.

3. La seconda ed indipendente ragione è che l’odierno ricorrente, a fondamento della sua richiesta di protezione, ha dichiarato di avere assassinato una persona nel suo paese.

Tale circostanza teoricamente ostava tanto alla concessione dello status di rifugiato (D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 10, comma 2); quanto alla concessione della protezione sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 16, comma 1).

E’ noto tuttavia che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, anche l’omicida può chiedere la concessione della protezione internazionale, ove nel suo paese corra il rischio di condanne a morte, torture o trattamenti carcerari degradanti.

Ma nel caso di specie il Tribunale ha affermato che mai, nella fase di merito, il ricorrente aveva dedotto la sussistenza di tale rischio, e questa statuizione non è stata impugnata validamente dall’odierno ricorrente, il quale – anche in questo caso violando l’art. 366 c.p.c., n. 6 – non indica mai in quale atto ed in quali termini abbia prospettato il suddetto rischio.

Pertanto il ricorrente, non avendo allegato nei gradi di merito il suddetto rischio (ovvero, il che produce il medesimo effetto, processuale, non dichiarando chiaramente nel ricorso dove e quando abbia prospettato quel rischio nei gradi di merito), non può dolersi del fatto che esso non sia stato esaminato dal Tribunale: se l’avesse/infatti, il Tribunale sarebbe incorso in una evidente nullità per ultrapetizione.

3.1. Resta solo da aggiungere, a completamento di quanto esposto, che il rilevato deficit assertivo produce l’inammissibilità del gravame nel processo avente ad oggetto la domanda di protezione internazionale, come in qualsiasi altro processo.

La materia della protezione internazionale, infatti, è soggetta a regole processuali speciali per quanto riguarda l’assolvimento dell’onere della prova (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3), ma non per quanto riguarda l’assolvimento dell’onere di allegazione (ex multis, Sez. 1, Ordinanza n. 15794 del 12/06/2019, Rv. 654624 – 01).

Colui il quale domandi in giudizio la concessione dello status di rifugiato, la concessione della protezione sussidiaria (in tutte le sue forme), il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (quando consentito ratione temporis) non può limitarsi ad allegare di avere genericamente diritto alla protezione, ma ha l’onere, a pena di inammissibilità della domanda, di indicare chiaramente i fatti costitutivi della propria pretesa.

Allo stesso modo, colui il quale intenda impugnare una decisione giurisdizionale che abbia accolto o rigettato le suddette domande, ha l’onere di censurare tutte le rationes decidendi poste a fondamento della decisione impugnata: come accadrebbe in qualsiasi altro giudizio, secondo le regole di cui all’art. 112 c.p.c..

A fortiori tali regole varranno per il ricorso per cassazione avente ad oggetto la materia della protezione internazionale. Mentre, infatti, i giudizi di merito possono svolgersi con forme e riti diversi (il rito ordinario, il rito sommario, il rito sommario, il rito del lavoro, ecc.), il giudizio di legittimità è sempre e soltanto uno, quale che sia l’oggetto del contendere. La trasversalità delle forme processuali del processo di legittimità comporta che quelle forme non possano soffrire deroghe di sorta in funzione della materia trattata.

Dunque il ricorrente per cassazione che intenda dolersi del rigetto della sua domanda di protezione internazionale non è esonerato, al pari di qualsiasi altro ricorrente, dall’indicare nel ricorso, a pena di inammissibilità:

a) quali domande abbia formulato nei gradi di merito;

b) quali fatti materiali abbia dedotto a fondamento di quelle domande;

c) quali argomenti abbia speso il giudice di merito per rigettare la domanda;

d) quali ragioni di diritto rendano erroneo il provvedimento impugnato. I principi appena esposti sono stati ripetutamente affermati da questa Corte, e da ultimo da Sez. 2 -, Ordinanza n. 17185 del 14/08/2020, Rv. 658956 – 01; Sez. 2 -, Ordinanza n. 9230 del 20/05/2020, Rv. 657701 – 01; Sez. 1 -, Ordinanza n. 8930 del 14/05/2020, Rv. 657903 – 01; Sez. 1 -, Sentenza n. 3016 del 31/01/2019, Rv. 652422 – 01; Sez. 1 -, Ordinanza n. 13403 del 17/05/2019, Rv. 654166 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 11312 del 26/04/2019, Rv. 653608 – 01.

4. Il motivo va dunque dichiarato inammissibile alla luce del seguente principio di diritto:

“nei giudizi aventi ad oggetto l’esame di domande di protezione internazionale in tutte le sue forme, nessuna norma di legge esonera il ricorrente in primo grado, l’appellante o il ricorrente per cassazione, dall’onere – rispettivamente – di allegare in modo chiaro i fatti costitutivi della pretesa; di censurare in modo chiaro le statuizioni del giudice di primo grado; e di assolvere gli oneri di esposizione, allegazione ed indicazione richiesti a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., nn. 3, 4 e 6”.

5. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo.

6. L’inammissibilità del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), se dovuto.

PQM

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) condanna il ricorrente alla rifusione in favore del Ministero dell’interno delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.200, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfetarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 9 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2020

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