Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28777 del 07/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 07/11/2019, (ud. 23/05/2019, dep. 07/11/2019), n.28777

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14268-2018 proposto da:

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

FRANCESCO CIABATTONI;

– ricorrente –

contro

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

VITTORIO D’ANGELO;

– controricorrente –

contro

P.M.A., A.E.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1480/2016 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 24/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CHIARA

GRAZIOSI.

La Corte.

Fatto

RILEVATO

che:

Con atto di citazione notificato il 7 dicembre 2002 F.G., P.A., S.E. ed A.E. convenivano davanti al Tribunale di Ascoli Piceno A.G., capogruppo dell’opposizione nel Consiglio Comunale del Comune di Venarotta, per ottenerne il risarcimento nella misura di Euro 258.000 per espressioni “infamanti, ingiuriose e offensive” da lui pronunciate nei loro confronti nella seduta del 21 ottobre 2002 del Consiglio Comunale del suddetto Comune, nella quale si discuteva per l’approvazione del Regolamento sul Consiglio Comunale, sulle Commissioni Consiliari e sui Gruppi Consiliari. Il convenuto li avrebbe accusati di avere interessi privati, che sarebbero emersi da una perizia disposta da un pubblico ministero, interessi per la cui sussistenza gli attori non avrebbero quindi potuto votare.

Il convenuto si costituiva resistendo e proponendo domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni da lui patiti nell’importo di Euro 250.000, nonchè domanda accessoria ex art. 96 c.p.c.

Il Tribunale, con sentenza 568/2011, dichiarava cessata la materia del contendere tra il convenuto e S.E., condannava il convenuto a risarcire il F. nella misura di Euro 20.000 e a risarcire gli altri due attori nella misura di Euro 10.000 per ciascuno, rigettava la domanda riconvenzionale e condannava il convenuto a rifondere le spese.

Avendo A.G. proposto appello, ed avendo resistito F.G., P.A. ed A.E. proponendo pure appello incidentale, la Corte d’appello di Ancona, con sentenza del 24 novembre 2016, accoglieva parzialmente l’appello principale, compensando per un terzo le spese di lite del primo grado e condannando l’ A. a rifondere i due terzi, rigettava l’appello incidentale e condannava l’ A. a rifondere a controparte le spese del secondo grado nella misura di due terzi, compensando l’altro terzo.

A.G. ha presentato un ricorso articolato in cinque motivi, illustrati anche con memoria. Si è difeso con controricorso F.G..

Diritto

RITENUTO

che:

Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 51 c.p. per la ritenuta non configurabilità del diritto di critica politica nel caso in esame per difetto di verità dei fatti, in conseguenza di violazione e/o falsa applicazione degli artt. 290 t.u. N. 148 del 1915, art. 279 ter t.u. n. 383 del 1934 – all’epoca vigenti – e D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 78, comma 2, ovvero delle norme per cui chi aveva interessi propri avrebbe dovuto astenersi e allontanarsi dalla riunione del Consiglio Comunale.

Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatti discussi e decisivi quanto agli elementi di prova acquisiti in primo grado e forniti dall’ A., cioè la relazione del consulente tecnico d’ufficio, le delibere del Consiglio Comunale n. 70/1997 di adozione del PRG, n. 109/1997 di approvazione delle osservazioni sul progetto PRG, e n. 47/1998 di recepimento di “modifiche, stralci e prescrizioni”.

Il terzo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 323 c.p., per mancato riconoscimento della sussistenza di abuso d’ufficio nella condotta “delle parti intimate”.

Il quarto motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 51 c.p., per mancato riconoscimento del diritto di critica politica, almeno come esimente putativa, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3

Il quinto motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 51 c.p., per mancato riconoscimento del diritto di critica politica avendo il giudice di merito ritenuto sussistente il difetto del requisito di continenza, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Tutti questi motivi, ictu oculi, sono diretti – nel loro contenuto sostanzialmente omogeneo – a ricostruire in modo alternativo, nei suoi vari profili, la vicenda fattuale, avvalendosi della normativa invocata come mero schermo della effettiva sostanza, appena evidenziata, delle censure e perseguendo dal giudice di legittimità una revisione di quanto in punto di fatto stimato dalla corte territoriale, come se questa Suprema Corte, espletando la sua giurisdizione di legittimità, effettuasse in realtà un terzo grado di merito.

L’ampia prospettazione alternativa distribuita, per così dire, dal ricorrente nei cinque motivi non si esime dall’incorrere pure in una netta inosservanza dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, laddove si appiglia al riferimento ad una serie di varie risultanze che non vengono però in adeguato modo processualmente localizzate.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del grado liquidate come da dispositivo – al controricorrente; sussistono altresì D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso, condannando il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 5000, oltre a Euro 200 per gli esborsi e al 15% per spese generali, nonchè agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2019

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