Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2878 del 03/02/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 03/02/2017, (ud. 22/11/2016, dep.03/02/2017),  n. 2878

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1350-2011 proposto da:

P.G. in qualità di titolare della impresa individuale

STUDIO EXE, elettivamente domiciliata in ROMA VIA EDOARDO D’ONOFRIO

43, presso lo studio dell’avvocato UMBERTO CASSANO, che la

rappresenta e difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE, AGENZIA DEL TERRITORIO UFFICIO DI

ALBANO LAZIALE, EQUITALIA GERIT SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 147/2010 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 31/05/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/11/2016 dal Consigliere Dott. LUCIO LUCIOTTI;

udito per il controricorrente l’Avvocato MADDALO che si riporta al

controricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MASELLIS MARIELLA che ha concluso per l’inammissibilità e in

subordine il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 147 del 31 maggio 2010 la Commissione Tributaria Regionale del Lazio respingeva l’appello proposto dallo Studio.Exe di P.G. avverso la sentenza di primo grado che aveva a sua volta rigettato il ricorso proposto dalla predetta contribuente avverso la cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione relativa all’anno di imposta 2000, effettuato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis per recupero crediti per incremento occupazionale e per IVA relativa all’anno di imposta 2001.

1.1. I giudici di appello sostenevano, per quanto ancora qui di interesse, che l’Amministrazione finanziaria non aveva alcun obbligo di inviare alla contribuente la comunicazione di irregolarità, che in ogni caso per tale inadempimento non era prevista la sanzione di nullità della cartella e che il richiamo alla L. n. 212 del 2000, art. 6 non era conferente nel caso di specie, in cui gli errori che avevano dato luogo alla rettifica erano chiaramente individuati.

2. Avverso tale statuizione la contribuente propone ricorso per cassazione anche nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, affidato a due motivi, illustrati con memoria, cui replica l’intimata con controricorso.

3. Il Collegio ha autorizzato la redazione della sentenza con motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente rilevata d’ufficio l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze che, oltre ad aver perso la capacità di stare in giudizio D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, ex art. 57, comma 1, (ex multis, Cass. n. 19111 del 2016, n. 22992 del 2010, n. 9004 del 2007), non ha neanche assunto la posizione di parte processuale nel giudizio di appello (Cass. S.U. n. 3118/2006; n. 3116/2006; n. 20781/2016).

In difetto di difese svolte dal Ministero, non occorre disporre sulle spese di lite.

2. La ricorrente deduce due motivi di ricorso, entrambi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando, nel primo, che i giudici di appello avevano violato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e L. n. 212 del 2000, art. 6, commi 1 e 5, laddove avevano escluso l’obbligatorietà della comunicazione dell’esito della liquidazione effettuata a seguito del controllo automatico della dichiarazione dei redditi e, nel secondo, la violazione della D.Lgs. n. 462 del 1997, art. 2, comma 2, che prevede l’obbligo per l’Amministrazione finanziaria di inviare la comunicazione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3, prima di procedere all’iscrizione a ruolo delle somme risultanti dal predetto controllo.

2.1. La ricorrente ha altresì dedotto di aver aderito al condono di cui alla L. n. 289 del 2002, con la conseguenza che sarebbe cessata la materia del contendere.

3. I motivi, che vanno esaminati congiuntamente perchè strettamente connessi tra loro, sono infondati e vanno rigettati.

4. Invero, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, comma 3 (in materia di tributi diretti), ed il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, comma 3 (in materia di IVA), prevedono l’invio al contribuente della comunicazione di irregolarità soltanto nelle ipotesi in cui dai controlli automatici emergano “un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione” oppure dai controlli effettuati dall’Ufficio ai sensi del comma 2-bis (tesi a verificare il tempestivo versamento delle imposte prima della presentazione della dichiarazione) emerga “un’imposta o una maggiore imposta”, avendo la finalità di “evitare la reiterazione di errori e… consentire la regolarizzazione degli aspetti formali”. Come più volte ribadito da questa Corte, si tratta di un adempimento rivolto esclusivamente ad orientare il comportamento futuro dell’interessato ed esula, quindi, dall’ambito dell’esercizio del diritto di difesa e di contraddittorio nei confronti dell’emittenda cartella di pagamento (cfr., ex multis, Cass. n. 13759 e 15832 del 2016; n. 6563 e n. 20431 del 2014; n. 8137 e n. 5329 del 2012; n. 26361 del 2010). Pertanto, in difetto del presupposto della sussistenza di un risultato diverso da quello indicato in dichiarazione o dell’accertamento di una imposta maggiore o diversa da quella liquidata nella dichiarazione sottoposta a controllo – che non emerge nè dal contenuto della sentenza impugnata nè è stato dedotto dalla ricorrente – alcun invito preventivo a chiarimenti doveva essere inviato alla contribuente dall’amministrazione finanziaria. E l’Ufficio neppure era tenuto ad invitare il contribuente a fornire chiarimenti o produrre documenti, in ossequio al disposto di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5, posto che, per consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 26316/2010; n. 7536/2011; n. 795/2011; diffusamente n. 8342 del 2012; da ultimo n. 8154 e n. 12023 del 2015 e n. 15832 del 2016; v. anche Cass. n. 5394 del 2016 sulla distinzione della comunicazione in esame da quella prevista dai citati artt. 36 bis e 54 bis), tale disposizione impone il contraddittorio preventivo con il contribuente solo ed esclusivamente nell’ipotesi nella specie non ravvisabile – in cui “sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, giacchè se il legislatore l’avesse voluto imporre in via generalizzata, non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso.

5. Da ultimo deve osservarsi che l’adesione della ricorrente al condono di cui alla L. n. 289 del 2002 è circostanza nella fattispecie del tutto irrilevante atteso che, per orientamento costante di questa Corte, la domanda di condono non preclude l’attività dell’Amministrazione finanziaria di liquidazione delle imposte D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis sia che detta domanda sia stata presentata ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 8 sia ai sensi del successivo art. 9 (cfr., ex multis, Cass. n. 12360 del 2011, n. 1113 del 2013, n. 647 e n. 17631de1 2014).

6. In estrema sintesi, il ricorso va rigettato per infondatezza dei motivi e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo ai sensi del D.M. Giustizia n. 55 del 2014, nonchè al rimborso delle spese eventualmente prenotate a debito.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, dichiara infondati i motivi di ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 21 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2017

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