Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2878 del 06/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/02/2020, (ud. 22/10/2019, dep. 06/02/2020), n.2878

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14750-2018 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO

PASSAGLIA 14, presso lo studio dell’avvocato MARIA SARA MERLO, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI ROMA TRE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO ROMEI, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 26273/2017 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 06/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 22/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LEONE

MARGHERITA MARIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

M.G. proponeva ricorso per revocazione della sentenza di questa Corte n. 26273/2017.

Premetteva che, con la decisione in oggetto, il Supremo Collegio aveva rigettato il ricorso dallo stesso proposto avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Roma (n. 4299/2015) aveva confermato due precedenti sentenze del tribunale di rigetto della impugnativa della sanzione disciplinare e del licenziamento irrogati allo stesso M. dall’Università di studi di Roma Tre.

La Corte di legittimità, per quel che in questa sede rileva, aveva ritenuto inammissibile e comunque infondata la censura inerente la violazione del diritto di difesa del lavoratore per la sua mancata audizione nel corso del procedimento disciplinare.

Avverso tale statuizione il M. aveva proposto ricorso per revocazione affidato a tre motivi cui aveva resistito con controricorso l’Università di Studi Roma Tre.

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1) Con il primo motivo il ricorrente rileva l’errore revocatorio nella statuizione della Corte di legittimità circa la cessazione dello stato di malattia del ricorrente alla data del 12.6.2009, data in cui il datore di lavoro aveva fissato l’audizione del dipendente.

A riguardo sostiene che, come attestato da documentazione medica allegata, lo stato di malattia fosse perdurato anche in tale data e che dunque la Corte fosse stata indotta in errore dal fatto che avesse ignorato la specifica documentazione medica.

2) Con il secondo motivo denuncia la svista in cui sarebbe incorsa la Corte di legittimità nel ritenere inammissibile il motivo di gravame sul presupposto che fossero state omesse circostanze, quali lo stato di malattia del lavoratore nel giorno fissato per l’audizione e la relativa documentazione medica, invece presenti ed allegate in giudizio.

3) Con il terzo motivo è dedotta la errata determinazione circa la valutazione di inammissibilità dello stesso motivo di mancata valutazione dello stato di malattia, anche sotto il profilo di violazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto non correttamente adempiuti dalla parte ricorrente gli oneri di cui all’art. 366 c.p.c., risultando carente la trascrizione del contenuto del motivo di appello proposto.

I motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto afferenti alla prima censura dell’originario ricorso per cassazione, trattato dalla sentenza oggetto di revocazione.

La decisione in questione aveva ritenuto il motivo proposto, denunciante vizio di motivazione per omesso esame di fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riguardo alla mancata audizione del dipendente in malattia, inammissibile per due differenti profili e comunque infondato.

La Corte aveva in primis rilevato che il motivo, come articolato, “non corrispondeva al modello processuale” corrispondente alle modifiche legislative intervenute sulla disposizione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto il ricorrente non aveva indicato il come, il quando il fatto storico fosse entrato nel processo e fosse stato in discussione tra le parti, oltre che la sua decisività. Ne aveva quindi ritenuta l’inammissibilità.

In seconda battuta aveva poi ritenuto la stessa censura comunque inammissibile anche se riqualificata come riferibile all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto non trascritto il motivo di appello (ma solo la rubrica).

Aveva infine valutato infondata la censura in quanto, dalla “descrizione offerta dall’odierno ricorrente – pg. 12 e pg. 20 ric. – ed emergente altresì dalla sentenza impugnata era risultato che il datore di lavoro aveva concesso vari differimenti per l’audizione del lavoratore e che l’ultima convocazione era stata fissata il 12 giugno 2009 cessato lo stato di malattia”.

Rispetto al motivo in esame, la Corte di legittimità aveva quindi individuato tre differenti profili di vizi, ciascuno dei quali utile e da solo sufficiente a rendere inammissibile o comunque infondata la censura in origine proposta.

Nel valutare i motivi di revocazione diretti alle singole statuizioni espresse dalla sentenza, occorre partire dalla premessa che, come evidenziato dalle Sezioni Unite del Giudice di legittimità “Il combinato disposto dell’art. 391 bis c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., n. 4, non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto, sostanziale o processuale, e l’errore di giudizio o di valutazione” (Cass. SU n. 8984/2018). Soggiunge la Corte che ” La giurisprudenza di legittimità ha perimetrato l’errore di fatto, tracciandone, in primo luogo, il confine rispetto alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziali o processuali, laddove l’errore di fatto riguarda solo l’erronea presupposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di fatti considerati nella loro dimensione storica di spazio e di tempo, non potendosi far rientrare nella previsione il vizio che, nascendo ad esempio da una falsa percezione di norme che contempli la rilevanza giuridica di questi stessi fatti e integri gli estremi dell’error furis, sia che attenga ad obliterazione delle norme medesime, riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione, sia che si concreti nella distorsione della loro effettiva portata, riconducibile all’ipotesi della violazione (vedasi tra le tante Cass., Sez. U., 27/12/2017, n. 30994 e sent. ivi cit. a p. 3.4; conf. Cass., Sez. U., 27/12/2017, nn. da 30995 a 30997). Resta, quindi, esclusa dall’area del vizio revocatorio la sindacabilità di errori formatisi sulla base di una pretesa errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico, perchè siffatto tipo di errore, se fondato, costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto (Cass., Sez. U., n. 30994/2017, cit.)”.

Il principio richiamato fissa il discrimine tra vizio revocatorio ed error iuris, escludendo dal primo ogni asserita errata valutazione, sia in fatto che in diritto, svolta dal Giudice di legittimità. Nel caso di specie nella sentenza oggetto di revocazione la Corte aveva individuato due profili di inammissibilità del motivo, valutandone la estraneità al modello processuale disegnato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e comunque la inammissibilità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto non trascritto il motivo di appello (ma solo la rubrica). Si tratta all’evidenza di due valutazioni in diritto (processuale) circa la corrispondenza del motivo proposto con il modello processuale che devono quindi far escludere la ammissibilità del motivo di revocazione proposto in quanto diretto a ridiscutere una valutazione non più emedabile.

Tale inammissibilità, che lascia inalterata la decisione assunta dalla sentenza oggetto di revocazione, rende assorbita ogni ulteriore indagine sui residui vizi revocatori denunciati non idonei a scalfire le plurime ragioni della decisione che, come chiarito, risultano singolarmente sufficienti a sostenere la decisione di inammissibilità o comunque di rigetto.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore della controricorrente nella misura di cui al dispositivo.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. n. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 3.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2020

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