Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28777 del 09/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 09/11/2018, (ud. 26/09/2018, dep. 09/11/2018), n.28777

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1797-2017 proposto da:

R.O., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE ACACIE 13

(C/0 CENTRO CAF), presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO DI GENIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato FELICE AMATO, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO STUMPO, VINCENZO TRIOLO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 691/2016 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 29/07/2016 R.G.N. 770/2015.

Fatto

RILEVATO

CHE:

l’I.N.P.S., con comunicazioni del 12.5 e 2.9.2010, ha disconosciuto lo svolgimento di lavoro agricolo da parte di R.O., nell’anno 2001 e preteso la restituzione dell’indennità di disoccupazione agricola percepita dalla medesima, per Euro 1.592,28;

proposto un primo ricorso giudiziale, il Tribunale di Salerno, con sentenza del 28.5.2013, ha dichiarato la sussistenza del rapporto di lavoro agricolo contestato e la illegittimità della richiesta di restituzione avanzata dall’ente previdenziale; l’I.N.P.S., tuttavia, con comunicazione del 7.2.2014, ha nuovamente richiesto la restituzione della suddetta somma, sul presupposto dell’originaria cancellazione dagli elenchi dei lavoratori agricoli;

la R. ha quindi proposto ulteriore ricorso giudiziale, nell’ambito del quale l’I.N.P.S. si costituiva dichiarando di avere abbandonato la pretesa restitutoria;

il Tribunale di Salerno ha quindi dichiarato cessata la materia del contendere, compensando per metà le spese di lite, in ragione del “comportamento fattivo dell’I.N.P.S. che già prima dell’udienza di discussione ha abbandonato l’indebito”, ed ha condannato l’ente, stante la soccombenza virtuale, a rifondere alla R. la restante metà di tali spese, da calcolarsi su un totale liquidato in Euro 981,00;

la Corte d’Appello di Salerno, pronunciando sul gravame proposto dalla R., ha aumentato ad Euro 1.085,50 l’ammontare delle spese inerenti il primo grado di giudizio, confermando però la compensazione parziale e compensando integralmente le spese del secondo grado;

avverso tale pronuncia la R. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo, poi illustrato da memoria e resistito dall’I.N.P.S..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

l’unico motivo di ricorso, con cui si adduce la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, degli artt. 91 e 92 c.p.c., per essersi illegittimamente disposta la compensazione parziale delle spese di primo grado e la compensazione integrale delle spese di secondo grado, è fondato;

il ricorso di primo grado è stato introdotto il 28.7.2014 e nel processo trova quindi applicazione l’art. 92 c.p.c. nella formulazione conseguente alle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 11, ma non le modifiche introdotte dal D.L. 132 del 2014, art. 13, comma 1, conv. con mod. in L. n. 162 del 2014, peraltro dichiarato illegittimo da Corte Costituzionale 19 aprile 2018, n. 77;

la compensazione per motivi diversi dalla reciprocità della soccombenza poteva quindi essere disposta solo in presenza di “gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione”;

tali ragioni consistono in circostanze oggettive o soggettive che giustifichino la causazione della lite da parte del soccombente o che individuino comportamenti della parte vincitrice che, pur non rientrando nell’ipotesi di cui all’art. 92 c.p.c., comma 1, abbiano comportato un non giustificabile aggravio della durata o dei costi processuali;

certamente non ricorrono tali presupposti in un’ipotesi, come quella di specie, in cui la causazione del processo deriva da un mero comportamento colpevole della parte soccombente (consistente nell’esercizio stragiudiziale di una pretesa contrastante con una contraria e pregressa pronuncia giudiziale) ed i comportamenti processuali conseguenti (l’abbandono della predetta pretesa manifestato con la costituzione in giudizio) altro non sono che doverosi rimedi che l’ente responsabile dell’indebita causazione del giudizio era tenuto ad assumere;

pertanto la sentenza va cassata;

non essendo necessari ulteriori accertamenti, può quindi procedersi direttamente alla definizione della causa, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con riferimento alla sola questione inerente le spese legali, essendo pacificamente già sceso il giudicato sulla statuizione di cessazione della materia del contendere;

deve quindi disporsi l’integrale rimborso delle spese di primo grado, nella misura già riconosciuta dalla Corte d’Appello di Euro 1.085,00, da addizionare di spese generali, come anche di quelle di secondo grado liquidate, sulla base del D.M. n. 55 del 2014 e tenuto presente il valore della pretesa restitutoria oggetto di causa (Euro 1.592,28, tale da rientrare nello scaglione da Euro 1.100,01 ad Euro 5.200,00), in Euro 1.198,50, pari ai minimi di tariffa, giustificati dal trattarsi di controversia di estrema semplicità e sempre oltre spese generali;

sulla base dei medesimi parametri valoriali e sempre in considerazione della estrema semplicità del contenzioso, le spese del giudizio di legittimità, da regolare anch’esse secondo soccombenza, sono da riconoscere in Euro 900,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, ancora con spese generali ed accessori di legge;

l’esplicita richiesta del difensore, contenuta nella memoria illustrativa finale, di non disporre la distrazione delle spese legali vale evidentemente come rinuncia alla contraria istanza di cui al ricorso per cassazione e pertanto la distrazione non va pronunciata.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa in parte qua la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna l’I.N.P.S. a rifondere a favore di R.O. per intero le spese del giudizio di primo grado, che liquida in Euro 1.085,50, nonchè quelle del giudizio di appello, che liquida in Euro 1.198,50 e quelle del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 900,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 26 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2018

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